Titolo

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Istanza di sospensione

Procedura Civile

Il principio di non contestazione opera per quei fatti il cui onere probatorio grava sulla parte che li allega (Cass. 3023/16)

La contestazione deve essere puntuale e circostanziata e, dunque, “specifica” (tale non è, all’evidenza, un’affermazione apodittica del tipo “contesto in fatto ed in diritto l’avversa domanda”; cfr. Cass. civ., sez. III, 5 marzo 2009, n. 5356); peraltro, affinchè scatti l’onere di contestazione, è necessario, da un lato, che la parte avversa abbia nitidamente allegato i fatti costitutivi o a fondamento delle eccezioni e, dall’altro lato, che i fatti (o le situazioni) siano riferibili alla parte destinataria dell’allegazione (in quanto rientranti nella sua sfera di controllo e di conoscenza). Sussistendo l’onere soltanto per i fatti noti alla parte, e non anche per quelli ad essa ignoti, la Corte di Cassazione con la sentenza n. 14652/2016, (Sestini), ha confermato la sentenza di merito che, in relazione al trafugamento di denaro da una cassaforte, aveva escluso che la linea difensiva assunta dal depositario, sostanziatasi nella negazione della propria responsabilità senza contestare l’entità delle somme asportate, potesse assumere valenza probatoria in ordine all’ammontare delle refurtiva, trattandosi di un dato estraneo alla sua sfera di conoscibilità diretta.

Parimenti, la Suprema Corte (Sent. n. 3023/16) ha ritenuto che la mancata allegazione del preciso luogo di verificazione di un sinistro stradale, dal quale l’attore sostiene di aver riportato danni, esoneri il convenuto, che abbia genericamente negato il reale accadimento di tale evento, dall’onere di compiere una contestazione circostanziata, perché ciò equivarrebbe a ribaltare sullo stesso convenuto l’onere di allegare il fatto costitutivo dell’avversa pretesa. (Cfr. PENTA, Le prove nel processo civile, Giuffrè)

LA SENTENZA

Cass. civ., Sez. III, Sentenza, 17/02/2016, n. 3023

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 25577/2012 proposto da:

M.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE DEI MELLINI 44, presso lo studio dell’avvocato DI PAOLA Onofrio, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARMINE LATTARULO giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MA.AN., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BARNABA TORTOLINI 29, presso lo studio dell’avvocato VALERIA MARSANO, rappresentato e difeso dall’avvocato REGINA Armando giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

UGF ASSICURAZIONI;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1408/2012 del TRIBUNALE di TARANTO, depositata il 28/06/2012, R.G.N. 5886/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/11/2015 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO;

udito l’Avvocato ARMANDO REGINA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO Alberto, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

 

Svolgimento del processo

M.G. conveniva in giudizio Ma.An. e la UGF Ass.ni s.p.a. per sentirli condannare al risarcimento dei danni alle cose e alla persona patiti a seguito di un sinistro stradale tra la vettura Audi A6 di sua proprietà e la vettura Seat Toledo di proprietà del Ma., causato dalla invasione della corsia di marcia dell’Audi da parte della Seat.

Il Giudice di Pace di Taranto, adito, dichiarava la propria incompetenza territoriale per essere competente il giudice di pace di Casamassima.

Il M. proponeva appello in ordine alla declaratoria di incompetenza territoriale; il Tribunale di Taranto, giudice di appello, riteneva errata la pronunzia di incompetenza territoriale emessa dal giudice di primo grado e provvedeva a decidere la causa nel merito in secondo grado, rigettando nel merito la domanda risarcitoria del M., in quanto riteneva essere rimasta del tutto indeterminata la esatta zona del verificarsi del sinistro.

M.G. propone otto motivi di ricorso per cassazione nei confronti di Ma.An. e UGF Ass.ni s.p.a., per la cassazione della sentenza n. 1408 del 2012 depositata dal Tribunale di Taranto in data 28.6.2012.

Resiste con controricorso illustrato da memoria Ma.An..

La UGF Assicurazioni s.p.a., intimata, non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente deduce la violazione dell’art. 318 c.p.c., che disciplina il contenuto della domanda per il procedimento dinanzi al giudice di pace, adducendo l’infondatezza dell’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo la quale “resterebbe in ogni caso l’assoluta indeterminatezza della esatta zona del sinistro”, in quanto esso ricorrente avrebbe correttamente indicato fin dall’atto di citazione in primo grado che l’incidente si era verificato sulla strada statale (OMISSIS), rimanendo a suo avviso un dettaglio trascurabile la mancata indicazione da parte sua del punto in cui, sulla predetta statale della lunghezza di km (OMISSIS), si sarebbe verificato l’incidente, a fronte della precisa indicazione fornita in ordine ai dati del veicolo investitore ed alla descrizione della dinamica del sinistro.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 163 e 164 c.p.c., sempre in relazione alla ritenuta assoluta indeterminatezza della esatta zona del sinistro, ovvero deduce che tale mancanza di specificità non possa tradursi nella nullità dell’atto di citazione per violazione dell’art. 164 c.p.c., comma 4, cioè per mancanza della esposizione dei fatti (criticando anche la congruità e correttezza della motivazione sul punto).

Con il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 164 c.p.c., comma 5, sostenendo che in presenza di una nullità ai sensi dell’art. 164, comma 4, per mancanza di una chiara indicazione dei fatti di causa, il giudice avrebbe dovuto applicare il comma 5, ovvero non avrebbe potuto legittimamente rigettare la domanda senza prima rilevare la nullità e concedere all’attore un termine per precisarla; solo se l’attore non vi avesse provveduto nel termine indicato, sarebbe stato legittimo il rigetto della domanda.

Con il quarto motivo deduce la violazione degli artt. 157 e 162 c.p.c. e deduce che, non avendo il giudice di pace ravvisato alcuna nullità nel giudizio di primo grado, la stessa, anche ove esistente, non rilevata neppure dal Ma. che ebbe a proporre appello incidentale solo sulle spese, debba ritenersi sanata. Al massimo, se il giudice di appello avesse rilevato la presenza di una nullità, avrebbe dovuto disporre la rinnovazione dell’atto nullo, ex art. 162 c.p.c., mentre, osserva il ricorrente, nel disposto rigetto non si fa affatto menzione della sussistenza di una nullità dell’atto di citazione.

I primi quattro motivi, che possono essere trattati congiuntamente in quanto connessi, sono infondati.

Va premesso che tutti i motivi di ricorso sono caratterizzati dalla stessa, poco appropriata tecnica redazionale, in quanto si limitano ad enunciare esclusivamente le norme che assumono essere state violate, senza neppure indicare a quale delle tassative ipotesi di vizio della sentenza giustificante il ricorso per cassazione intendano far riferimento.

Nessuna violazione di legge è riscontrabile nella sentenza impugnata che ha fatto corretta applicazione delle norme che regolano il giudizio civile dinanzi al giudice di pace: in esso, il contenuto dell’atto di citazione è disciplinato esclusivamente dall’art. 318 c.p.c., il quale prescrive che il medesimo deve contenere l’indicazione del giudice e delle parti, l’esposizione dei fatti e l’indicazione dell’oggetto, e non contiene alcun richiamo all’art. 164 c.p.c..

In ottemperanza al principio di massima semplificazione delle forme di tale giudizio, è anche possibile integrare i fatti già dedotti ed allegare fatti nuovi, però entro e non oltre i limiti temporali preclusivi previsti dall’art. 320 c.p.c.. Il disposto dell’art. 320 c.p.c., comma 3, quindi, da un lato consente di integrare i fatti a fondamento della domanda fino alla prima udienza, dall’altro però stabilisce un sistema di preclusioni che limita alla sola prima udienza il completamento dell’attività assertiva, mediante la definitiva precisazione dei fatti posti a fondamento della domanda (Cass. n. 164 del 2012).

Il M. non ha provveduto ad una maggiore specificazione dei fatti nei termini sopra indicati, pur in presenza di una precisa eccezione di indeterminatezza della domanda sollevata dal convenuto già in prime cure, e della negazione, da parte del convenuto, dello stesso storico verificarsi del sinistro tra le due auto (il Ma. ha radicalmente negato di aver percorso, quel giorno, la strada statale sulla quale si sarebbe verificato l’incidente), nè il giudice di merito avrebbe potuto concedere all’attore termine perentorio per rinnovare la citazione, ai sensi dell’art. 164 c.p.c., comma 5, perchè tale previsione non si applica ai giudizi dinanzi al giudice di pace.

Egli ha quindi correttamente effettuato una valutazione allo stato degli atti, ricavandone che mancasse del tutto la precisa localizzazione del punto di impatto e che di conseguenza restasse del tutto indeterminata la zona del sinistro, ed ha concluso non nel senso di una formale declaratoria di nullità dell’atto di citazione (consentita, per i giudizi instaurati dinanzi al giudice di pace, soltanto laddove, per la mancata o incompleta esposizione dei fatti di causa da parte dell’attore, non sia neppure possibile instaurare il contraddittorio su di essi, in conformità al principio espresso da Cass. n. 9025 del 2005; Cass. n. 8074 del 2002), ma l’ha rigettata nel merito, ritenendo che i fatti posti a fondamento della domanda non fossero, prima ancora che provati, neppure allegati con sufficiente determinatezza.

Con il quinto motivo il ricorrente deduce la presenza di un vizio di contraddittoria motivazione sulla circostanza dell’avvenuto tamponamento. Sostiene che la corte abbia utilizzato, contraddittoriamente, l’argomento della scarsa precisione sul luogo esatto dello scontro da parte del M. per affermare che tale indeterminatezza sarebbe voluta e tesa a spacciare per invasione di corsia da parte del Ma. quello che fu in realtà un tamponamento da parte del M., ricavando l’ipotesi del tamponamento dalla collocazione dei danni esclusivamente sulla parte frontale della vettura del ricorrente.

Con il sesto motivo deduce il vizio di contraddittorietà della motivazione in ordine alle allegazioni contenute nei preventivi e nella documentazione sanitaria. Sostiene che il giudice d’appello ha errato nel ritenere che i documenti prodotti dal ricorrente fossero fatture di riparazione del veicolo essendo invece solo preventivi e ricostruisce il conteggio, risultato incomprensibile al giudice di merito; quanto alla documentazione sanitaria, critica che il giudice abbia rigettato la domanda senza ritenere necessario un approfondimento a mezzo di un c.t.u. sulla semplice considerazione che il danneggiato si fosse rivolto ad un pronto soccorso distante da quello di (OMISSIS) (il più vicino alla zona dell’incidente), che erano stati rilevati solo traumi soggetti a sintomatologia priva di rilievo obiettivo e che il paziente avesse rifiutato la radiografia.

Il quinto e il sesto motivo, che attengono entrambi a vizi della motivazione della sentenza impugnata, possono entrambi essere rigettati in ragione della loro assoluta genericità: essi non richiamano neppure specifici passi della motivazione giustapponendoli al fine di farne risaltare la contraddittorietà, si limitano a non condividere la scelta valutativa compiuta dal giudice di merito.

Con il settimo motivo il ricorrente deduce la violazione degli artt. 115, 167 e 359 c.p.c., nonchè dell’art. 132 disp. att. c.p.c. e asserisce che il Ma. si difese solo sulla competenza per territorio, limitandosi a riferire che in primo grado aveva insistito per il rigetto della domanda avversaria eccependo la nullità dell’atto di citazione e la prescrizione del diritto dell’attore. La scelta processuale dell’ appellato di non contestare i fatti allegati produrrebbe ad avviso del ricorrente la conseguenza della relevatio dall’onere probandi, e al rigetto della domanda proposta conseguirebbe una violazione da parte del tribunale dell’art. 115 c.p.c., in quanto il giudice deve porre a fondamento della sua decisione i fatti non specificamente contestati dalle parti costituite.

Il motivo è infondato.

Sostiene il ricorrente che la non contestazione, o la contestazione meramente generica dei fatti allegati a fondamento della domanda sarebbe un comportamento univocamente rilevante anche si fini della individuazione dell’oggetto del giudizio con effetti vincolanti per il giudice, il quale dovrebbe in questo caso astenersi da qualsiasi controllo probatorio del fatto non contestato ed avrebbe dovuto nel caso di specie, per ciò solo, ritenerlo sussistente.

Perchè possa applicarsi il principio di non contestazione, con conseguente relevatio dell’avversario dall’onere della prova, è necessario che l’attore per primo abbia ottemperato all’onere processuale a suo carico di compiere una puntuale e circostanziata allegazione dei fatti di causa, in merito ai quali il convenuto è tenuto a prendere posizione. Se, come nella specie, l’onere di allegazione non è sufficientemente stato soddisfatto tanto che l’attore non ha mai indicato nè ritenuto di dover indicare con precisione, neppure nel corso del giudizio di cassazione, dove (ovvero in quale punto preciso di una strada statale lunga oltre quarantadue chilometri) si sia verificato il fantomatico incidente stradale dal quale sostiene di aver riportato danni alla persona (il cui reale accadimento è negato dal convenuto), non può ritenersi che sia il convenuto ad essere gravato dell’onere di compiere una contestazione circostanziata perchè ciò equivarrebbe a ribaltare sul convenuto l’onere allegare il fatto stesso costitutivo della pretesa attorea, ovvero di delineare i contorni di un fatto che è rimasto indistinto nei suoi connotati essenziali fino a consentire che sia messo in discussione il suo reale verificarsi, essendo invece l’onere del convenuto di prendere posizione sulle domande avversarie limitato alle circostanze specifiche addotte a suo carico.

Infine, con l’ottavo ed ultimo motivo, il ricorrente deduce la violazione dell’art. 91 c.p.c., deducendo che l’indicazione di incompetenza del giudice inizialmente adito, da parte dei convenuti, doveva ritenersi errata (avendo il giudice dinanzi al quale aveva proposto l’appello ritenuto la propria competenza territoriale, per poter poi decidere nel merito) e che ciò avrebbe dovuto condurre quanto meno alla compensazione delle spese di giudizio, se non ad una condanna alle spese della parte vittoriosa.

Il motivo è infondato.

In tema di liquidazione delle spese di giudizio il vizio di violazione di legge può essere utilmente invocato soltanto ove le stesse fossero state poste in tutto o in parte a carico della parte vittoriosa, in violazione del principio della soccombenza e non anche in caso di compensazione (tra le altre, Cass. n. 15317 del 2013) o di decisione del giudice di merito di non disporre alcuna compensazione, ponendole a carico della parte soccombente nel merito.

Il ricorso va complessivamente rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come al dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Pone a carico del ricorrente le spese di giudizio sostenute dal controricorrente e le liquida in complessivi Euro 2.500,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori e contributo spese generali.

Conclusione

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, il 20 novembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2016

 

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