Titolo

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Istanza di sospensione

Procedura Civile

La contestazione deve essere puntuale e circostanziata e, dunque, specifica (Cass. 5356/09)

La contestazione deve essere puntuale e circostanziata e, dunque, specifica: tale non è un’affermazione apodittica del tipo “contesto in fatto ed in diritto l’avversa domanda”. (Cfr. Penta, “Le prove nel processo civile“)

IL PRINCIPIO DI DIRITTO ENUNCIATO DALLA CORTE

“L’art. 167 c.p.c., imponendo al convenuto l’onere di prendere posizione sui fatti costitutivi del diritto preteso dalla controparte, considera la non contestazione un comportamento univocamente rilevante ai fini della determinazione dell’oggetto del giudizio, con effetti vincolanti per il giudice, che dovrà astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato e dovrà ritenerlo sussistente, in quanto l’atteggiamento difensivo delle parti espunge il fatto stesso dall’ambito degli accertamenti richiesti.”

Cassazione civile, Sez. III, Sentenza del 05/03/2009, n. 5356

LA SENTENZA

(Omissis)

Svolgimento del processo

Nella decisione di primo grado lo svolgimento del processo è esposta nel modo seguente. Con ricorso depositato il 1/9/99, C.P. esponeva quanto segue:

– dal 1/8/96 conduceva in locazione l’appartamento sito in (OMISSIS), via (OMISSIS), int (OMISSIS), appartenente a T.D.;

– la locatrice, sebbene al corrente delle effettive necessità abitative della ricorrente, aveva richiesto la sottoscrizione di un contratto di locazione per uso di abitazione transitoria per la durata di un anno rinnovabile solo per un ulteriore anno;

– l’immobile era stato sempre adibito a stabile dimora della ricorrente;

– aveva corrisposto un canone superiore a quello determinato ai sensi della L. n. 392 del 1978 che regolava il rapporto inter partes;

– avendo versato, nel periodo 1/9/96 – 31/8/99, la somma complessiva di L. 48.000.000 invece dell’importo di L. 7.233,707, dovuto per legge, risultava creditrice dell’importo di L. 41.566.293;

– era inoltre creditrice della somma di L. 2.476.975 per differenza fra il deposito versato e quello dovuto.

Chiedeva, quindi, che, previo accertamento dell’equo canone relativo alla locazione inter partes dal settembre 1996 sino alla definizione del giudizio, la T. venisse condannata alla restituzione della somma percepita in eccesso a titolo di canone nella misura indicata o in quella maggiore o minore accertata in corso di causa, oltre rivalutazione, interessi, anatocismi, nonchè alla restituzione delle differenze sul deposito cauzionale ed al pagamento degli interessi maturati. Il tutto previo accertamento della natura del contratto siccome abitativo stabile e, declaratoria di simulazione del contratto per uso transitorio e, in subordine, previo accertamento della circostanza che il rapporto era sorto per soddisfare esigenze abitative stabili della conduttrice per ragioni di lavoro e limitate nel tempo, con successivo rinnovo del rapporto come abitativo stabile e per un ulteriore periodo per accordo fra le parti.

Si costituiva la T., asserendo che il contratto era stato stipulato per esigenze transitorie della conduttrice, che le somme corrisposte dopo la scadenza contrattuale costituivano compensi per l’occupazione dell’immobile e che il deposito cauzionale era stato assorbito dagli scoperti per tassa rifiuti ed oneri condominiali non corrisposti dalla ricorrente. Chiedeva, dunque, dichiararsi l’improponibilità della domanda in quanto già svolta in via riconvenzionale nel giudizio n. 98811/99 RGAC proposto dall’esponente onde sentir convalidare lo sfratto per morosità della controparte, l’inammissibilità e l’infondatezza della pretesa azionata.

Al giudizio veniva riunito quello, già menzionato, recante n. 98811/99 RGAC. Espletati gli interrogatori formali e prova testimoniale, all’udienza del 6/11/2003, la causa veniva discussa e decisa come da separato dispositivo.

Con sentenza 6 – 13.11.2003 il Tribunale di Roma decideva come segue: “… definitivamente pronunciando sulle domande proposte da C.P. contro T.D. (causa n. 68968/99), nonchè sulle domande proposte da T.D. contro C.P. (causa n. 98811/99), così provvede:

1) determina l’equo canone della locazione per cui è causa come segue:

dall’agosto 1996: L. 197.812;

dall’agosto 1997: L. 200.409;

dall’agosto 1998: L. 203.766;

dall’agosto 1999: L. 207.675;

2)condanna la T. al pagamento, in favore della C., della somma di Euro 21.363,900 con gli interessi legali a decorrere dalla domanda, nonchè della somma di Euro 1.279,25, con gli interessi legali a decorrere dal 23 settembre 1996;

3) risolve per grave inadempimento della conduttrice il contratto di locazione stipulato 23/9/96 dalla C. con la T. in relazione all’immobile sito in (OMISSIS), Via (OMISSIS), int (OMISSIS);

4) condanna la C. all’immediato rilascio dell’immobile di cui al precedente punto 3), fissandosi per l’esecuzione la data del 15/12/03;

5) condanna la C. al pagamento in favore della T. della somma di Euro 1183,90, con gli interessi legali a decorrere dalla domanda;

6) dichiara integralmente compensate fra le parti le spese di lite.

Contro questa decisione entrambe le parti hanno proposto separati appelli, poi riuniti.

Con sentenza 8.2 – 20.4.2005 la Corte di Appello di Roma ha rigettato gli appelli confermando l’impugnata decisione; ed ha compensato interamente le spese del grado.

Contro questa decisione ha proposto ricorso per Cassazione C.P..

Ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale T.D..

Motivi della decisione

Va anzitutto disposta la riunione dei ricorsi.

Con il primo motivo C.P. denuncia “violazione e falsa applicazione di norme di diritto di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 ed omessa, insufficiente ed erronea motivazione circa un punto decisivo della controversia di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 in relazione all’art. 420 c.p.c.. (eccezione di inammissibilità della domanda di risoluzione per l’omesso pagamento di oneri condominiali poichè formulata unicamente con la memoria integrativa)” esponendo doglianze che vanno riassunte come segue. La Signora T. ha intimato lo sfratto per morosità assumendo che la conduttrice non avrebbe pagato, in tutto od in parte, alcune precise mensilita di canone e, successivamente, con la memoria integrativa, ha ampliato la domanda ed ha chiesto la risoluzione anche per il preteso omesso pagamento di oneri condominiali e di spese di registrazione. La Signora C. ha contestato ed impugnato ogni avversa domanda e ciò sia nella memoria integrativa sia all’udienza del giorno 1/03/2001 (1^ udienza dopo il mutamento del rito). Il Giudice di prime cure ha ritenuto però ammissibile l’ampliamento del thema decidendum. La C., con l’appello, ha chiesto la riforma della sentenza sul punto data l’inammissibilità della domanda. La Corte di Appello di Roma ha confermato la pronunzia del primo Giudice senza però motivare, il rigetto dell’appello in relazione alle domande formulate dall’appellante in ordine all’erroneità della pronunzia sulla risoluzione del contratto, senza esaminare l’eccezione sollevata dall’appellante in ordine all’inammissibilità della nuova domanda formulata dalla Signora T..

Il motivo è privo di pregio, in quanto la giurisprudenza citata dalla parte ricorrente è stata superata da quella più recente di questa Corte Suprema.

Va dunque confermato il seguente principio di diritto: “Nel procedimento per convalida di sfratto, l’opposizione dell’intimato ai sensi dell’articolo 665 c.p.c. determina la conclusione del procedimento a carattere sommario e l’instaurazione di un nuovo e autonomo procedimento con rito ordinario, nel quale le parti possono esercitare tutte le facoltà connesse alle rispettive posizioni, ivi compresa per il locatore la possibilità di chiedere la risoluzione per inadempimento del conduttore in relazione al mancato pagamento di canoni od oneri condominiali non considerati nel ricorso per convalida di sfratto; e per il conduttore la possibilità di dedurre nuove eccezioni e di spiegare domanda riconvenzionale” (cfr. Cass. Sentenza n. 21242 del 29/09/2006; e Cass. Sentenza n. 16635 del 19/06/2008).

Le residue doglianze circa il merito della decisione concernente la risoluzione saranno esaminate in seguito.

Con il secondo motivo C.P. denuncia “violazione e falsa applicazione di norme di diritto di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 ed omessa, insufficiente ed erronea motivazione circa un punto decisivo della controversia di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 in relazione alla eccezione di inammissibilità e comunque della infondatezza della domanda di risoluzione per l’omesso pagamento di oneri condominiali poichè mancava la prova della preventiva richiesta di pagamento e poichè mancava la prova del pagamento effettuato dalla Signora T. anche in relazione alla L. n. 392 del 1978, art. 9, ed all’art. 2697 c.c.” proponendo doglianze che vanno riassunte nel modo seguente. La Signora C. con l’atto di appello, aveva anche rilevato che non era stata fornita alcuna prova della preventiva richiesta di pagamento delle spese condominiali e che non era stata fornita la prova dell’avvenuto pagamento degli oneri condominiali stessi da parte della Signora T.. La Signora C. ha anzi fornito la prova che gli oneri condominiali erano invece stati pagati da lei e non già dalla Signora T.. La Corte di Appello ha ritenuto che la richiesta di rimborso degli oneri condominiali non fosse stata contestata dalla conduttrice omettendo ogni esame delle domande formulate dalla Signora C. nell’atto di appello. Invece, come risulta per tabulas, la C., ha contestato tutte le domande formulate dalla T. nel giudizio di primo grado e ciò sia nella memoria di costituzione ex art. 426 c.p.c., sia nella prima udienza di comparizione delle parti successiva al mutamento del rito. Quindi la locatrice avrebbe dovuto dimostrare di aver inviato alla conduttrice una richiesta di pagamento e di aver effettivamente effettuato il pagamento degli oneri condominiali oltre che l’effettiva debenza della somma da parte della conduttrice. Persino qualora si volesse ritenere che la conduttrice non aveva formulato alcuna eccezione in relazione al credito vantato dalla locatrice, comunque il Giudice avrebbe dovuto accertare l’esistenza del credito. Invece, l’attrice nel giudizio di sfratto per morosità, non ha fornito alcuna prova del proprio buon diritto, e quindi la domanda non poteva essere accolta. La Signora C. aveva prodotto, in fase di appello, un documento attestante che gli oneri condominiali erano stati da lei pagati. Erroneamente la Corte di Appello ha ritenuto irrilevante il documento ritenendo che “non può invero costituire prova liberatoria “quella dichiarazione” postuma proveniente da terzi – datata 30.1.2004 – sottoscritta da T.A. – amministratore pro tempore del condominio di via (OMISSIS) – secondo la quale le quote ordinarie di condominio e di riscaldamento emesse a tutto gennaio 2000 risultano pagate” senza considerare l’irrilevanza di un presunto adempimento tardivo dopo la di risoluzione”. E’ errato pure il principio enunciato dalla Corte di Appello secondo la quale sarebbe stata la conduttrice a dover offrire la prova dell’adempimento. Al contrario era la locatrice a dover offrire la prova di aver provveduto a pagare gli oneri condominiali e di averli ritualmente richiesti alla conduttrice. Tanto nella memoria integrativa quanto nel verbale di udienza del giorno 1 marzo 2001 la conduttrice ha impugnato e contestato la domanda formulata dalla locatrice perchè infondata in fatto ed in diritto. Inoltre non possono essere considerate valide richieste quelle asseritamente inviate dall’amministratore del condominio, peraltro prodotte tardivamente solo in sede di appello. Infatti per il rimborso delle spese condominiali l’amministratore del condominio può rivolgersi esclusivamente ai condomini, e non già ai conduttori delle unità immobiliari comprese nell’edificio condominiale. Nessun rilievo assume l’omesso pagamento della registrazione del contratto e della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, in quanto neppure per tali voci è mai stata inoltrata alcuna richiesta e comunque le stesse non superano l’ammontare di due mensilità del canone di locazione.

Il motivo non può essere accolto in quanto gli asseriti vizi non sussistono.

Occorre premettere che tutte le tesi difensive che si basano sulle asserite risultanze istruttorie circa i punti sopra riassunti debbono ritenersi inammissibili, in quanto, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, non solo riportano il contenuto rilevante delle risultanze stesse (e ciò è già di per sè decisivo), ma non indicano neppure tutti i dati necessari per identificare esattamente le prove in questione (e cioè, per ciascuno dei documenti: natura, data, precisa provenienza, data di produzione, ecc).

Per il resto si osserva che si è di fronte a tipiche valutazioni di merito della Corte di Appello, che si sottraggono al sindacato di legittimità in quanto immuni dai vizi denunciati (v. Cass. n. 9234 del 20/04/2006: “il disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), non conferisce alla Corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico – formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione data dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, in proposito, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, senza che lo stesso giudice del merito incontri alcun limite al riguardo, salvo che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, non essendo peraltro tenuto a vagliare ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, risultino logicamente incompatibili con la decisione adottata”, cfr. inoltre Cass. S. U. n. 05802 dell’11/06/1998; cfr. anche, tra le successive: Cass. Sentenza n. 17477 del 09/08/2007; Cass. Sentenza n. 15489 del 11/07/2007; Cass. n. 21193 del 05/11/2004; e Cass. n. 1101 del 20/01/2006);

In particolare, con riferimento agli asseriti vizi giuridici, va rilevato quanto segue.

In passato questa Corte Suprema aveva affermato che “Non sussistendo nel vigente ordinamento processuale un onere per la parte di contestazione specifica di ogni fatto dedotto “ex adverso”, non può ritenersi provato un fatto solo per la mancata contestazione ad opera della controparte” (Cass. Sentenza n. 4604 del 07/05/1999, v. anche nello stesso senso Cass. Sentenza n. 11277 del 18/07/2003).

Successivamente però la giurisprudenza è giustamente mutata.

Va quindi confermato il seguente principio di diritto: “L’art. 167 c.p.c., imponendo al convenuto l’onere di prendere posizione sui fatti costitutivi del diritto preteso dalla controparte, considera la non contestazione un comportamento univocamente rilevante ai fini della determinazione dell’oggetto del giudizio, con effetti vincolanti per il giudice, che dovrà astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato e dovrà ritenerlo sussistente, in quanto l’atteggiamento difensivo delle parti espunge il fatto stesso dall’ambito degli accertamenti richiesti.” (Cass. Sentenza n. 10031 del 25/05/2004; cfr. anche Cass. Sentenza n. 13079 del 21/05/2008; e Cass. Sentenza n. 5191 del 27/02/2008).

Assodato quanto sopra, occorre stabilire entro quando detta contestazione possa essere sollevata ai fini ora considerati.

La questione (con riferimento al rito del lavoro applicabile nella fattispecie con riferimento alle norme indicate dall’art. 447 bis c.p.c.; norme tra le quali figurano quelle in questione) è stata risolta nella motivazione della sentenza Sez. Un. 761 del 23/01/2002 che ha particolarmente approfondito la questione esponendo le argomentazioni fondamentali sulle quali si è basata la predetta nuova giurisprudenza.

In detta decisione infatti si legge: “…Il menzionato difetto di contestazione…omissis… A) se concerne fatti costitutivi del diritto, si coordina al potere di allegazione dei medesimi e partecipa della sua natura, sicchè simmetricamente soggiace agli stessi limiti apprestati per tale potere; in altre parole, considerato che l’identificazione del tema decisionale dipende in pari misura dall’allegazione e dall’estensione delle relative contestazioni, risulterebbe intrinsecamente contradditiorio ritenere che un sistema di preclusioni in ordine alla modificabilità di un tema siffatto operi poi diversamente rispetto all’uno o all’altro dei fattori della detta identificazione; e, pertanto: Aa) il limite della contestabilità dei fatti costitutivi originariamente incontestati si identifica, nel rito del lavoro, con quello previsto dall’art. 420 c.p.c., comma 1, per la modificazione di “domande eccezioni e conclusioni già formulate”; Ab) trattasi di preclusione argomentabile dal sistema… “.

Ciò premesso in linea generale ed astratta, va rilevato con riferimento alla fattispecie concreta in questione che la parte ricorrente non deduce (in modo rituale; e dunque con tutte le necessarie precisazioni e citazioni di brani di atti giuridici rilevanti) di aver tempestivamente esposto in primo grado specifiche contestazioni sui punti in questione (ad es. l’assunto di aver “…impugnato e contestato la domanda formulata dalla locatrice perchè infondata in fatto ed in diritto.” riguarda una affermazione difensiva assolutamente generica).

Quanto all’appello, basta rilevare che si tratta di contestazioni tardive alla luce del principio di diritto ora citato.

Si deve dunque concludere che tutte le doglianze concernenti la suddetta contestazione (essendo o inammissibili o prive di pregio) non possono essere accolte.

Con il terzo motivo la ricorrente principale denuncia “errata pronunzia sulle spese” assumendo che la Corte di Appello di Roma ha errato anche nel confermare la compensazione delle spese del primo grado di giudizio e nel compensare quelle del secondo grado in quanto, stante la soccombenza della locatrice e l’improponibilità oltre che l’infondatezza delle domande formulate da quest’ultima le spese di lite, sia del primo che del secondo grado, dovevano essere poste a carico della Signora T. in quanto integralmente soccombente.

Il terzo motivo deve ritenersi privo di pregio, alla luce del rigetto dei motivi precedenti e del seguente principio di diritto: “Nel sistema di regolamento delle spese processuali previgente alla sostituzione del secondo comma dell’art. 92 c.p.c. ad opera della L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2 (applicabile, per effetto della proroga, disposta dal D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, art. 39 quater convertito, con modif. nella L. 23 febbraio 2006, n. 51, del termine inizialmente fissato al 1 gennaio 2006, ai procedimenti instaurati successivamente alla data del 1 marzo 2006), che ha introdotto la previsione dell’obbligo di esplicitazione dei “giusti motivi – sui quali si fonda la compensazione delle spese, trova applicazione il principio secondo il quale la relativa statuizione è sindacabile in sede di legittimità nei soli casi di violazione di legge, quale si verificherebbe nell’ipotesi in cui, contrariamente al divieto stabilito dall’art. 91 c.p.c., le stesse venissero poste a carico della parte totalmente vittoriosa. La valutazione dell’opportunità della compensazione totale o parziale rientra, invece, nei poteri discrezionali del giudice di merito sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia in quella (ricorrente nella fattispecie) della sussistenza di giusti motivi, e il giudice può compensare le spese processuali per giusti motivi senza obbligo di specificarli, atteso che l’esistenza di ragioni che giustifichino la compensazione va posta in relazione e deve essere integrata con la motivazione della sentenza e con tutte le vicende processuali, stante l’inscindibile connessione tra lo svolgimento della causa e la pronuncia sulle spese medesime, non trovando perciò applicazione in tema di compensazione per giusti motivi il principio sancito dall’art. 111 Cost., comma 6 ” (Cass. Sentenza n. 24495 del 17/11/2006; v. anche Cass. Sentenza n. 17457 del 3 1/07/2006).

T.D., con il primo motivo di ricorso incidentale non condizionato, denuncia “Violazione della L. n. 392 del 1978, art. 26, lett. a, e art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Transitorietà della locazione”, sostenendo che la natura transitoria del contratto, al momento della sua conclusione, non era affatto simulata, come risultava provato:

-a) dal contenuto dell’art. 1 del contratto (circa detta transitorietà ed il fatto che la conduttrice aveva dichiarato di essere residente a (OMISSIS)) e dalla deposizione della teste M.;

-b) dalla circostanza che la conduttrice occupa saltuariamente l’immobile (v. deposizione del portiere e bonifici di pagamento della pigione eseguiti da (OMISSIS));

-c) dal fatto che non sono state indicate se non in modo vago e generico dai testi le ragioni di lavoro a (OMISSIS) della C.;

-d) dal certificato di residenza della controparte, dalla sua lettera 1.12.97, dalle deposizioni dei testi M., Cu., Ci. e D. (mentre è priva di attendibilità la deposizione del figlio della C.).

Il primo motivo non può essere accolto in quanto l’oggetto delle censure è costituito da tipiche valutazioni di merito che si sottraggono al sindacato di legittimità in quanto immuni dai vizi denunciati (v. sopra quanto già esposto a tal proposito).

Con il secondo motivo T.D. denuncia “Violazione del L. n. 392 del 1978, art. 26, lett. a, e art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 Motivi di studio” lamentando che i Giudici di merito si sono fondati sui motivi di studio del figlio mentre L. n. 392 del 1978, art. 26, lett. a cit. può applicarsi solo ai famigliari.

Il motivo è inamissibile in quanto critica una ratio decidendi non contenuta nella sentenza di secondo grado (quella di primo grado non fa direttamente parte della materia processuale oggetto del presente giudizio di legittimità). La Corte di merito infatti ha evidentemente (pur se implicitamente) fatto proprio l’assunto del Giudice di primo grado il quale aveva valutato la sussistenza delle esigenze di studio del figlio della conduttrice non direttamente (come sembra affermare la parte ricorrente), ma solo come una delle varie risultanze che consentivano (complessivamente valutate) di ritenere provate l’uso abitativo stabile da parte della C..

Con il terzo motivo la T. denuncia “Violazione dell’art. 1418 c.c., dell’art. 1325 c.c., n. 1, e degli artt. 1427 e 1429 c.c. e art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 ” esponendo che ella aveva voluto solo la stipulazione di una locazione ad uso transitorio con la conseguenza che l’eventuale contratto ordinario sarebbe nullo per mancanza dell’accordo.

Il motivo è (prima ancora che prive di pregio in quanto sul punto in questione – uso transitorio o meno – la motivazione della Corte è immune dai vizi denunciati) inammissibile in quanto la ricorrente, proprio poichè lamenta l’omessa valutazione di tesi difensive (palesemente anche in fatto) non indicate nell’impugnata decisione, avrebbe dovuto indicare ritualmente se ed in quale atto (nonchè – per il sopra principio di autosufficienza del ricorso – in che termini) le sue tesi difensive erano state sottoposte al giudizio del Giudice di secondo grado (cfr. tra le altre Cass. Sentenza n. 20518 del 28/07/2008: “Ove una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità ha l’onere, alfine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di Cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa “; cfr. anche Cass. n. 14590 del 2005).

Con il quarto motivo la ricorrente incidentale denuncia “Violazione dell’art. 1587 c.c., della L. n. 392 del 1978, art. 80 e dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 Mutamento d’uso” osservando tra l’altro che ella aveva appreso il presunto mutamento di destinazione della cosa locata solo all’udienza del 13.1.2000 ed aveva immediatamente eccepito la risoluzione nella memoria depositata il 27.3.00 entro i tre mesi; e che la sentenza aveva omesso di pronunciare sul punto.

Il motivo è inammissibile per due ragioni, ciascuna delle quali decisiva già da sola: – in quanto la ricorrente non precisa ritualmente se, in che atto ed in che termini aveva già sottoposto la questione al Giudice di secondo grado (v. sopra), – in quanto la censura è pure del tutto generica (tra l’altro non si chiarisce cosa si intenda con l’espressione “…eccepito la risoluzione..”; in particolare non si precisa se in relazione alle circostanze predette era stata proposta una vera e propria domanda di risoluzione; ovvero di altra natura).

Con il quinto motivo la ricorrente denuncia “Violazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 – Conteggio dell’equo canone” rilevando che la controparte, di fronte alle sue (della T.) contestazioni avrebbe dovuto provare il quantum richiesto e non limitarsi ad esporre un conteggio.

Detto quinto motivo è inammissibile per tre ragioni, ciascuna delle quali decisiva già da sola:

-a) in quanto la ricorrente non precisa ritualmente in che atto ed in che termini aveva sottoposto la questione al Giudice di secondo grado;

-b) in quanto non censura specificamente e ritualmente l’affermazione contenuta nella sentenza di primo grado (alla quinta e sesta riga di pag. 5) e fatta chiaramente propria dal Giudice dell’appello, secondo la quale le sue contestazioni erano state tardive e generiche;

-c) in quanto pure la censura contenuta nel ricorso è del tutto generica dato che la parte ricorrente avrebbe dovuto precisare quale era secondo la sua tesi l’equo canone dovuto nel caso di locazione ad uso abitativo stabile (si consideri tra l’altro che in via di mera ipotesi il suo computo avrebbe anche potuto condurre ad un importo inferiore a quello affermato dalla controparte, facendo così venir meno l’interesse all’impugnazione), ed avrebbe dovuto inoltre suffragare il suo assunto con un completo computo contrapponendo le singole voci ritenute giuste a quelle criticate.

Il ricorso incidentale condizionato deve evidentemente ritenersi assorbito dato il rigetto del ricorso principale.

Sulla base di quanto sopra esposto sia il ricorso principale che il ricorso incidentale vanno respinti.

Il ricorso incidentale condizionato va dichiarato assorbito.

Dato l’esito del giudizio va disposta la compensazione delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

LA CORTE Riunisce i ricorsi e li rigetta. Dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato. Compensa le spese del giudizio di cassazione.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2009.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2009

 

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