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Whistleblowing: Guida Pratica per le Aziende

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Whistleblowing: Guida Pratica per le Aziende

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Webinar sul Whistleblowing

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Denuncia dei vizi

Diritto Immobiliare, Condominio e Locazioni Prova in materia civile

Denuncia dei vizi ex art. 1669 c.c.: ecco quando il termine non decorre dall’acquisizione della perizia di parte (Appello Venezia, sent. 493/19)

Corte d’Appello di Venezia, Prima sezione civile, Sentenza n. 493/2019, pubbl. il 14.02.19

Lo sappiamo tutti molto bene: quello di un anno è, di fatto, un termine breve, brevissimo ed è estremamente facile perderlo. Ecco allora che ciò che è uscito dalla porta, si cerca (noi avvocati) di farlo rientrare dalla finestra (anche perchè la Giurisprudenza è mediamente ben incline a riservare un favor interpretativo nei confronti degli acquirenti/committenti danneggiati). Peraltro, all’atto pratico, non è sempre (rectius: quasi mai) agevole individuare il dies a quo da cui far decorrere il termine; diversamente detto, la domanda che il giudice dovrà porsi è la seguente: l’apprezzabile grado di conoscenza (del vizio) era raggiungibile anche prima che venisse affidato l’icarico ad un tecnico di parte che ne accertasse la gravità? Eh già, perchè è la stessa Giurisprudenza a ricordarci, oltremodo, che non sono sufficienti manifestazioni di scarsa importanza e/o semplici sospetti e che tale conoscenza deve, di regola, ritenersi acquisita (in assenza di anteriori ed esaustivi elementi) solo all’atto dell’acquisizione di relazioni peritali. Insomma, considerato il principio innanzi enunciato, val sempre la pena “provarci” quando i termini ai nostri assistiti sono come dire… “scappati”: affidiamo quindi l’incarico ad un bravo consulente di parte! Tuttavia attenta Giurisprudenza non si appiattisce su quella locuzione “di regola” giacchè dietro ad una regola c’è, immancabilmente, sempre una eccezione. Ed è quanto accaduto nel caso di specie dove la Corte – dopo aver dato conto dell’orientamento che valorizza l’epletamento di una perizia tecnica ai fini della decorrenza dei termini di cui all’art. 1669 c.c., -, osserva che “deve essere considerato che la perizia è stata fatta eseguire quattro anni e mezzo dopo l’acquisto del bene, senza mai muovere alcuna contestazione pur in presenza di manifestazioni dei vizi via via aumentate” giungendo a ritenere inverosimile che il danneggiato non abbia avuto modo, nel notevole lasso di tempo antecedente, di rendersi conto della gravità dei vizi lamentati. Cosicchè, conclude la Corte, ancorare sempre (rectius: di regola) la maturazione del termine di decadenza e di prescrizione a un mero atto di impulso (l’epletamento di  una perizia tecnica di parte), finirebbe per frustare la ratio dell’art. 1669 c.c. in tema di decadenza e prescrizione. Non può che condividersi l’approdo cui è giunta la Corte veneziana (CC).

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte d’Appello di Venezia, Prima Sezione Civile, composta dai Signori Magistrati

Dott. Mario Bazzo Presidente
Dott.ssa Rita Rigoni Consigliere Rel.
Dott. Alberto Valle Consigliere
Ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

Nella causa promossa con atto di citazione d’appello notificato il 12.6.2015

Da

(OMISSIS)

in punto: Appalto: altre ipotesi ex art. 1655 e ss. cc (ivi compresa l’azione ex 1669cc) – appello avverso la sentenza n. 1102/2015 dell’11/05-13/05/2015
causa decisa dal Collegio il giorno 17/01/2019 con le seguenti conclusioni delle parti costituite:

(OMISSIS)

Ragioni della decisione

Con atto di citazione notificato in data 28 luglio 2011, […] conveniva in giudizio avanti il Tribunale di Treviso […] (in seguito fallita), gli architetti […] e […] nonché il geom. […], affinché venisse accertata la loro responsabilità ex art. 1669 c.c. per i vizi e/o gravi difetti riscontrati nel proprio immobile di […] (TV), via […], con condanna degli stessi, in via solidale, al risarcimento dei danni patrimoniali ed extrapatrimoniali subiti. Si costituivano tutti i convenuti, i quali chiedevano il rigetto delle domande attoree. L’arch. […] chiedeva e otteneva la chiamata in garanzia della propria compagnia assicuratrice.

Disposta l’acquisizione del fascicolo relativo all’accertamento tecnico preventivo espletato tra le stesse parti, previa interruzione della causa all’udienza del 17 luglio 2014 per intervenuto fallimento della convenuta […] e sua riassunzione, era pronunciata la sentenza n. 102/205, con la quale era dichiarata l’improcedibilità nei confronti del […] ed erano rigettate le domande formulate da parte attrice, con condanna del […] alla rifusione delle spese di lite, comprese quelle per l’accertamento tecnico preventivo. Osservava il giudice di primo grado: che ogni ragione di credito nei confronti della procedura fallimentare doveva essere fatta valere con le forme dell’insinuazione al passivo; che le carenze rispetto allo standard acustico erano tali da incidere sulla funzionalità del bene e rientravano nell’ipotesi di cui all’art. 1669 cc; non così per le macchie di umidità di modesta entità sviluppantesi lungo i travetti del solaio; che l’azione ex art. 1669 cc relativa alle immissioni acustiche era prescritta in quanto si trattava di vizi sorti immediatamente alla consegna dell’immobile e non richiedenti particolari accertamenti tecnici per comprenderne la gravità o le cause; che l’attore non aveva chiesto nuova CTU (se non per la quantificazione dei danni), mentre in sede di ATP non era stato accertato, come richiesto dal quesito, l’attribuzione delle responsabilità dei vizi e delle difformità, avendo il CTU solo formulato una serie di ipotesi alternative tra loro, dando atto di non poter attribuire con univocità le non conformità riscontrate; che la polizza assicurativa invocata dallo […] non era operativa, poiché prima della stipula della stessa egli aveva già ricevuto una richiesta risarcitoria.

Con atto di citazione notificato il 12.6.2015, […] interponeva appello avverso la predetta sentenza articolando i seguenti motivi di impugnazione:
1- il Giudice di prime cure ha errato nel qualificare i gravi difetti dell’isolamento termico ai sensi
dell’art. 1667 c.c., e come tali da considerarsi prescritti, e non ai sensi dell’art. 1669 c.c., atteso  che si tratta di muffe e macchie di umidità, potenzialmente nocive per la salute umana, oltre che
incidenti sul normale godimento dell’immobile, per la cui eliminazione è stato indicato dal CTU un costo di € 7.660,90, oltre IVA e l’esecuzione di opere strutturali (realizzazione di una controparete con struttura metallica autoportante, rimozione e rimessa in opera di termosifoni, infissi, impianti elettrici);
2- il Giudice di primo grado ha errato nel ritenere prescritta l’azione ex art. 1669 cc in riferimento alla carenza d’isolamento acustico, atteso che la conoscenza della gravità del vizio lamentato è stata acquisita solo attraverso la stima peritale redatta dall’ Arch. […];
3- il Giudice del tribunale ha errato nell’affermare che l’attore non avesse chiesto di procedersi a nuova CTU anche per verificare l’ascrivibilità dei vizi e/o gravi difetti lamentati. […] rimaneva contumace.

Si costituivano gli altri appellati i quali eccepivano l’inammissibilità dell’appello ex art. 342 epe e comunque la sua infondatezza. […] proponeva anche appello incidentale condizionato chiedendo l’accoglimento della domanda di regresso svolta nei confronti delle altre parti convenute e le istanze istruttorie già proposte in primo grado. Concesso a […] termine per la notifica dell’appello incidentale all’appellato contumace […], la causa, senza ulteriore istruttoria, era trattenuta in decisione, sulle conclusioni rassegnate dalle parti e riportate in epigrafe, all’udienza del 25.10.2018, con la concessione dei termini di legge per deposito di scritti conclusivi.

***

I-Va, in primo luogo, respinta l’eccezione di inammissibilità dell’appello, atteso che l’atto di impugnazione consente di individuare con certezza le ragioni del gravame e le statuizioni impugnate, sì da consentire al giudice di comprendere chiaramente il contenuto delle censure ed alle controparti di svolgere senza alcun pregiudizio la propria attività difensiva, mentre risultano anche indicate le norme di diritto che si assumono violate. Va, invero, osservato che “la specificità dei motivi, ex art. 342 cod. proc. civ., per la rituale proposizione dell’atto di appello, esige, anche quando la sentenza di primo grado sia stata integralmente censurata, che, alle argomentazioni in essa svolte, vengano contrapposte quelle dell’appellante volte ad incrinarne il fondamento logico-giuridico poiché la parte volitiva dell’appello deve accompagnarsi ad una componente argomentativa diretta a confutare e contrastare le ragioni addotte dal primo giudice” (Cass. n. 22781 del 27/10/2014; cfr. anche Cass. ord. n. 13535 del 30/05/2018). E ciò è senz’altro ravvisabile nella specie.

2-In ordine al primo motivo di appello va rilevato che in sede di ATP (doc. 5 […]) sono state riscontate, all’interno dell’abitazione, sul soffitto delle camere al primo piano, macchie di umidità/muffe che si sviluppano lungo i travetti del solaio. Tali macchie sono più accentuate nella camera matrimoniale est e nella camera nord-ovest. Altre macchie di umidità/muffe sono state riscontrate sul soffitto a copertura del vano scale interno, in corrispondenza dell’intersezione tra il solaio e la parte di delimitazione nord, nel soggiorno al piano terra, in corrispondenza dello stipite nord del portoncino d’ingresso fino al soffitto e nel bagno e cucina al piano terra, in corrispondenza dell’angolo tra le pareti nord ed ovest ed il soffitto.
Per l’eliminazione di tali segni di umidità/muffe il CTU ha indicato, quale rimedio, il rivestimento delle facce interne delle pareti perimetrali con una controparete e la fornitura e messa in opera di pannelli per l’isolamento termico del solaio a copertura del primo piano. Ha, poi, verificato la non corrispondenza del pacchetto del solaio a copertura del primo piano a quanto indicato nella relazione tecnica relativa alla Legge n. 10/1991 e la presenza di ponti termici. Il costo preventivato è di € 5.160,90 oltre IVA, oltre le spese per il soggiorno fuori casa del […] durante i lavori.

Orbene, alla luce di quanto esposto dal CTU e, in particolare, delle possibili cause delle macchie di umidità/muffe rilevate e dei lavori da eseguirsi, non pare corretto quanto affermato dal primo giudice circa il fatto che dette macchie non sarebbero tali da non compromettere la funzionalità e il godimento dell’immobile.
Infatti, non solo la realizzazione della controparte riduce la metratura commerciale dell’immobile, ma la presenza delle macchie parrebbe riconducibile anche alla presenza di ponti termici e al minor spessore del pacchetto del solaio. Dunque, non si tratta di soli vizi di tipo estetico. Ed allora va rilevato che ” gravi difetti che, ai sensi dell’art. 1669 c.c., fanno sorgere la responsabilità dell’appaltatore nei confronti dei committente e dei suoi aventi causa consistono in quelle alterazioni che, in modo apprezzabile, riducono il godimento del bene nella sua globalità, pregiudicandone la normale utilizzazione, in relazione alla sua funzione economica e pratica e secondo la sua intrinseca natura. A tal fine, rilevano pure vizi non totalmente impeditivi dell’uso dell’immobile, come quelli relativi all’efficienza dell’impianto idrico o alla presenza di infiltrazioni e umidità” (Cass. ord. n. 24230 del 04/10/2018), umidità riscontrata nella specie. Va, pertanto, affermata l’applicabilità per quanto attiene ai vizi in parola dell’art. 1669 cpc. In ogni caso, però, la domanda attorea non può essere accolta in riferimento a siffatti vizi. In sede di ATP non è stato possibile determinare la datazione delle macchie di umidità e delle muffe e, a fronte delle eccezioni di decadenza e prescrizione sollevate dai convenuti, parte attrice non ha provato quando ha scoperto i vizi in esame.
Il […] ha fatto riferimento alla data della perizia di parte del 23.3.2009. Nel qual caso effettivamente non sarebbero maturate decadenza e prescrizione, dal momento che a detta perizia è seguita la missiva di contestazione dei vizi del 30.3.2009, il deposito del ricorso per ATP il 15.9.2009, con deposito della relazione avvenuto il 10.8.2010 (sul fatto che l’accertamento tecnico preventivo rientri nella categoria dei giudizi conservativi e, pertanto, la notificazione del relativo ricorso con il pedissequo decreto giudiziale determina, ai sensi dell’art. 2943 c.c., determina l’interruzione della prescrizione, che si protrae fino alla conclusione del procedimento, ritualmente coincidente con il deposito della relazione del consulente nominato, cfr. per tutte Cass.n. 3357 del 19/02/2016) e la notifica dell’atto di citazione introduttivo del presente procedimento è avvenuta il 28.07.2011. E tale tesi potrebbe essere plausibile se si considera che “il termine annuale previsto, a pena di decadenza, dall’art. 1669, comma 1, c.c. per la denuncia dei gravi difetti dell’opera appaltata decorre dal giorno in cui il committente (o l’acquirente) abbia conseguito un apprezzabile grado di conoscenza obbiettiva della gravità dei difetti stessi e della loro derivazione eziologica dall’imperfetta esecuzione dell’opera” (per tutte si veda Cass. Ord.n. 24486 del 17/10/2017), il che potrebbe avvenire tramite un’indagine tecnica di parte. Nella specie, però, deve essere considerato che la perizia è stata fatta eseguire dal […] quattro anni e mezzo dopo l’acquisto del bene, senza mai muovere alcuna contestazione agli appellati, pur in presenza di manifestazioni dei vizi via via aumentate (pag. 1 atto di citazione di primo grado). Di talché, in assenza di deduzioni (nell’atto di citazione di primo grado si afferma che le prime manifestazioni si sono avute “successivamente” all’acquisto dell’immobile, senz’altra specificazione) e di prova di quando le macchie e muffe in questione hanno iniziato a manifestarsi, in maniera significativa, ancorare la maturazione del termine di decadenza e di prescrizione a un mero atto di impulso del […] di richiedere l’esecuzione di una perizia tecnica, finirebbe per frustare la ratio dell’art. 1669 cc in tema di decadenza e prescrizione.
Infatti, va considerato che l’appellante ha affermato che i vizi in esame hanno iniziato a manifestarsi successivamente all’acquisto, con aumento progressivo. Ma in sede di CTU, espletata nel corso dell’anno 2010, il fenomeno relativo alla presenza di macchie di umidità/muffe è stato riscontrato con manifestazioni limitate e modeste. Se, dunque, tale era lo stato dell’immobile al momento dell’accesso del CTU, avvenuto a quasi cinque anni di distanza dall’acquisto dell’immobile, non è verosimile pensare – stante l’affermato aggravamento progressivo nel tempo del fenomeno, comunque all’epoca della CTU di modesta entità – che l’apprezzamento dello stesso da parte del […], con la necessità di chiedere l’espletamento di una perizia di parte, sia avvenuto solo nel marzo 2009. Pertanto, alla luce delle suestese considerazioni, bene ha ritenuto il primo giudice essere prescritta l’azione proposta dal […] (seppure ai sensi dell’art. 1667 cc), in accoglimento della relativa eccezione sollevata da tutti i convenuti in primo grado.

3-Anche il secondo motivo di impugnazione non merita accoglimento. Correttamente, infatti, il giudice di prime cure ha ritenuta prescritta l’azione ex art. 1669 cc esercitata dal […] relativamente ai difetti acustici del bene immobile, trattandosi di vizi sorti immediatamente alla consegna dell’immobile, non certamente dopo cinque anni, e non necessitanti di particolari accertamenti tecnici per comprenderne la gravità o le cause.
Per cui la loro scoperta non può di certo essere ancorata alla relazione tecnica fatta eseguire in data 23.3.2009, non trattandosi di vizi occulti, ma di difetti ben riconoscibili sin dall’acquisto dell’immobile avvenuto il 22.7.2005.

3-Il terzo motivo di appello risulta assorbito. Le spese processuali del presente grado di giudizio seguono la soccombenza.

Nulla va disposto per le spese di lite nei confronti di […], rimasto contumace.

P.Q.M.

Definitivamente pronunciando sulla causa di cui in epigrafe, così provvede:
1-rigetta l’appello e per l’effetto conferma la sentenza n. 1102/2015 dell’11/05-13/05/2015 del Tribunale di Treviso;
2- condanna l’appellante alla rifusione in favore degli appellati costituiti delle spese processuali del presente grado di giudizio, che liquida, per ciascuno, in € 3.777,00 per compensi, oltre 15% per rimborso forfetario spese generali, IVA e CPA come per legge;
3-nulla per le spese di lite nei confronti di

Ai sensi dell’art. 13, I-quater del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30
maggio 2002, n. 115, come modificato dalla legge 24 dicembre 2012, n. 228, l’appellante è tenuto al versamento di ulteriore importo a titolo di contributo unificato.
Venezia, 17/01/2019
Il Consigliere Estensore
Il Presidente
Dott.ssa Rita Rigoni
Dott. Mario Bazzo

 

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Circolazione stradale

Vengono rimborsate le spese mediche in strutture private?

Cassazione civile, Sez. III, Sentenza del 23/10/2023, n. 29308

IL FATTO

Il danneggiato a seguito di sinistro stradale, decide di rivolgersi a strutture private anzichè a quelle pubbliche.

LA QUESTIONE

I Giudici di merito (sia di primo che di secondo grado), applicando una sorta di automatismo, riducono ai sensi dell’art. 1227 c.c., il risarcimento del danneggiato relativo alle spese mediche, sul presupposto che fu una sua “scelta personale quella di affidarsi ad un servizio privato piuttosto che al SSN” dove l’esborso che avrebbe affrontato sarebbe stato minore.

LA DIFESA DEL  DANNEGGIATO

Secondo la difesa del danneggiato, siffatta conclusione sarebbe, tuttavia, in contrasto con quanto ritenuto dalla stessa Corte in altre pronunce, secondo cui la sussistenza di un obbligo di rivolgersi a strutture sanitarie pubbliche anzichè private risulta invero priva di base normativa oltre che logica e ne chiede, pertanto, la censura in parte qua.

IL PRINCIPIO DI DIRITTO ENUNCIATO  DALLA CORTE

La scelta di chi abbia subito danni alla persona di rivolgersi a una struttura sanitaria privata, in luogo di quella pubblica, non può automaticamente essere considerata – in relazione alla domanda di rimborso delle relative spese mediche – ragione di applicazione a carico del danneggiato dell’art. 1227 c.c., comma 2.

CONCLUDENDO

La sentenza impugnata, pertanto, merita censura, nella parte in cui istituisce una sorta di automatismo – in relazione alla domanda di rimborso delle spese mediche – tra la scelta di rivolgersi a una struttura sanitaria privata e l’applicazione dell’art. 1227 c.c..

LA SENTENZA INTEGRALE

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29558-2019 proposto da:

A.A., domiciliato “ex lege” in Roma, piazza Cavour, presso la cancelleria di questa Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato Fabio VENTURINI;

– ricorrente –

contro

ALLIANZ Spa PIBER Snc DI B.B. E C., C.C.;

– intimati –

Avverso la sentenza n. 2863/2019 della Corte d’appello di Milano, depositata il 27/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 04/05/2023 dal Consigliere Dott. Stefano Giaime GUIZZI.

(Presidente Dott. Frasca – Relatore Dott. Guizzi)

Svolgimento del processo

1. A.A. ricorre, sulla base di quattro motivi, per la cassazione della sentenza n. 2863/19, del 27 giugno 2019, della Corte di Appello di Milano, che – respingendone il gravame esperito avverso la sentenza n. 10627/17 del Tribunale di Milano – ha confermato la condanna di C.C., nonchè delle società Piber Snc di C.C. e B.B. & C. (d’ora in poi, “Piber”) e Allianz Spa a pagare al A.A. la somma di Euro 49.000,00, oltre interessi, a titolo di danno non patrimoniale.

2. Riferisce, in punto di fatto, l’odierno ricorrente di essere rimasto vittima di un incidente stradale, occorsogli in (Omissis) quando era ancora minorenne, essendo stato investito – mentre era alla guida di un ciclomotore di proprietà altrui – da un veicolo condotto dalla C.C., appartenente alla società Piber ed assicurato per la “RCA” dalla società Allianz.

Avendo riportato gravi lesioni agli arti inferiori, dalla quale derivarono postumi di invalidità permanente, e ritendo non interamente satisfattiva la somma di Euro 133.000,00 messagli a disposizione da Allianz, il A.A. – accettato il pagamento solo a titolo di acconto, rispetto al maggior risarcimento cui assumeva avere diritto – adiva il Tribunale milanese, innanzi al quale si costituiva la sola società assicuratrice, rimanendo, invece, contumaci la Piber e la C.C..

Istruita la causa anche mediante lo svolgimento di consulenza tecnica d’ufficio medico-legale, l’adito giudicante accoglieva solo parzialmente la domanda risarcitoria, riconoscendo all’allora attore, a titolo di danno non patrimoniale, l’ulteriore importo di Euro 49.000,00, oltre interessi dalla data di cessazione dell’inabilità temporanea al saldo.

Esperiva gravame il A.A., per lamentare l’insufficiente quantificazione del danno non patrimoniale (morale ed esistenziale), oltre al mancato riconoscimento delle spese mediche sostenute, del danno da lesione della capacità lavorativa specifica, di quello da perdita di chance di intraprendere la carriera professionale del padre (ingegnere su piattaforme petrolifere), nonchè delle spese legali sostenute per attività stragiudiziale. Il mezzo, tuttavia, veniva respinto dal giudice di appello, che confermava integralmente la decisione già assunta in prime cure.

3. Avverso la pronuncia della Corte ambrosiana ricorre per cassazione il A.A., sulla base – come detto – di quattro motivi.

3.1. Con il primo motivo è denunciata “violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1226, 2043, 2056 e 2059 c.c.”, nonchè degli artt. “2, 29 e 30 Cost.”, oltre che “dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), sotto il profilo della nullità processuale, e all’art. 360 c.p.c., n. 5), sotto il profilo del vizio di motivazione”.

Il ricorrente addebita alla Corte territoriale di aver “erroneamente affermato che la personalizzazione applicata al danno biologico fosse comprensiva anche della sofferenza morale”, e in particolare di aver “motivato la propria reiezione della domanda” sulla base delle risultanze della CTU. Secondo la sentenza impugnata, infatti, l’ausiliario avrebbe “tenuto conto della personalizzazione delle componenti del danno in relazione alle dinamico relazionali”, avendo inoltre, il primo giudice applicato “una ulteriore personalizzazione del danno del 20%”, ritenuta satisfattiva dal giudice di appello, anche in ragione del fatto che il A.A. non avrebbe “provveduto a fornire alcuna prova” circa l’effettivo svolgimento “delle attività sportive, ludico-ricreative menzionate dalla CTU per le quali sussisterebbero difficoltà menomative” conseguenti ai postumi delle lesioni.

Siffatta decisione, sottolinea, il ricorrente “appare in contrasto con quello che è ormai il consolidato orientamento della Suprema Corte”, pronunciatasi “nel senso dell’autonomia ontologica del danno morale (rappresentativo della sofferenza interiore) rispetto al danno nei suoi aspetti dinamico-relazionali, pur in un contesto di unitarietà della liquidazione della macro-categoria del danno non patrimoniale” (è richiamata, in particolare, Cass. Sez. 3, sent. 17 gennaio 2018, n. 901).

In particolare, il A.A. lamenta che la sentenza impugnata “non ha affermato che nella specie non è individuabile ed accertabile un danno morale, ma ha affermato che tale danno è da ritenersi ricompreso nell’aumento personalizzato del 20% del danno biologico”.

Quanto, poi, alla sussistenza del danno morale, il ricorrente sottolinea non solo di aver allegato l’esistenza di una “straordinaria sofferenza” conseguente alle lesioni patite (e ciò pure in relazione al danno estetico subito a causa delle deturpanti cicatrici conseguenti agli interventi medici), ma di essersi anche offerto di provarla con l’articolazione di prova testimoniale, della cui mancata ammissione si duole con il presente motivo, richiamandosi a quella giurisprudenza secondo cui “il giudice non può, senza contraddirsi, imputare alla parte di non assolvere all’onere di provare i fatti costitutivi della domanda, e poi negarle la prova offerta” (è citata Cass. Sez. 3, sent. 7 maggio 2015, n. 9249).

3.2. Il secondo motivo denuncia “violazione e falsa applicazione degli artt. 1226, 2043, 2056, 2059 e 2729 c.c.”, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), nonchè “omesso esame del fatto decisivo e controverso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”.

Si censura, in questo caso, il rigetto della domanda “relativa al risarcimento del danno da lesione della capacità lavorativa specifica di ingegnere su piattaforme petrolifere”, professione svolta dal padre del A.A., “di cui lo stesso aveva manifestato l’intenzione di seguire le orme”.

La doglianza si indirizza, in particolare, avverso l’affermazione della Corte territoriale secondo cui le valutazioni espresse dal CTU avrebbero reso “superflua la ricerca di prove presuntive fondanti” siffatta pretesa risarcitoria”, affermazione da ritenersi erronea, giacchè contradetta dalla stessa consulenza, che ha riconosciuto “oggettive difficoltà, specie in riferimento a talune mansioni che richiedono il mantenimento protratto della stazione eretta, la deambulazione genericamente prolungata e su terreni disagevoli e il mantenimento di posture incongrue (tutte attività in ipotesi richieste ad un ingegnere che lavora su una piattaforma petrolifera), con maggiore affaticamento e qualche limitazione qualitativa”.

Si assume, poi, che la prova della ricorrenza anche di tale danno – per sua natura destinato a proiettarsi verso il futuro e liquidabile, nel caso di minori, adottando come parametro di riferimento l’attività lavorativa di uno dei genitori, sulla base di una presunzione semplice (è citata Cass. Sez. 3, sent. 20 febbraio 2007, n. 3949) – si sarebbe potuta agevolmente trarre. Rilevante in tal senso, pure in questo caso, si appalesava l’escussione dei testi (che avrebbero confermato come il A.A. avesse sempre aspirato ad esercitare la professione del padre), oltre che lo stesso percorso di studi del ragazzo, iscritto alla facoltà di ingegneria.

E’ censurata, d’altra parte, anche l’esclusione del ristoro di tale pregiudizio sotto forma di danno da perdita di chance, giacchè ancora una volta i giudici di merito “hanno prima rigettato l’istanza di prova relativa ad una circostanza e poi hanno respinto la domanda sul presupposto della mancata dimostrazione della stessa”.

Infine, sempre con il presente motivo, è pure censurata quell’affermazione della Corte milanese che, nel rigettare il motivo di gravame relativo alla mancata liquidazione, per difetto di prova, del danno da lesione della capacità lavorativa specifica e per perdita di chance, assume essere stata “già in via equitativa valutata la futura usura lavorativa nell’attività professionale di ingegnare in sede di personalizzazione del danno”.

In questo modo, tuttavia, si sarebbe contravvenuto al principio, affermato da questa Corte, secondo cui, “nel caso di lesioni sofferte da un soggetto minore, al momento del sinistro ancora studente, e che abbiano determinato una invalidità permanente pari al 30% e, dunque, di non lieve entità, il giudice di merito, investito della domanda di riconoscimento del conseguente danno futuro patrimoniale per perdita di capacità lavorativa generica, non compie un corretto procedimento di sussunzione della fattispecie, allorquando ritenga di procedere alla liquidazione di tale danno all’interno della liquidazione del danno non patrimoniale” (è citata Cass. Sez. 3, sent. 24 marzo 2016, n. 5880).

3.3. Il terzo motivo denuncia, quanto alla mancata liquidazione delle spese mediche, “violazione e falsa applicazione degli artt. 1226, 1223, 1227, 2043 e 2056 c.c.”, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), nonchè “omessa motivazione su fatto controverso e decisivo in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”.

Si censura la sentenza impugnata per aver confermato la liquidazione delle spese mediche, già disposta dal primo giudice, solo nella misura di Euro 10.634,74. Decisione, in particolare, assunta avendo riguardo non al costo effettivo delle prestazioni terapeutiche e riabilitative fruite dal A.A. presso le strutture private cui si rivolse, bensì al (minore) esborso che costui avrebbe, invece, affrontato ove si fosse indirizzato verso strutture pubbliche, e ciò sul presupposto che fu una sua “scelta personale quella di affidarsi ad un servizio privato piuttosto che al SSN”.

Siffatta conclusione, tuttavia, sarebbe in contrasto con quanto ritenuto da questa Corte, secondo cui la sussistenza di un “obbligo di rivolgersi a struttura sanitaria pubblica anzichè privata risulta invero priva di base normativa e logica, avuto riguardo alla prospettata relativa valutazione (…) ai sensi dell’art. 1227 c.c.” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. 28 febbraio 2019, n. 5801).

3.4. Infine, il quarto motivo denuncia “violazione e falsa applicazione della L. n. 990 del 1969, del D.Lgs. n. 209 del 2005, della prassi giurisprudenziale e del D.M. n. 55 del 2014”, e ciò “ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, nella parte in cui “la Corte di Appello non ha riconosciuto le competenze professionali per l’attività svolta dal legale in via stragiudiziale”.

Si censura siffatta decisione – motivata dalla Corte territoriale sul rilievo che la fattura prodotta dal legale non fosse idonea a dimostrare “in concreto e dettagliatamente in che cosa sia consistita l’attività stragiudiziale svolta” dal difensore – in quanto in contrasto con i principi affermati dalla più recente giurisprudenza di questa Corte (è citata Cass. Sez. 3, ord. 14 febbraio 2019, n. 4306).

4. Sono rimasti intimate sia la C.C. che le società Piber e Allianz.

5. Il Procuratore Generale presso questa Corte, in persona di un suo sostituto, ha presentato conclusioni scritte nel senso del rigetto del ricorso.

6. Il ricorrente ha depositato memoria a norma dell’art. 378 c.p.c. 7. Fissata, inizialmente, l’udienza pubblica del 15 giugno 2022 per la trattazione del presente ricorso, questa Corte rilevava che la notificazione dello stesso, ritualmente perfezionatasi verso la società Allianz, risultava, invece, più volte infruttuosamente tentata nei riguardi della società Piber e della C.C. (entrambe contumaci nei due giudizi di merito), fino a quando non venne eseguita il 14 ottobre 2019, a mezzo posta, in (Omissis).

Mancando, tuttavia, agli atti del presente giudizio, l’avviso di ricevimento della raccomandata, e dunque la prova del perfezionamento del procedimento notificatorio (cfr., da ultimo, Cass. Sez. Un., sent. 15 aprile 2021, n. 10012, Rv. 660953-01), questa Corte ravvisava la necessità della rinnovazione della notificazione, attesa la ricorrenza, nella specie, di un’ipotesi di litisconsorzio necessario (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 11 giugno 2010, n. 14124, Rv. 613660-01; in senso conforme Cass. Sez. 3, sent. 15 aprile 2011, n. 8727, Rv. 617749-01, Cass. Sez. Lav., sent. 13 ottobre 2015, n. 20501, Rv. 637378-01).

Pertanto, con ordinanza interlocutoria n. 31356/22, questa Corte ordinava la rinnovazione della notificazione del ricorso entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione della medesima ordinanza.

Avendo il ricorrente ritualmente ottemperato a tale ordine, la trattazione del ricorso veniva nuovamente fissata per l’udienza del 4 maggio 2023, in occasione della quale il ricorrente ha depositato un’ulteriore memoria.

Motivi della decisione

8. Il ricorso va accolto, solo quanto al suo terzo motivo, diverso esito imponendosi, invece, per i restanti motivi.

8.1. Il primo motivo – che pure verte su di una questione che costituisce “ius receptum” nella giurisprudenza di questa Corte, ovvero l’autonomia “ontologica” del danno morale rispetto a quello biologico, e dunque la necessità della sua risarcibilità non attraverso il meccanismo della “personalizzazione” del danno “dinamico-relazionale” – è inammissibile.

8.1.1. Difatti, se la questione di cui il A.A. ebbe ad investire il giudice di appello fosse stata, effettivamente, quella della liquidazione del danno da “sofferenza morale”, lamentandone la liquidazione tramite “personalizzazione” del danno biologico, essa meriterebbe senz’altro accoglimento, alla stregua di quanto ribadito – sulla scorta dei principi già nitidamente enunciati da Cass. Sez. 3, sent. 17 gennaio 2018, n. 901, Rv. 647125-02 – da taluni più recenti arresti di questa Corte (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 10 novembre 2020, n. 25164, non massimata, nonchè, Cass. Sez. 3, ord. 21 marzo 2022, n. 9006, Rv. 664553-01 e Cass. Sez. 3, ord. 17 maggio 2022, n. 15733, non massimata).

Tuttavia, dalla lettura del ricorso per cassazione non emerge che, in appello, l’odierno ricorrente ebbe a lamentare – come fa, invece, oggi – il mancato riconoscimento “autonomo” del danno morale, come “danno da sofferenza” e, dunque, la sua errata riconduzione alla “personalizzazione” del danno dinamico-relazionale. Difatti, non casualmente, a pag. 7 del ricorso, è individuato quale oggetto del gravame proposto innanzi alla Corte ambrosiana la “insufficiente quantificazione del danno non patrimoniale (morale ed esistenziale)”, non già la sua mancata valutazione in termini autonomi rispetto al danno biologico.

D’altra parte, anche la sentenza impugnata, nel ricostruire (cfr. pag. 4 della stessa) il “primo motivo di appello”, ovvero quello con cui “veniva eccepita la violazione e falsa applicazione degli artt. 1226, 1223, 2056 e 2059 c.c.”, e ciò per “errata valutazione del danno non patrimoniale”, precisa che il A.A. aveva ritenuto “censurabile la quantificazione del danno risarcibile”, per avere valutato “il giudice di prime cure (…) come congrua una “personalizzazione in aumento del 20%”, ritenendo, “al contrario”, la parte appellante che il Tribunale dovesse, invece, “riconoscere la percentuale massima di personalizzazione (rispetto al grado di invalidità accertato dal CTU), pari al 35%, in ragione delle gravi conseguenze fisiche e psichiche patite”.

Il tema, dunque, della mancata “autonoma” considerazione del danno da sofferenza, e dunque della sua liquidazione non attraverso la personalizzazione del danno “dinamico-relazionale”, non fu posto all’attenzione della Corte milanese, donde l’inammissibilità – sotto questo profilo – della censura oggetto del primo motivo dell’odierno ricorso.

Nè, d’altra parte, diverso esito è prospettabile in relazione alla doglianza – sempre oggetto del primo motivo di ricorso – con cui il A.A. lamenta di essersi offerto di provare, attraverso l’esame di testi, la “straordinaria sofferenza morale” patita, dolendosi della mancata ammissione di tale prova testimoniale e del conseguente rigetto della domanda per “carenza di prova”.

In disparte, infatti, i dubbi di ammissibilità legati al fatto che la richiesta di prova era diretta a supportare il riconoscimento di una “maggiore personalizzazione” del danno, dirimente è la constatazione che la decisione assunta dal primo giudice, di non dare corso alla prova testimoniale, non risulta essere stata fatta oggetto di uno specifico motivo di gravame.

Ancora una volta, infatti, nè la lettura del ricorso, nè quella della sentenza (dalla quale, per contro, risulta soltanto – cfr. pag.

21 – che il A.A. si limitò a richiedere “in via istruttoria” l’ammissione di tale prova), confermano che il già attore, e poi appellante, ebbe a gravare, innanzi alla Corte ambrosiana, la decisione del Tribunale di Milano di non dare corso alla prova per testi. Anzi, a ben vedere – nell’esposizione del fatto contenuta nel presente ricorso – nulla viene riferito persino su quanto avvenne delle istanze istruttorie nel corso del giudizio di primo grado, nè, tantomeno, sulla decisione assunta al riguardo dal primo giudice, oltre che, come detto, sul se e in che il modo il ricorrente dedusse, al riguardo, con l’appello. In assenza di tali indicazioni, il motivo, pertanto, non fa comprendere se e perchè la Corte territoriale dovesse occuparsi di dette istanze, risultando così non idoneo ad evidenziare una critica alla sentenza impugnata giustificata dall’effetto devolutivo dell’appello, perchè nulla dice sul se e come di tali istanze istruttorie venne investita la Corte milanese.

Sul punto, pertanto, va dato seguito – con conseguente inammissibilità della seconda censura, sempre oggetto del primo motivo di ricorso – al principio secondo cui, nel giudizio di appello, la parte non può “riproporre istanze istruttorie espressamente o implicitamente disattese dal giudice di primo grado, senza espressamente censurare – con motivo di gravame – le ragioni per le quali la sua istanza è stata respinta, ovvero dolersi della omessa pronuncia al riguardo” (così, espressamente, Cass. Sez. 6-3, sent. 26 gennaio 2006, n. 1691, Rv. 587851-01, in senso analogo, anche se non identicamente, anche Cass. Sez. 2, ord. 22 gennaio 2018, n. 1532, Rv. 647783-01).

8.2. Il secondo motivo – relativo al mancato riconoscimento del danno da perdita della capacità lavorativa “specifica” di ingegnere su piattaforme petrolifere, anche solo sotto forma di danno da “perdita di chance” – non è fondato.

8.2.1. Nello scrutinarlo, si deve muovere dalla premessa che il “danno di natura patrimoniale derivante dalla perdita di capacità lavorativa specifica richiede un giudizio prognostico sulla compromissione delle aspettative di lavoro in relazione alle attitudini specifiche della persona mentre il danno da lesione della “cenestesi lavorativa”, di natura non patrimoniale, consiste nella maggiore usura, fatica e difficoltà incontrate nello svolgimento, dell’attività lavorativa, non incidente, neanche sotto il profilo delle opportunità, sul reddito della persona offesa, risolvendosi in una compromissione biologica dell’essenza dell’individuo”; tale seconda tipologia di danno, peraltro, risulta “configurabile solo ove non si superi la soglia del 30% del danno biologico” e deve liquidarsi “onnicomprensivamente come danno alla salute, potendo il giudice, che abbia adottato per la liquidazione il criterio equitativo del valore differenziato del punto di invalidità, anche ricorrere ad un appesantimento del valore monetario di ciascun punto” (da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 28 giugno 2019, n. 17411, Rv. 654405-01).

Nel caso di specie, a fronte di un postumo di invalidità permanente che – come si legge a pag. 19 del ricorso – è risultato pari al 25% (e, dunque, inferiore a 30%), ambo i giudici di merito, con valutazione in fatto non sindacabile in questa sede, hanno ritenuto non provato il danno da perdita della capacità lavorativa specifica. Esito al quale, in particolare, il giudice di appello è pervenuto sul rilievo che il A.A. non ha provato “neppure l’andamento del percorso universitario”.

Quanto, poi, alla mancata assunzione della prova testimoniale in odine alle aspirazioni del A.A., valgono, sul punto, le stesse considerazioni svolte in relazione al primo motivo di ricorso.

Nè, infine, vi è contraddizione, da parte della sentenza impugnata, nell’aver dato rilievo – ai fini della personalizzazione del danno biologico – alla difficoltà di conservare la stazione eretta, oltre alla deambulazione genericamente prolungata e su terreni disagevoli, nonchè al mantenimento di posture incongrue; avendo, infatti, il A.A. riportato un’invalidità permanente inferiore al 30% quelle circostanze potevano essere apprezzate come danno da lesione della “cenestesi lavorativa”, che costituisce, come detto, una compromissione biologica dell’essenza dell’individuo.

All’evidenza inammissibile è, infine, la censura di violazione dell’art. 2729 c.c., norma nemmeno evocata nell’illustrazione del motivo.

8.3. Il terzo motivo – che censura la scelta di apprezzare, ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 2, il mancato ricorso del A.A. a strutture del SSN, ai fini del diniego del rimborso delle spese mediche sostenute – è, invece, fondato.

8.3.1. Questa Corte, infatti, ha affermato che “l’obbligo di rivolgersi a struttura sanitaria pubblica anzichè privata risulta invero priva di base normativa e logica, avuto riguardo alla prospettata relativa valutazione (…) ai sensi dell’art. 1227 c.c.” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. 28 febbraio 2019, n. 5801, non massimata; spunti anche in Cass. Sez. 6-3, ord. 13 dicembre 2021, n. 39504, anch’essa non massimata), e ciò anche in considerazione del fatto che l’applicazione del comma 2 di tale articolo è stata persino esclusa con riferimento all’ipotesi di spese mediche sostenute all’estero (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 27 ottobre 2015, n. 21782, Rv. 637550-01).

La sentenza impugnata, pertanto, merita censura, nella parte in cui istituisce una sorta di automatismo – in relazione alla domanda di rimborso delle spese mediche – tra la scelta di rivolgersi a una struttura sanitaria privata e l’applicazione dell’art. 1227 c.c. 8.4. Infine, il quarto motivo – in punto di mancata liquidazione delle spese stragiudiziali – non è fondato.

8.4.1. Difatti, se è vero che le spese di assistenza stragiudiziale – avendo natura di danno emergente – sono dovute al danneggiato, a condizione che siano soddisfatti gli oneri di domanda, allegazione e prova (Cass. Sez. Un., sent. 10 luglio 2017, n. 16990, Rv. 644917-01), è stato anche precisato che, nel novero di tali spese, vanno ricomprese pure quelle per “prestazioni stragiudiziali che siano strettamente dipendenti dal mandato relativo alla difesa, sì da potersi considerare attività strumentale o complementare di quella propriamente processuale”, come “la preventiva richiesta di risarcimento del danno all’assicuratore ai sensi della L. n. 990 del 1969, che integra esercizio di attività stragiudiziale puramente strumentale a quella giudiziale, essendo condizione per la proponibilità dell’azione risarcitoria” (così, Cass. Sez. 3, ord. 14 febbraio 2019, n. 4306, non massimata).

Tuttavia, diversamente da quanto lamenta il ricorrente, l’affermazione con cui la sentenza impugnata ha escluso che la fattura potesse costituire idonea prova di tali spese – documento astrattamente utile a tale scopo, se è vero che questa Corte ha ritenuto sufficiente persino il preavviso di fattura (cfr., in motivazione, Cass. Sez. 2, sent. 12 dicembre 2019, n. 32692, nonchè, sempre in motivazione, Cass. Sez. 6-3, ord. 17 dicembre 2021, n. 40591) – non è stata compiuta dalla Corte territoriale ritenendo la fattura inidonea di per sè. Per contro, la Corte ha ritenuto che essa fosse del tutto generica nella individuazione dell’attività stragiudiziale svolta e, dunque, non in grado di dimostrarne l’utilità, vale a dire quel carattere di strumentalità o complementarietà rispetto all’attività propriamente processuale di cui si è sopra detto.

9. In conclusione, il ricorso va accolto solo quanto al suo terzo motivo.

La sentenza impugnata, pertanto, va cassata in relazione, rinviando alla Corte d’appello di Milano, in diversa sezione e composizione, per la decisione sul merito (e sulle spese, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità), alla stregua del seguente principio di diritto:

“la scelta di chi abbia subito danni alla persona di rivolgersi a una struttura sanitaria privata, in luogo di quella pubblica, non può automaticamente essere considerata – in relazione alla domanda di rimborso delle relative spese mediche – ragione di applicazione a carico del danneggiato dell’art. 1227 c.c., comma 2”.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il primo e non fondati il secondo e il quarto, cassando in relazione la sentenza impugnata e rinviando alla Corte d’appello di Milano, in diversa sezione e composizione, per la decisione sul merito e sulle spese, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità.

Conclusione

Così deciso in Roma, all’esito dell’udienza pubblica della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, svoltasi – in forma camerale, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito in L. 18 dicembre 2020, n. 176, non essendo pervenuta alcuna richiesta di trattazione “in presenza” -, il 4 maggio 2023.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2023

chi risarcisce i danni al truffato

Privacy

Truffe Sim: chi risarcisce i danni al truffato?

(Articolo di Giuseppina Satta)

Il Tribunale di Roma, con le decisioni del 19 luglio 2023 e dell’11 settembre 2023, torna ad occuparsi di frodi informatiche compiute a danno della clientela bancaria attraverso la tecnica della c.d. Sim swap fraud. In entrambe le vicende dedotte in lite il Tribunale di Roma accerta la responsabilità dell’operatore telefonico – chiamato in causa dalla banca presso cui gli utenti avevano acceso il rapporto di conto corrente dal quale erano stati effettuati i prelievi illegittimi di denaro – ritenendo che la truffa non avrebbe potuto perfezionarsi se i terzi non fossero riusciti ad intervenire sull’utenza telefonica certificata. In particolare, la condotta negligente dell’operatore telefonico, estrinsecatasi in una superficiale verifica dell’identità del richiedente la sostituzione della SIM, è ritenuta causalmente connessa con l’esecuzione dei bonifici indebiti.

I due casi dedotti in lite

Le due fattispecie affrontate dal Tribunale di Roma sono simili e possono essere riassunte come segue:

– alcuni utenti, titolari di rapporti di conto corrente presso una banca, lamentano il proprio incolpevole coinvolgimento nella frode informatica denominata “Sim Swap Fraud”, consistente nella sottrazione di denaro ad opera di terzi tramite l’ottenimento fraudolento del duplicato della Sim sul telefono cellulare;

– la banca convenuta contesta le domande attoree e ne chiede il rigetto sostenendo… [continua a leggere qui]

 

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La mediazione familiare

Separazione e Divorzio

Separazione e divorzio insieme?: arriva l’ok della Cassazione

Cassazione conferma: Ammissibile il cumulo di separazione e divorzio nei procedimenti consensuali

L’Organismo congressuale forense esprime la sua soddisfazione per il superamento dei dubbi interpretativi nella sentenza n. 28727/2023 (riportata in calce) della Cassazione. 

Questa decisione ha chiarito le divergenze tra i Tribunali di merito riguardo alla possibilità di presentare un ricorso congiunto per la separazione e il divorzio in seguito alla Riforma Cartabia. L’annuncio di questa importante sentenza è stato dato tramite comunicato stampa il 16 ottobre scorso.

La questione era sorta a seguito di un’interpretazione contrastante tra il Tribunale di Firenze, che aveva ritenuto inammissibile il cumulo di domande per la separazione e il divorzio (sentenza n. 4458/2023), e altri Tribunali, come quelli di Milano (sentenza n. 3542/2023), Vercelli, Genova e Lamezia Terme, che avevano invece consentito questa pratica nei procedimenti consensuali.

Il Tribunale di Firenze aveva argomentato che il legislatore intendesse mantenere una distinzione tra procedimento giudiziale e procedimento consensuale, consentendo il cumulo solo nel primo. Al contrario, i Tribunali favorevoli al cumulo si erano basati sulla lettera dell’art. 473 bis. 51 c.p.c., sottolineando il richiamo ai “procedimenti” al plurale, il che avrebbe lasciato intendere l’intenzione del legislatore di ammettere il cumulo anche nei procedimenti consensuali e non solo in quelli contenziosi.

Vista la divergenza di opinioni tra i vari Tribunali di merito e l’importanza della questione, il Tribunale di Treviso aveva richiesto l’intervento della Suprema Corte di Cassazione attraverso un rinvio pregiudiziale in un’ordinanza del 1 giugno scorso.

Poco tempo dopo, la Prima sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 28727, ha risolto le discordie tra le sentenze dei Tribunali di merito, fornendo un’interpretazione chiara dell’art. 473 bis. 49 c.p.c.

Secondo la Corte Suprema, “in tema di crisi familiare, nell’ambito del procedimento di cui all’art. 473 bis. 51 c.p.c. è ammissibile il ricorso dei coniugi proposto con domanda congiunta e cumulata di separazione e di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio”.

Questa decisione ha soddisfatto… [continua a leggere qui]

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LA SENTENZA INTEGRALE

Cassazione civile, Sez. I, Sentenza del 16/10/2023, n. 28727

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 11906/2023 proposto da:

Tribunale di Treviso con ordinanza del 31 maggio 2023, nel procedimento su domanda congiunta promosso da:

A.A. E B.B., domiciliati ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dagli avvocati D’ANGELO INNOCENZO (DNGNCN57L17E098L);

-ricorrenti-

Udita la relazione svolta alla pubblica udienza del 06/10/2023 dal Consigliere GIULIA IOFRIDA. Udito il P.M., in persona dell’Avvocata Generale Rita Sanlorenzo, la quale ha concluso riportandosi alla requisitoria scritta;

sentito l’Avv.to D’Angelo per i ricorrenti.

Svolgimento del processo

I coniugi A.A. E B.B., con ricorso congiunto depositato il 15/5/2023, dinanzi al Tribunale di Treviso, hanno chiesto di pronunciare la loro separazione personale e dare le consequenziali disposizioni relative all’affido e alla collocazione della loro figlia minorenne e al contributo economico del genitore non collocatario in favore di quest’ultima e del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente. Con lo stesso ricorso le parti hanno chiesto al Tribunale di pronunciare, decorso il periodo di tempo previsto dall’art. 3 della legge n. 898/1970 e previo il passaggio in giudicato della sentenza che pronuncia la separazione personale, lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio alle stesse condizioni richieste per la separazione personale, ordinando all’ufficiale dello stato civile di procedere all’annotazione della sentenza.

All’udienza fissata per la comparizione delle parti, il giudice delegato dal Presidente del Tribunale ha prospettato ai coniugi l’esistenza di una questione pregiudiziale di puro diritto, relativa all’ammissibilità, in rito, del cumulo oggettivo della domanda congiunta di separazione personale con quella, parimenti congiunta, di divorzio, riservandosi di riferirne al collegio.

Con ordinanza di rinvio pregiudiziale del 31 maggio 2023, il Tribunale di Treviso ha investito la Suprema Corte di Cassazione della questione di rito relativa all’ammissibilità del cumulo oggettivo delle domande congiunte di separazione e divorzio.

Con decreto della Prima Presidenza in data 14 giugno 2023, ai sensi dell’art. 363 bis c.p.c., la questione è stata assegnata alla prima sezione civile, per l’enunciazione del correlato principio di diritto.

E’ stata fissata per la trattazione l’udienza pubblica del 6/10/2023.

Il P.G. ha depositato memoria, concludendo perchè questa Corte formuli il principio di diritto “secondo il quale è ammissibile il cumulo, in caso di ricorso consensuale, delle domande di separazione e di scioglimento o cessazione degli effetti ci matrimonio.

In data 6/9/23 i sig.ri A.A. e B.B. hanno depositato memoria di costituzione.

All’udienza pubblica del 6/10/2023, sono stati sentiti il P.G. e il difensore delle parti.

Motivi della decisione

1.Due importanti novità introdotte con la recente Riforma c.d., Cartabia, di cui al d.lgs. n. 149/2022, vengono al vaglio di questo giudice di legittimità.

1.1.La prima è rappresentata dall’istituto del cd. rinvio pregiudiziale da parte del giudice di merito.

Si tratta di uno strumento già presente in altri ordinamenti stranieri, in particolare in quello francese, consistente nella possibilità per il giudice di merito di sottoporre direttamente alla Suprema Corte una questione di diritto, sulla quale deve decidere e in relazione alla quale ha preventivamente provocato il contraddittorio tra le parti.

Non essendo presente nell’ordinamento italiano alcun istituto volto a fornire una visione globale del contenzioso emergente nei tribunali e nelle corti d’appello, anticipando il possibile contenzioso futuro dinanzi al giudice di legittimità, tenendo conto dell’eventuale carattere seriale delle controversie, per poterne assicurare una trattazione congiunta, al fine di colmare questa lacuna, il legislatore italiano ha sentito la necessità di un maggior raccordo tra questa Corte e i giudici di merito. Per questo motivo, la lett. g) del comma 9 dell’articolo unico della legge delega n. 206 del 2021 ha demandato al legislatore delegato di introdurre la possibilità che “il giudice di merito”, quando deve decidere una questione di diritto, possa sottoporre d’ufficio direttamente la questione alla Corte di cassazione per la risoluzione del quesito di diritto. La legge delega, poi, ha delimitato il tipo di questione che il giudice può sottoporre alla Suprema Corte, precisando che deve trattarsi di una questione:

a) esclusivamente di diritto; b) nuova, non essendo stata ancora affrontata dalla Corte di cassazione; c) di particolare importanza; d) con gravi difficoltà interpretative; e) tale da riproporsi in numerose controversie.

E’, altresì, necessario che la questione sia stata preventivamente sottoposta al contraddittorio delle parti.

In attuazione del principio di delega, il legislatore delegato, con il D.Lgs. n. 149 del 2022, ha introdotto l’art. 363 bis c.p.c., rubricato “Rinvio pregiudiziale”, prevedendo che il giudice, con ordinanza e dopo aver sentito le parti costituite, possa disporre il rinvio pregiudiziale degli atti alla Corte di cassazione per la risoluzione di una questione esclusivamente di diritto.

Il comma 1 dell’art. 363 bis c.p.c. elenca le caratteristiche che la questione di diritto deve avere, per l’utile accesso allo strumento in esame e segnatamente che: 1) la questione sia necessaria alla definizione anche parziale del giudizio e non sia stata ancora risolta dalla Corte di cassazione; 2) la questione presenti gravi difficoltà interpretative; 3) sia suscettibile di porsi in numerosi giudizi.

Il comma 2 prevede che l’ordinanza debba essere motivata (analogamente a quelle con cui viene sollevata una questione di legittimità costituzionale) e, in particolare, con riferimento al requisito delle gravi difficoltà interpretative, si richiede che venga data indicazione delle diverse interpretazioni possibili.

Alla luce di tale specificazione, si evince che la questione di diritto che presenta gravi difficoltà interpretative sia quella per la quale sono possibili diverse opzioni interpretative, tutte parimenti attendibili. Il deposito dell’ordinanza che dispone il rinvio pregiudiziale comporta, inoltre, la automatica sospensione del procedimento di merito, ma la disposizione fa salvo il compimento degli atti urgenti e dell’attività istruttoria non dipendente dalla soluzione della questione oggetto del rinvio pregiudiziale.

Il comma 3, infine, introduce una sorta di filtro delle ordinanze di rimessione da parte del Primo presidente della Corte di cassazione, il quale, ricevuti gli atti, entro il termine di novanta giorni, valuta la sussistenza dei presupposti previsti dalla norma. In caso di valutazione positiva, assegna la questione alle sezioni unite o alla sezione semplice (secondo le ordinarie regole di riparto degli affari); mentre in caso di valutazione negativa, dichiara inammissibile la questione con decreto. Tale meccanismo conferma che lo strumento non integra un mezzo di impugnazione.

Trattandosi di questioni rilevanti, si è previsto che la Corte, sia a sezioni unite che a sezione semplice, pronunci sempre in pubblica udienza con la requisitoria scritta del pubblico ministero e con la facoltà per le parti di depositare brevi memorie, nei termini di cui all’art. 378 c.p.c. Una volta superato il vaglio di ammissibilità, il procedimento si conclude con l’enunciazione del principio di diritto da parte della Corte, espressamente previsto come vincolante nel giudizio nell’ambito del quale è stata rimessa la questione. Qualora, poi, tale giudizio si estingua, l’ultimo comma dell’articolo in esame estende il vincolo del principio di diritto enunciato dalla Corte anche al nuovo processo instaurato tra le stesse parti, con la riproposizione della medesima domanda.

Questo aspetto rappresenta uno dei più rilevanti profili di differenza tra l’istituto italiano e quello francese della saisine pour avis. (art. L. 441-1 del codice di organizzazione giudiziaria francese): mentre nell’ordinamento francese la Corte di cassazione esprime semplicemente un parere sulla questione sollevata, non vincolante per il giudice di merito, il principio di diritto enunciato dalla Corte Suprema italiana, ai sensi dell’art. 363 bis c.p.c., non si limita ad un mero parere, ma vincola la decisione del giudice di merito, che ha sollevato la questione, e tutti i giudici che interverranno nel medesimo procedimento.

La finalità del nuovo istituto è prettamente deflativa e viene perseguita attraverso l’enunciazione di un principio di diritto, che può costituire un precedente in una serie di giudizi, accomunati dalla difficoltà interpretativa di una disposizione nuova o sulla quale non si è ancora formato un univoco orientamento giurisprudenziale. Si è rilevato in dottrina che il nuovo istituto tende a realizzare una sorta di anomofilachia preventiva”, allo scopo di pervenire ad indirizzi giurisprudenziali uniformi, considerato che la prevedibilità della decisione oggi deve essere considerata come un “valore”, che si riflette sulla certezza del diritto, sulla tutela dei cittadini che vi fanno affidamento e sulla effettività del principio di uguaglianza, che impone uniforme trattamento, anche giurisdizionale, di fronte a casi simili.

In definitiva, oggetto del rinvio deve essere una questione esclusivamente di diritto (di merito, ma anche di rito), rilevante, in quanto necessaria per la risoluzione, anche parziale, della controversia pendente dinanzi al giudice remittente, e nuova, da intendersi nel senso che non sia stata ancora “risolta” dalla Corte di cassazione; la questione sollevata con il rinvio pregiudiziale deve inoltre presentare “gravi difficoltà interpretative”, tanto da essere richiesto che l’ordinanza, che dispone il rinvio pregiudiziale, rechi la specifica indicazione delle diverse interpretazioni possibili. è pertanto, necessario che il giudice di merito remittente esamini tutte le interpretazioni alternative, evidenziandone i contrasti e la grave difficoltà per la loro risoluzione; in ultimo, è necessario che la questione sia “suscettibile di porsi in numerosi giudizi”, ciò ricollegandosi alla funzione deflattiva dell’istituto.

1.2. La seconda novità che giunge all’attenzione di questa Corte è rappresentata dal disposto dell’art. 473 bis.49 c.p.c., che ha effetto a decorrere dal 28/2/2023 e si applica ai procedimenti instaurati successivamente a tale data, ai sensi dell’art. 35 comma 1 D.Lgs. n. 149/2022.

Il D.Lgs. n. 10 ottobre 2022, n. 149, ha introdotto la facoltà di presentare contestualmente la domanda di separazione e quella di divorzio, pur restando la seconda procedibile unicamente decorso il termine a tal fine previsto dalla legge (6 o 12 mesi, secondo i casi, in ragione della procedura consensuale o contenziosa, ai sensi dell’art. 3 della legge sul divorzio).

Nel libro secondo (dedicato al processo di cognizione), all’interno del Titolo IV bis (Norme per il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie), Sezione II (dedicata ai “procedimenti di separazione, di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento dell’unione civile e di regolamentazione dell’esercizio della responsabilità genitoriale, nonchè di modifica delle relative condizioni”) del Capo II , l’art.47-bis.49 ( Cumulo di domande di separazione e scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio ), così recita : “Negli atti introduttivi del procedimento di separazione personale le parti possono proporre anche domanda di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio e le domande a questa connesse. Le domande così proposte sono procedibili decorso il termine a tal fine previsto dalla legge, e previo passaggio in giudicato della sentenza che pronuncia la separazione personale. Se il giudizio di separazione e quello di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio sono proposti tra le stesse parti davanti a giudici diversi, si applica l’artico/o 40. In presenza di figli minori, la rimessione avviene in favore del giudice individuato ai sensi dell’articolo 473-bis. 11, primo comma. Se i procedimenti di cui al secondo comma pendono davanti allo stesso giudice, si applica l’articolo 274. La sentenza emessa all’esito dei procedimenti di cui al presente articolo contiene autonomi capi per le diverse domande e determina la decorrenza dei diversi contributi economici eventualmente previsti”.

L’art. 473 -bis.51 (Procedimento su domanda congiunta stabilisce che: “La domanda congiunta relativa ai procedimenti di cui all’artico/o 473-bis.47 – domande di separazione personale dei coniugi, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, scioglimento dell’unione civile e regolamentazione dell’esercizio della responsabilità genitoriale nei confronti dei figli nati fuori dal matrimonio, nonchè per quelle di modifica delle relative condizioni – si propone con ricorso al tribunale del luogo di residenza o di domicilio dell’una o dell’altra parte. Il ricorso è sottoscritto anche dalle parti e contiene le indicazioni di cui all’articolo 473- bis.12, primo comma, numeri 1), 2), 3) e 5), e secondo comma, e quelle relative alle disponibilità reddituali e patrimoniali dell’ultimo triennio e degli oneri a carico delle parti, nonchè le condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici. Con il ricorso le parti possono anche regolamentare, in tutto o in parte, i loro rapporti patrimoniali. Se intendono avvalersi della facoltà di sostituire l’udienza con il deposito di note scritte, devono farne richiesta nel ricorso, dichiarando di non volersi riconciliare e depositando i documenti di cui all’articolo 473-bis.13, terzo comma. A seguito del deposito, il presidente fissa l’udienza per la comparizione delle parti davanti al giudice relatore e dispone la trasmissione degli atti al pubblico ministero, il quale esprime il proprio parere entro tre giorni prima della data dell’udienza. All’udienza il giudice, sentite le parti e preso atto della loro volontà di non riconciliarsi, rimette la causa in decisione. Il giudice può sempre chiedere i chiarimenti necessari e invitare le parti a depositare la documentazione di cui all’articolo 473-bis.12, terzo comma. Il collegio provvede con sentenza con la quale omologa o prende atto degli accordi intervenuti tra le parti. Se gli accordi sono in contrasto con gli interessi dei figli, convoca le parti indicando loro le modificazioni da adottare, e, in caso di inidonea soluzione, rigetta allo stato la domanda. In caso di domanda congiunta inirenti all’esercizio della responsabilità genitoriale nei confronti dei figli e ai contributi economici in favore di questi o delle parti, il presidente designa il relatore che, acquisito il parere del pubblico ministero, riferisce in camera di consiglio. Il giudice dispone la comparizione personale delle parti quando queste ne fanno richiesta congiunta o sono necessari chiarimenti in merito alle nuove condizioni proposte”.

Il legislatore, quindi, ha espressamente previsto l’ammissibilità della domanda cumulata di separazione e di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, nell’art. 473 -bis.49 c.p.c., con riferimento al giudizio contenzioso (subordinando, come è naturale e giusto che sia, la procedibilità del divorzio al ricorrere dei presupposti indicati dall’art. 3, comma 1, n. 2, lett. b, I. div.), mentre analoga previsione non è stata riportata nell’art. 47 3 -bis.51 c.p.c., norma dedicata al “procedimento su domanda congiunta”, che detta una specifica disciplina relativa a tutti i procedimenti di cui all’art. 473 -bis.47 c.p.c. (e dunque separazione, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, scioglimento dell’unione civile e regolamentazione dell’esercizio della responsabilità genitoriale, nonchè di modifica delle relative condizioni), laddove presentati in forma congiunta.

E’ utile rammentare che, nel regime vigente ante Riforma 2022, il procedimento (artt. 711 c.p.c. e 158 e.e.) su domanda giudiziale di separazione consensuale (essendo stata introdotta con il d.lgs. n. 132/2014, conv. in L.n. 162/2014, anche la possibilità per i coniugi di presentare una richiesta congiunta all’Ufficiale di Stato civile o di stipulare un accordo di separazione con l’assistenza degli avvocati) inizia con ricorso, contenente l’accordo dei coniugi sulla decisione di separarsi e sulla eventuale regolamentazione dei rapporti reciproci e di quelli con i figli, atto di natura negoziale, produttivo di effetti con il decreto di omologazione da parte del Tribunale, e si articola in due fasi: la prima dinanzi al Presidente del Tribunale, ove vengono sentite entrambe le parti e viene tentata la conciliazione, con rimessione al collegio della causa, in caso di fallimento del tentativo di conciliazione; la seconda, dinanzi al collegio, in camera di consiglio, che si conclude con il decreto di omologazione o con il rifiuto “allo stato” dell’omologazione, quando si ravvisi nel contenuto negoziale un pregiudizio dell’interesse dei figli. Il procedimento abbreviato di divorzio dettato dall’art.4, comma 16, D. n. 898/1970, abrogato con il d.lgs. n. 149/2022, su domanda congiunta dei coniugi (essendosi introdotta, sempre con il d.lgs. n. 132/2014, limitatamente al caso in cui lo scioglimento del matrimonio dipenda da separazione legale protrattasi per il tempo previsto, una procedura stragiudiziale, con richiesta congiunta espressa davanti all’ufficiale di stato civile oppure con ricorso alla negoziazione assistita) si svolge in camera di consiglio: il Tribunale, sentiti i coniugi, deve verificare la sussistenza di una delle cause previste dalla legge per giustificare lo scioglimento del matrimonio (e in ciò la differenza rispetto al procedimento di separazione consensuale) e valutare se le condizioni pattuite non contrastino con l’interesse dei figli, e si conclude con sentenza, in caso di esito positivo di detto vaglio; se il Tribunale ritiene che l’accordo contrasta con l’interesse dei figli, il procedimento verrà trasformato in quello ordinario, operando il comma 8 dell’art.4, secondo il quale, fallito il tentativo d conciliazione tra i coniugi o se non compare il coniuge convenuto, il Presidente del Tribuna le, dinanzi al quale le parti devono comparire personalmente, pronuncia i provvedimenti temporanei ed urgenti nell’interesse dei coniugi e/o dei figli, nomina il giudice istruttore e fissa l’udienza di comparizione e trattazione dinanzi a quest’ultimo).

1.3. La questione di diritto posta dall’ordinanza del Tribunale di Treviso , nell’ambito di un giudizio instaurato nel maggio 2023, promosso su domanda congiunta dei coniugi, al fine di sentire pronunciare la loro separazione personale alle condizioni concordate e, decorso il periodo di tempo previsto dall’art. 3 della legge n. 898/1970 e previo il passaggio in giudicato della sentenza che pronuncia la separazione personale, lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, attiene per l’appunto al problema della cumulabilità, in un simultaneus processus, delle domande di separazione e divorzio, che già ha trovato soluzioni contrastanti nella giurisprudenza di merito che per prima se ne è occupata, come indicato nell’ordinanza del Tribunale di Treviso.

Nell’ordinanza viene evidenziata la presenza di gravi difficoltà interpretative, attesa la sussistenza di posizioni contrastanti, sia nella giurisprudenza di merito, sia in dottrina in relazione all’ammissibilità del cumulo delle domande proposte in via consensuale. Il Tribunale di Treviso ha, pertanto, richiamato l’emersione di due diversi orientamenti: uno favorevole all’ammissibilità del cumulo delle domande di separazione personale e divorzio in procedimenti non contenziosi; l’altro contrario all’ammissibilità del cumulo, incentrato sull’essere tale facoltà riservata dalla legge alle sole ipotesi di procedimento contenzioso.

2. I diversi orientamenti che si sono espressi, a livello giurisprudenziale [con provvedimenti giurisdizionali o comunicazioni di carattere organizzativo da parte dei Presidenti degli uffici giudiziari: a) a favore dell’ammissibilità del cumulo, tra gli altri, i Tribunali di Genova, Milano, Vercelli, Lamezia Terme; b) in senso contrario, i Tribunali di Bari, Padova e Firenze] e dottrinale, hanno utilizzato criteri letterali e sistematici di interpretazione.

Quanto al criterio letterale, da una parte, si è osservato che l’art. 473 -bis.51 c.p.c. non prevede espressamente la possibilità di realizzare il cumulo oggettivo di domande congiunte, a differenza di quanto invece e previsto, per le domande contenziose, dall’art. 473 -bis.49 c.p.c. Sulla scorta di tale osservazione, si è dunque concluso che “ubi /ex non dixit, non voluit”.

Si è, di contro, osservato, sempre su un piano letterale, che il riferimento, contenuto nel primo comma dell’art. 47 3 -bis. 51 c.p.c., alla “domanda congiunta relativa ai procedimenti di cui all’art. 473 bis.47”, sarebbe un indizio nel senso dell’ammissibilità del cumulo.

In altre parole, se il legislatore avesse inteso escludere il cumulo, non avrebbe usato il plurale (“…relativa ai procedimenti di cui all’art. 473 bis.47” ), ma si sarebbe riferito ad “uno dei procedimenti di cui all’art. 473 bis.47”.

Da un punto di vista sistematico: (a) sostenitori della tesi contraria all’ammissibilità hanno evidenziato che l’idea del cumulo è incompatibile con la natura di procedimento di volontaria giurisdizione che avrebbe quello scaturente dalla domanda congiunta dei coniugi (in particolare, si è detto che il processo volontario non potrebbe contenere una sentenza non definitiva, seguita da un rinvio per verificare la sussistenza, a distanza di sei mesi, delle condizioni di procedibilità e quindi da una sentenza definitiva sullo scioglimento del vincolo matrimoniale) e si è rilevato che il risparmio di energie processuali che si ottiene nel giudizio contenzioso non è – di fatto – comparabile con quello che si potrebbe astrattamente conseguire nel procedimento di cui all’art. 473- bis.51 c.p.c., essendo profondamente diversa la natura dei due giudizi, nonchè l’attività processuale che negli stessi viene compiuta (in sostanza, si assume che, laddove si consentisse il cumulo delle domande nel procedimento congiunto si otterrebbe l’effetto contrario, provocando un allungamento della durata del procedimento, ora definibile nel giro di pochi giorni dal deposito, in quanto, in caso di cumulo delle domande, il medesimo procedimento resterebbe pendente per tutto il tempo necessario al maturare dei presupposti per il divorzio); (b) le pos1z1oni aperte all’ammissibilità hanno, invece, obiettato che la compatibilità strutturale del cumulo con un determinato procedimento deve essere vista in concreto, non sulla base della qualificazione astratta della natura di tale procedimento e che anche il procedimento a domanda congiunta è ormai interamente definito con sentenza (art. 47 3 -bis.51, comma 4, c.p.c.), con la conseguente possibilità di applicare l’art. 279 c.p.c., pronunciando sentenza non definitiva (art. 279, comma 2, n. 4 c.p.c.) o anche definitiva (art. 279, comma 2, n. 5 c.p.c.) su una delle domande congiunte di separazione e divorzio.

Un ulteriore argomento, evocato dai sostenitori della tesi contraria al cumulo in caso di domande consensuali, è il tema dell’indisponibilità dei diritti oggetto degli accordi: questi ultimi sarebbero dei “patti prematrimoniali” volti a incidere sugli effetti dell’ eventuale futuro divorzio e quindi nulli, ai sensi dell’art. 160 e.e., vieppiù se si considera che essi avrebbero ad oggetto diritti che, oltre ad essere indisponibili, non sarebbero ancora sorti. Secondo tale impostazione, dunque, i due procedimenti in esame non potrebbero essere assimilati, sia dal punto di vista funzionale sia dal punto di vista strutturale: con riguardo al cumulo della domanda di separazione con quella di divorzio, si osserva che nei procedimenti contenziosi le parti non stabiliscono, pattuendoli tra loro, gli effetti discendenti dalle rispettive domande, ma si limitano a chiedere al tribunale di procedere congiuntamente alla trattazione e all’istruttoria delle stesse, decidendo su entrambe, mentre nei procedimenti instaurati con ricorso congiunto delle due parti le stesse disciplinerebbero contemporaneamente i diritti conseguenti ad entrambi gli status, in netto contrasto con la costante giurisprudenza di legittimità, che qualifica come nullo, ai sensi dell’art. 160 e.e. (in forza del quale “gli sposi non possono derogare nè ai diritti nè ai doveri previsti dalla legge per effetto del matrimonio), l’accordo che, m sede d1 separazione, contenga patti volti a regolare gli effetti dello scioglimento del vincolo matrimoniale.

In ultimo, si pone l’accento sull’assenza di disposizioni destinate a gestire le “sopravvenienze” con riferimento al cumulo di domande congiunte. Mentre l’adattamento del processo contenzioso alle sopravvenienze sarebbe garantito dal disposto dell’art. 473-bis.19, secondo comma, c.p.c. (“Le parti possono sempre introdurre nuove domande e nuovi mezzi di prova relativi all’affidamento e al mantenimento dei figli minori. Possono altresì proporre, nella prima difesa utile successiva e fino al momento della precisazione delle conclusioni, nuove domande di contributo economico in favore proprio e dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente e i relativi nuovi mezzi di prova, se si verificano mutamenti nelle circostanze o a seguito di nuovi accertamenti istruttori”), che offre la possibilità alle parti (i coniugi) di modificare e meglio calibrare il contenuto delle domande e delle difese nel caso in cui si verifichino “mutamenti nelle circostanze” (mentre il comma 29 affida la modificabilità dei provvedimenti giurisdizionali già adottati, a tutela dei minori e in materia di contributi economici, al sopravvenire di “giustificati motivi”).

Analoga disposizione non vi sarebbe con riferimento al cumulo di domande congiunte.

Il Tribunale di Treviso, alla luce di tali considerazioni, ritiene opportuno che questa Corte pronunci il principio di diritto al fine di evitare la persistenza di filoni giurisprudenziali di merito discordanti.

3. Il P.G. ritiene ammissibile il cumulo delle domande di separazione e scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio nel caso di proposizione cumulativa delle stesse domande in via consensuale.

Da un punto di vista letterale, si rileva che il leglatore, pur avendo disciplinato in maniera espressa unicamente il cumulo delle domande nell’ambito dei procedimenti contenziosi, ha fatto riferimento (art. 473-bis.51) all’unicità del ricorso nel caso del procedimento su domanda congiunta e ha utilizzato il plurale (“relativo ai procedimenti”, in luogo di “relativo al procedimento”), dovendosi interpretare tale disposizione quali elemento favorevole all’ammissibilità del cumulo.

Altro elemento a favore dell’ammissibilità del cumulo, dovrebbe rinvenirsi nella ratio sottesa all’introduzione dello stesso per i procedimenti contenziosi, in quanto anche la proposizione cumulativa delle domande congiunte di separazione e divorzio realizza quel “risparmio di energie processuali” alla base della previsione dell’art. 47 3 -bis.49 c.p.c. Le parti, infatti, “data l’irreversibilità della crisi matrimoniale, potrebbero voler concentrare e concludere in un’unica sede e con un unico ricorso la negoziazione delle modalità di gestione complessiva di tale crisi e la definizione, benchè progressiva, della stessa”.

Quanto poi al tema dell’indisponibilità dei diritti oggetto degli accordi, i quali sarebbero nulli ai sensi dell’art. 160 e.e., poichè avrebbero ad oggetto diritti che, oltre ad essere indisponibili, non sarebbero ancora sorti, si evidenzia, nella requisitoria, che “i coniugi che propongono due domande congiunte di separazione e divorzio, cumulate in simultaneus processus, non concludono, in sede di separazione, un accordo sugli effetti del loro eventuale futuro divorzio, tale da condizionare la volontà di un coniuge o da comprimere i suoi diritti indisponibili”.

Si rileva, infine, che il verificarsi di sopravvenienze di fatto che incidano sull’accordo concluso contenuto nella domanda congiunta di divorzio può avvenire anche nel caso in cui le domande di separazione e divorzio non siano proposte in cumulo, non potendosi considerare un impedimento “il semplice dilatarsi dell’arco temporale tra il deposito del ricorso e la sentenza che pronuncia il divorzio”.

In conclusione, ad avviso della Procura Generale, non si riscontrano ragioni che possano giustificare una disparità di trattamento tra il giudizio contenzioso e quello su istanza congiunta.

4. In via preliminare, la specifica questione di diritto risulta pienamente ammissibile, come già risolto sulla base di un controllo prima facie : trattasi di questione rilevante nel giudizio in cui è stata sollevata perchè pregiudiziale rispetto all’accoglimento delle conclusioni rassegnate dalle parti – dovendo, in caso di soluzione negativa, la domanda relativa allo scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio essere dichiarata inammissibile – , che involge il rito e l’interpretazione di norme processuali, dettate dal legislatore del 2022 in sede di Riforma del processo della famiglia, quindi di questione di diritto, di rilievo nomofilattico, perchè destinata a riprodursi in una serie di controversie, non ancora “risolta” da questo giudice di legittimità e caratterizzata da gravi difficoltà interpretative, come manifestato dal contrasto insorto, in sede di prima attuazione della Riforma, tra i giudici di merito.

5. Al fine di risolvere la questione interpretativa in oggetto è, anzitutto, utile un richiamo alla ratio della novità legislativa introdotta con l’art.473-bis.49, con la previsione del cumulo delle domande di separazione e divorzio nei procedimenti contenziosi.

Orbene, nella relazione illustrativa al decreto legislativo n. 149 del 2022, si evidenzia la “necessità di dettare disposizioni che possano prevedere un coordinamento tra i due procedimenti, nonchè ove opportuna la loro contemporanea trattazione”.

Vengono, dunque, in rilievo, due profili: il primo, riguardante il “risparmio di energie processuali” realizzato con il simultaneus processus relativo a pretese identiche o implicanti accertamenti di fatto comuni o comunque almeno in parte rilevanti per entrambi i processi; l’altro, riguardante 11 coordinamento delle aec1s1orn rese nei distinti giudizi.

Una parte della dottrina ha messo in risalto le grandi difficoltà pratiche e tecniche derivanti dall’esistenza di due distinti procedimenti, che, anche nel loro articolarsi lungo il percorso delle impugnazioni, danno luogo a una sequela di decisioni provvisorie e definitive che si rincorrono nel tempo e che possono “dettare una difforme disciplina dei rapporti controversi con conseguenze di non agevole governo, sia sul piano sostanziale (si pensi al problema della ripetibilità delle somme), sia sul piano processuale (si pensi alle alterne sorti del titolo esecutivo)”. In questa prospettiva, il nuovo art. 47 3 -bis.49 c.p.c. cercherebbe di mitigare tali difficoltà di coordinamento dovute alla possibile sovrapposizione di giudizi volti a regolare lo sviluppo in progressione di una medesima crisi familiare, all’insegna di una più efficace tutela giurisdizionale dei diritti (art. 24, comma 1, Cost.).

Inoltre, il “risparmio di energie processuali” che si ottiene nel giudizio contenzioso non sarebbe affatto comparabile con quello che si potrebbe conseguire con il cumulo di domande congiunte, di cui all’art. 47 3 -bis.51 c.p.c., essendo profondamente diversa la natura dei due giudizi e l’attività processuale che in essi viene compiuta.

Sulla base di tali rilievi, da taluni si è negato che – ai fini dell’ammissibilità del cumulo di domande congiunte – ricorra la stessa ratio sottesa alla previsione espressa di ammissibilità del cumulo rispetto alle domande contenziose.

Deve, tuttavia, rilevarsi che le novità introdotte con l’art. 473- bis.49 c.p.c. rispetto alla disciplina previgente dei rapporti tra il processo di separazione giudiziale e quello di divorzio sono essenzialmente due: 1) la prevalenza data alle ragioni di connessione, rispetto al criterio della competenza per territorio inderogabile (art. 28 c.p.c., in relazione alle cause previste nei nn. 2 e 3 dell’art. 70 c.p.c.), tale da rendere poss1b1le l’attrazione a del giudizio di separazione, adito preventivamente (art. 40 c.p.c.), anche del giudizio di divorzio per il quale sia competente, in base alle regole dell’art. 473 -bis.47 c.p.c., un diverso foro; 2) l’ammissibilità del cumulo oggettivo delle domande contenziose di separazione e divorzio.

Orbene, se la prima delle due novità non può avere alcuna incidenza sui procedimenti a domanda congiunta, non potendo sostanzialmente, attesa in primis la ontologica speditezza degli stessi, verificarsi una contemporanea pendenza presso distinti tribunali tra il procedimento di separazione consensuale e quello di divorzio congiunto, la seconda novità non è strutturalmente incompatibile con i procedimenti a domanda congiunta.

Invero, il cumulo oggettivo di domande anche tra loro non connesse per titolo o petitum esiste da sempre nel nostro ordinamento processual-civilistico (artt. 10, 104 c.p.c.), ed è espressione di un principio generale relativo all’esercizio dell’azione (titoloIV del libro I del codice di rito) e l’introduzione dell’art. 473- bis.49 c.p.c. ha “normativizzato, in subiecta materia, il cumulo condizionale cd. successivo”.

La possibilità, infatti, di realizzare il cumulo anche tra domande “non altrimenti connesse” è positivamente apprezzata dall’ordinamento (art. 104, comma I , c.p.c.) perchè consente un “risparmio di energie processuali” inteso come concentrazione in un’unica sede processuale delle attività volte alla trattazione e alla decisione di diverse domande. La parte a ciò interessata potrà proporre, insieme con la domanda di separazione personale, anche la domanda di divorzio, senza condizionarne, volontariamente ed esplicitamente, la trattazione al passaggio in giudicato della sentenza sulla domanda di separazione e al decorso del periodo di separazione minimo previsto dalla legge: il cumulo sarà già condizionato ex lege.

Da un punto di vista sistematico, con riferimento ai principi generali, non si rinvengono ostacoli alla ammissibilità del cumulo anche con riferimento alle domande congiunte di separazione e divorzio: la trattazione della domanda congiunta di divorzio sarà condizionata all’omologazione (con sentenza passata in giudicato) della separazione consensuale, oltre che al decorso del termine minimo di separazione (sei mesi) previsto dalla legge, ed avverrà con il rito “comune” di cui all’art. 47 3 -bis.51 c.p.c. Nè può dirsi che la proposizione cumulativa delle domande congiunte di separazione e divorzio non realizzi quel “risparmio di energie processuali” nel quale consisterebbe una delle rationes della previsione dell’art. 473 -bis.49 c.p.c.: trovare per le parti, a fronte della irreversibilità della crisi matrimoniale, in un’unica sede, un accordo complessivo sia sulle condizioni di separazione che sulle condizioni di divorzio, concentrando in un unico ricorso l’esito della negoziazione delle modalità di gestione complessiva di tale crisi, disciplinando una volta per tutte i rapporti economici e patrimoniali tra loro e i rapporti tra ciascuno di essi e i figli minorenni o maggiorenni non ancora autosufficienti, realizza indubbiamente un “risparmio di energie processuali” che può indurre le stesse a far ricorso al predetto cumulo di domande congiunte.

Nè rappresenta una ragione ostativa il rallentamento dovuto ai tempi di definizione del processo perchè le parti dovrebbero attendere il termine di sei mesi previsto dalla legge e il tribunale dovrebbe quindi rinviare a data successiva a una tale scadenza, trattandosi, infatti, di uno spazio di tempo che i coniugi devono comunque rispettare anche con l’opposta soluzione, e anzi con l’aggravio di dover riaprire un procedimento, introducendolo ex novo, con il provvedere a tutte le nuove incombenze a questo legate e di attendere gli ulteriori tempi ad esso correlati per la fissazione di udienza dopo la proposizione del ricorso per divorzio congiunto.

Il Tribunale, all’esito del positivo esame della domanda di separazione personale, con sentenza (che non definirà, quindi, tutte le domande proposte, il cui dispositivo, una volta passata in giudicato, sarà trasmesso in copia autentica all’Ufficiale di Stato civile per le debite annotazione e gli ulteriori incombenti di legge), provvederà, in relazione alla congiunta domanda di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, non ancora procedibile, prima che sia decorso il termine indicato dall’art.3, n. 2, lett.b), l.n. 898/1970, a rimettere la causa, con separata ordinanza, dinanzi al giudice relatore perchè questi acquisisca la dichiarazione delle parti di non volersi riconciliare e la conferma da parte delle stesse delle condizioni già formulate con riferimento a llo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Giova osservare che la novità più rilevante prevista dall’art. 473 – bis.51 c.p.c., nell’ipotesi di ricorso congiunto, è la possibilità per le parti di sostituire l’udienza dinanzi al giudice relatore con il deposito di note scritte: la disposizione precisa invero che “se – le parti – intendono avvalersi della facoltà di sostituire l’udienza con il deposito di note scritte, devono farne richiesta nel ricorso, dichiarando di non volersi riconciliare e depositando i documenti di cui all’articolo 473-bis.13, terzo comma”.

6. In relazione all’argomento formale fondato sul silenzio della legge ( ubi /ex non dixit, non voluit), lo stesso è troppo debole, tanto da essere confutato, con argomenti contrari, parimenti plausibili (quali l’uso del plurale nel disposto dell’art. 473 -bis.51 c.p.c.,”…relativa ai procedimenti di cui all’art. 473 bis.47″).

E’ stato, in particolare, rilevato che, mentre nel sistema previgente, il procedimento congiunto di separazione e quello di divorzio erano disciplinati da due disposizioni distinte (l’art. 711 c.p.c. e l’art. 4, comma 16, I. div.), contenute in “canali normativi” che continuavano a rimanere separati, oggi dette previsioni sono state abrogate espressamente e la relativa disciplina è confluita in un unico contenitore processuale (TitoloIV bis, intitolato: “Norme per il procedimento in materia di persone minorenni e famiglie”).

Anche l’argomento letterale fondato sull’art.3 1.898/1970, quale risultante dalle modifiche introdotte dal d.lgs. 149/202 [” Lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio può essere domandato da uno dei coniugi:… b) è stata pronunciata con sentenza passata in giudicato la separazione giudiziale fra i coniugi, ovvero è stata omologata la separazione consensuale ovvero è intervenuta separazione di fatto quando la separazione di fatto stessa è iniziata almeno due anni prima del 18 dicembre 1970. In tutti i predetti casi, per la proposizione della domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, le separazioni devono essersi protratte ininterrottamente da almeno dodici mesi dalla data dell’udienza di comparizione dei coniugi nella procedura di separazione personale e da sei mesi nel caso di separazione consensuale, anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale, ovvero dalla data certificata nell’accordo di separazione raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita da un avvocato ovvero dalla data dell’atto contenente l’accordo di separazione concluso innanzi all’ufficiale dello stato civile. Nei casi in cui la legge consente di proporre congiuntamente la separazione personale e quella di scioglimento degli effetti civili del matrimonio, quest’ultima domanda di o cessazione è procedibile una volta decorsi i termini sopra indicati” ] , non risulta decisivo: tale disposizione più che consentire il cumulo solo lì dove la legge espressamente lo preveda, sembra preoccuparsi prevalentemente di disciplinarlo e rappresenta una sostanziale duplicazione dell’ultimo periodo del primo comma dell’art. 47 3 -bis.49 c.p.c. 7. Sotto il profilo sistematico, si può evidenziare che: a) il codice di rito prevede tra le disposizioni in generale (artt. 10, comma 2 e 104, comma I c.p.c.) il cumulo oggettivo di domande contro la stessa persona, sicchè, anche se nelle domande si separazione e divorzio congiunto non esiste un attore e un convenuto non sembrano esservi ostacoli alla loro proponibilità in cumulo; b) nel caso delle domande congiunte di separazione e divorzio, si tratta, più precisamente, di un cumulo oggettivo di domande connesse in relazione alla causa petendi, in quanto tese a regolare, in successione, la crisi matrimoniale che i coniugi avvertono come irreversibile; c) l’art.473-bis.51 c.p.c. prevede ormai un procedimento uniforme sia per i ricorsi aventi ad oggetto le domande di separazione personale, sia per le domande di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio e, nell’ordinamento processuale, in presenza di modelli processuali identici, risulta ancor più agevole immaginare (e disporre) il simultaneus processus (vedasi, in tema di riunione dei procedimenti, art. 40 c.p.c. e artt. 273 e 274 c.p.c.); d) la circostanza che la domanda congiunta di divorzio, cumulata con quella congiunta di separazione, diviene procedibile solo a determinate condizioni processuali, previste nel già citato art. 3 della legge n. 898 del 1970, e che quindi non possa essere decisa prima del passaggio in giudicato della sentenza che omologa la separazione consensuale e prima del decorso dei sei mesi dall’udienza di comparizione in sede di separazione personale (dalla quale i coniugi sono ex Jege autorizzati a vivere separatamente) non implica che essa non possa essere proposta in cumulo con la domanda congiunta di separazione; e) il passaggio dalla fase della decisione della domanda congiunta di separazione a quella della trattazione della domanda congiunta di divorzio trova poi disciplina nell’art. 279, comma 2, n. 5 c.p.c., in tema di sentenze definitive su domande (secondo cui il collegio pronuncia sentenza quando, valendosi delle facoltà di cui agli artt. 103, secondo comma, e 104, secondo comma, decide solo su alcune delle cause riunite sino a quel momento, disponendo, con d1stmt1 provved1menr1, l’ultrenore istruzione o la separazione).

8. In merito alla contro-indicazione rappresentata dalla circostanza che, nei procedimenti congiunti, le parti disporrebbero contemporaneamente di entrambi gli status (conseguenti alla separazione e al divorzio) e dei consequenziali diritti, cosicchè, ove si ammettesse, in difetto di previsione normativa esplicita in tal senso e di una puntuale indicazione da parte della legge delega (che non contiene alcuna disposizione che manifesti una siffatta intenzione del legislatore), la possibilità di cumulo di domande di separazione e divorzio nei procedimenti congiunti, “si opererebbe in deroga al principio di indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale”, ribadito da questo giudice di legittimità anche di recente (Cass. 20745/2022), occorre rilevare quanto segue. Anzitutto, sia nei procedimenti contenziosi, di separazione e divorzio, che in quelli congiunti, le parti propongono le proprie domande all’organo giudiziario e formulano le relative conclusioni e quindi non dispongono anticipatamente degli status.

Questa Corte, in tema di divorzio a domanda congiunta, ha già affermato (Cass. 6664/1998; Cass. 19540/2018)) che l’accordo “riveste natura meramente ricognitiva e non negoziale, con riferimento ai presupposti necessari per lo scioglimento del vincolo coniugale, essendo soggetto alla verifica del tribunale che, in materia, ha pieni poteri decisionali” e non configura una ipotesi in senso stretto di “divorzio consensuale”, analogo alla separazione consensuale (ove la pronuncia del Tribunale è unicamente rivolta ad attribuire efficacia dall’esterno all’accordo tra coniugi, qualificabile come un negozio giuridico di natura familiare), poichè il giudice non è condizionato al consenso dei coniugi, ma deve verificare la sussistenza dei presupposti per la pronuncia, di natura costitutiva, di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, mentre ha valore negoziale per quanto per quanto concerne i figli e i rapporti economici, consentendo al tribunale intervenire su tali accordi soltanto nel caso in cui essi risultino, quanto ai rapporti patrimoniali, contrari a norme inderogabili (secondo orientamento giurisprudenziale) e/o (alla luce del dettato normativo) all’interesse dei figli.

L’accordo dei coniugi, in sede divorzile, ha rilevanza negoziale, dunque, solo per quanto concerne le condizioni inerenti alla prole e i rapporti economici, nel cui merito il tribunale non deve entrare, salva l’ipotesi di contrasto delle condizioni stabilite rispetto all’interesse dei figli o rispetto a norme inderogabili.

E va rammentato che le Sezioni Unite (Cass. n. 16379/2014), nel sancire l’impossibilità di delibare pronunce ecclesiastiche di invalidità del matrimonio riferite a rapporti matrimoniali caratterizzati da una significativa stabilità e, segnatamente, da una convivenza come coniugi protratta per almeno un triennio, hanno ribadito che la garanzia di una tutela inderogabile a vantaggio della parte economicamente debole costituisce ormai un principio di ordine pubblico.

Anche aderendo, dunque, alla lettura estensiva dell’ipotesi del cumulo di domande di separazione e divorzio (proposte con ricorso congiunto), deve osservarsi che si tratta unicamente di domande proposte in funzione di una pronuncia di divorzio per la quale non è ancora decorso il termine di legge e il cumulo non incide sul c.d. carattere indisponibile dei patti futuri, trattandosi di un accordo, unitario, dei coniugi sull’intero assetto delle condizioni, che regolamenteranno oltre alla crisi anche la loro vita futura, pur sempre sottoposto al complessivo vaglio del Tribunale.

Peraltro, l’orientamento richiamato di questo giudice di legittimità dovrà presto confrontarsi con l’assetto attuale della Riforma, in cui la domanda di divorzio è espressamente proponibile all’interno del procedimento contenzioso per separazione personale, cosicchè può accadere che le parti all’interno di uno stesso processo trovino, dopo una fase p1u o meno lunga d1 conflitto, un accordo tanto sulla separazione quanto sul divorzio e sulle domande agli stessi status consequenziali. E’ previsto quindi che il Tribunale, compiute le necessarie verifiche dell’effettiva rispondenza delle stesse pattuizioni all’interesse dei figli e la loro non contrarietà alla legge e all’ordine pubblico, prenderà atto delle domande e pronuncerà le relative sentenze.

Si è, invero, già evidenziato, in dottrina, come gli interventi in materia di negoziazione assistita (D.L. 12 settembre 2014, n. 132, convertito con modifiche dalla L. 10 novembre 2014, n. 162) e di “divorzio breve” (L. 6 maggio 2015, n. 55), e oggi l’attuale intervento di Riforma (D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149), abbiano via via incrementato il ruolo dell’autonomia dei coniugi nella definizione delle conseguenze economiche della crisi coniugale e, nel costante processo di privatizzazione del regime matrimoniale, già avviato dall’introduzione del divorzio (1970) e dalla separazione per cause oggettive (1975), ha inciso in maniera significativa sulla “caduta ” del dogma dell’indisponibilità degli status.

9. Quanto poi alla controindicazione inerente all’assenza di disposizioni sulla gestione delle sopravvenienze, giova rilevare che la possibilità di sopravvenienze di fatto che incidano sull’accordo contenuto nella domanda congiunta di divorzio, questo rilievo accompagna anche il caso in cui le domande di separazione e divorzio non siano proposte insieme, cosicchè essa non può rappresentare un impedimento giuridico al cumulo di domande congiunte.

Ciò che viene segnalato da una parte della dottrina e giurisprudenza come ostativo alla possibilità/configurabilità di un cumulo di domande consensuali di separazione e di divorzio (l’intervento di sopravvenienze rilevanti, la revoca del consenso da parte di un coniuge, la modifica unilaterale delle condizioni patrimoniali o riguardanti i figli) non vale ad impedire la loro stessa ammissibilità ma potrà, semmai, determinare l’applicazione, con il dovuto adattamento, di orientamenti giurisprudenziali da questo giudice di legittimità già affermati (si pensi a quanto ribadito in Cass. 10463/2018 e in Cass. 19540/2018, in ordine all’inefficacia della revoca unilaterale del consenso alla domanda di divorzio “in senso stretto”, con la conseguenza che non possa essere dichiarata l’improcedibilità della domanda congiunta presentata, dovendo essere comunque verificata la sussistenza dei presupposti necessari per la pronuncia, costitutiva, sul divorzio) o di disposizioni normative specifiche (quali, ad es., lo stesso art. 473-b s.51 c.p.c., per il procedimento consensuale, ove si prevede, dopo la convocazione delle parti e il suggerimento sulle modifiche da apportare ai patti, il rigetto “allo stato” della domanda “se gli accordi sono in contrasto con gli interessi dei figli”, o l’art.473- bis.19 c.p.c., che condiziona l’ammissibilità della modifica, nel corso del procedimento avviato, delle domande di contributo economico in favore proprio e dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente, a “mutamenti di circostanze”, per il procedimento contenzioso).

10. Per tutto quanto sopra esposto, deve essere affermato il seguente principio di diritto: “In tema di crisi familiare, nell’ambito del procedimento di cui all’art.473-bis.51 c.p.c., è ammissibile il ricorso dei coniugi proposto con domanda congiunta e cumulata di separazione e di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio”.

Va disposta la restituzione degli atti al Tribunale di Treviso.

Non vi è luogo a provvedere sulle spese sostenute nel procedimento di rinvio pregiudiziale, non sussistendo in relazione ad esso una soccombenza riferibile alla iniziativa delle parti.

P.Q.M.

La Corte, ai sensi dell’art.363 bis c.p.c., pronunciando pregiudiziale disposto dal Tribunale di Treviso, con ordinanza del 31 maggio 2023, enuncia il seguente principio di diritto:

“In tema di crisi familiare, nell’ambito del procedimento di cui all’art.473-bis.51 c.p.c., è ammissibile il ricorso dei coniugi proposto con domanda congiunta e cumulata di separazione e di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio “.

Si dispone la restituzione degli atti al Tribunale di Treviso.

Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52 siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2023.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2023

Nullo l’alcol test

Diritto di Famiglia Separazione e Divorzio

L’ex coniuge viene rimborsato per i prelievi se il conto corrente è cointestato?

Cassazione civile, Sez. I, Ordinanza del 17/10/2023, n. 28772

IL FATTO

La Corte d’Appello ha rigettato il ricorso del marito che non aveva superato la presunzione legale di cui all’art. 1298 cc, essendo stato, al contrario, dimostrato che il conto corrente era stato aperto dai coniugi congiuntamente e per i bisogni presenti e futuri dell’intera famiglia e che alla formazione della provvista non aveva contribuito in via esclusiva l’attore. La moglie al contrario aveva dimostrato che molti prelievi erano stati utilizzati per far fronte alle necessità familiari o mediche.

IL PRINCIPIO ENUNCIATO DALLA CORTE

Le spese effettuate per i bisogni della famiglia e riconducibili alla logica della solidarietà coniugale, in adempimento dell’obbligo di contribuzione di cui all’art. 143 c.c. – che nella fattispecie traggono provvista in un conto cointestato -, non determinano alcun il diritto al rimborso.

L’ORDINANZA (estratto)

(omissis)

Svolgimento del processo

1 Con sentenza del 16/12/2021, la Corte di Appello di Milano ha rigettato l’appello proposto da A.A. avverso la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva respinto la domanda proposta dall’attore per la condanna di B.B., moglie dalla quale si era separata, al pagamento della somma di Euro 250.000,00, che assumeva dovuta a titolo di restituzione e/o risarcimento di danni patrimoniali, consistiti nell’indebito prelievo e utilizzo da parte della ex coniuge (tra l'(Omissis) e il (Omissis)) di Euro 121.060,50 depositati sul conto corrente cointestato alle parti, nonchè nell’indebita disposizione di Euro 55.000,00 mediante assegno circolare emesso in proprio favore; e di risarcimento dei danni non patrimoniali patiti in conseguenza del fallimento del matrimonio e per le difficoltà di far fronte agli obblighi alimentari sussistenti a suo carico in favore della convenuta e delle comuni figlie, a causa dell’indisponibilità dell’importo di Euro 176.060,50 sul conto corrente (fatto da cui sarebbe derivato l’assoggettamento dell’attore a procedimento penale, a limitazioni della libertà personale e a numerosi procedimenti esecutivi, con conseguente danno all’immagine dello stesso).

2 La Corte meneghina ha motivato la propria decisione osservando: a) che correttamente il Tribunale aveva ritenuto che l’attore non avesse assolto all’onere della prova necessario a superare la presunzione legale di cui all’art. 1298 c.c., essendo stato, al contrario, dimostrato che il conto corrente fosse stato aperto dai coniugi congiuntamente e per i bisogni presenti e futuri dell’intera famiglia e che alla formazione della provvista non avesse contribuito in via esclusiva l’attore; b) che risultava processualmente dimostrata l’esistenza di accordi di indirizzo familiare intervenuti tra i coniugi, in base ai quali la moglie aveva interrotto la collaborazione presso uno studio legale per prestare la propria attività professionale esclusivamente in favore del marito verso il quale emetteva peraltro regolare fattura. Alle fatture non seguiva alcun pagamento diretto da parte del marito sull’intesa che il cospicuo lavoro professionale della B.B. potesse essere compensato con l’utilizzo del denaro sul conto corrente; c) che in ogni caso, non era stato dimostrato che il conto corrente fosse destinato al soddisfacimento dei soli bisogni primari fondamentali della famiglia; d) che sussistevano tra i coniugi, ex artt. 143 e 316-bis c.c., precisi doveri di reciproca assistenza materiale (oltre che morale) e di contribuzione, ciascuno in proporzione alle rispettive sostanze e capacità, sicchè la cointestazione del conto corrente costituiva specifica esecuzione degli obblighi di assistenza materiale di cui all’art. 143 c.c.; e) che l’appellata aveva fornito elementi dai quali si evidenziava che molti dei prelievi, che secondo la prospettazione dell’ex marito servivano per spese voluttuarie, in realtà erano stati utilizzati per far fronte alle necessità familiari o mediche.

3 A.A. ha proposto ricorso per Cassazione affidato a tre motivi; B.B. ha svolto difese mediante controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c..

Motivi della decisione

1 Il primo motivo prospetta “violazione e/o falsa applicazione degli art. 1298 c.c., comma 2 e art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, omesso esame sul punto di un fatto decisivo del giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e, in ogni caso, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 132 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 per erronea percezione del contenuto oggettivo della prova documentale”; sostiene il ricorrente che la Corte territoriale si sarebbe limitata esclusivamente ad evidenziare che la B.B. avesse dato la prova di alcuni versamenti sul conto, il che se consentiva di affermare che il conto corrente non era stato contratto nell’esclusivo interesse del marito, non esonerava i giudici dall’accertare la rilevante sperequazione delle quote riferibili a ciascun coniuge desumibile dalla enorme difformità degli apporti, documentata dagli estratti conto, e la smisurata differenza tra prelievi effettuati dalla moglie e le rimesse da lei operate, che consentiva di ritenere superata la presunzione di comproprietà in parti uguali di cui all’art. 1298 c.c.. Sempre a dire del ricorrente, il processo logico che ha fondato la decisione della Corte d’Appello, nel ritenere rilevanti gli apporti della ex moglie, sarebbe da ritenersi viziato, oltre che da error in iudicando, anche da omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio costituito dall’irrisorietà dei versamenti della B.B. rispetto agli apporti effettuati dal A.A. nonchè da un oggettivo errore di percezione della prova documentale in atti.

2 Il motivo è inammissibile in ogni sua articolazione.

2.1 Mette conto precisare che la cointestazione di un conto corrente tra coniugi attribuisce agli stessi, ex art. 1854 c.c., la qualità di creditori o debitori solidali dei saldi del conto, sia nei confronti dei terzi che nei rapporti interni, e fa presumere la contitolarità dell’oggetto del contratto salva la prova contraria a carico della parte che deduca una situazione giuridica diversa da quella risultante dalla cointestazione stessa che può essere fornita anche attraverso presunzioni semplici – purchè gravi, precise e concordanti (cfr. tra le tante Cass. n. 19309/2006, 28839/2008, 18777/2015 e 4838/2021).

2.2. L’apprezzamento circa il superamento della presunzione di contitolarità del rapporto previsto dall’art. 1298, comma 2 è attività riservata al giudice di merito insindacabile in Cassazione se non nei ristretti limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e nel caso di omessa e/o apparente motivazione.

2.3 Ora, come si desume dalla lettura dell’impugnata sentenza, l’attore, a fondamento delle proprie domande, ha dedotto di aver alimentato in via esclusiva il conto corrente e, conseguentemente, di essere unico titolare del diritto di proprietà degli importi ivi depositati, sostenendo, quindi, che l’utilizzo da parte della moglie delle somme giacenti sul conto per scopi estranei al mantenimento della famiglia fosse da considerarsi un pagamento indebito ovvero un illecito.

2.4 Il thema decidendum non è, quindi, costituito dall’accertamento della quota in capo a ciascun coniuge, ma dall’azione di ripetizione di indebito, sul presupposto della proprietà esclusiva di tutto il denaro in capo al marito.

2.5 Ciò premesso, va rilevato che i suesposti principi giurisprudenziali sono stati osservati dall’impugnata sentenza, la quale ha proceduto alla disamina di tutti gli atti acquisiti al processo e, sulla base di circostanze emerse in giudizio, è pervenuta alla conclusione – attraverso un iter logico ineccepibile – che il conto corrente cointestato era stato alimento non solo da denaro del marito ma anche dalla provvista fatta affluire dalla moglie con la conseguenza che la presunzione di comproprietà delle somme depositate nel conto corrente non era stata vinta.

2.6 In particolare gli elementi valorizzati dalla Corte a fondamento del proprio convincimento in ordine alla mancanza di prova della titolarità esclusiva del denaro in capo al A.A. sono i seguenti: a) il conto corrente era stato aperto dai coniugi congiuntamente e per i bisogni presenti e futuri dell’intera famiglia; b) la convenuta aveva contribuito all’alimentazione del conto corrente in misura rilevante con apporti derivanti dalla sua attività professionale e di GOT presso il Tribunale di Milano e con i pagamenti di terzi in favore del A.A., riconducibili però all’attività svolta dalla convenuta su incarico del marito; c) i coniugi avevano sottoscritto, congiuntamente e per quote paritarie, contratti di deposito titoli e di investimento, come documentalmente dimostrato dalla controricorrente.

2.7 La censura formulata come violazione o falsa applicazione di legge o come omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio – vizio il cui esame peraltro risulta impedito dalla presenza di una ” doppia conforme “- o errore di percezione, mira in realtà alla rivalutazione dei fatti e del compendio probatorio operata dal giudice di merito non consentita in sede di legittimità 2.8 Come insegna questa Corte, il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un terzo grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass. n. 27686 del 2018; Cass., Sez. U, n. 7931 del 2013; Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014).

3 Con il secondo motivo, rubricato “violazione e/o falsa applicazione degli art. 2697 c.c., artt. 115 e 112 c.p.c., art. 2909 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 4: decisione fondata su prove non dedotte dalle parti e su domande rigettate e non riproposte in secondo grado”, il ricorrente censura il passaggio motivazionale dell’impugnata sentenza dove si afferma che, sulla base degli accordi di indirizzo familiare intervenuti tra i coniugi, la moglie aveva accettato di lasciare lo studio legale presso cui lavorava per prestare la propria attività professionale esclusivamente in favore del marito verso il quale emetteva peraltro regolari fatture; tali documenti non sarebbero stati mai versati in atti sia in primo che in secondo grado. Viene, inoltre, evidenziata la violazione del principio del chiesto e pronunciato e del giudicato in cui sarebbe incorsa la Corte milanese nel riconoscere la compensazione tra somme vantate per attività professionale, asseritamente svolta in favore del marito, e gli importi giacenti sul conto corrente cointestato, proposta dall’avv. B.B. in via riconvenzionale in primo grado, rigettata dal Tribunale e non reiterata con appello incidentale.

3.1 Il motivo è infondato.

3.2 La sentenza fa espresso riferimento alle fatture emesse dalla Busamolino per le prestazioni professionali effettuate in favore del marito, tali documenti fiscali secondo il ricorrente non sarebbero mai entrati nel processo stante la loro mancata indicazione nell’elenco dei documenti allegati alla comparsa di costituzione e risposta; la decisione della Corte poggerebbe sulla circostanza non veritiera della produzione in giudizio delle fatture.

3.3 La controricorrente ha, tuttavia, chiarito che le fatture sono state ritualmente introdotte nel giudizio di primo grado non con la comparsa di costituzione e risposta ma attraverso la memoria ex art. 183, comma 6, n. 2 (cfr. fatture riprodotte nel presente giudizio agli allegati nr 35 e 36). Tale circostanza non ha trovato smentita alcuna nel contenuto della memoria di parte attrice ex art. 380 bis c.p.c..

3.4 Per quanto concerne la dedotta violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il giudicato la censura si rileva non pertinente con il contenuto della decisione in quanto la Corte, contrariamente a quanto opinato dal ricorrente, non ha affatto “riesumato” la domanda, proposta in via riconvenzionale dalla B.B. di condanna del A.A. al pagamento, da un lato, dei corrispettivi dovuti per l’attività (rigettata in primo grado e non riproposta in secondo grado), ma ha semplicemente valorizzato il conferimento della moglie alla provvista del conto, attuato mediante l’attività professionale svolta in favore del marito, come ulteriore elemento di prova il mancato superamento della presunzione ex art. 1298 c.c., comma 2.

4 Con il terzo motivo il ricorrente oppone violazione e/o falsa applicazione degli artt. 143 e 316-bis c.c., con riferimento agli artt. 112, 115 e 132 c.p.c., n. 4 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e 4 per avere la Corte d’Appello preteso di ricondurre gli ” smisurati ed i continui consistenti prelievi, compresa l’ingente somma di Euro 55.000,00, per un totale di Euro 180.000,00, effettuati in poco più di un anno e mezzo dopo l’inizio della relazione extraconiugale e poco prima di chiedere la separazione coniugale all’interno dei reciproci obblighi di solidarietà familiare ed assistenza tra coniugi di cui all’art. 143 c.c., in pratica solo perchè avvenuti in costanza di matrimonio.”. Inoltre, il A.A. si duole del fatto che la Corte illegittimamente, illogicamente e sulla base di una erronea assunzione di fatti insussistenti, sul presupposto che l’ex marito avesse interrotto di contribuire ai bisogni della famiglia sin dal (Omissis), abbia affermato che l’importo di Euro 55.000 prelevato dalla B.B. nel giugno dello stesso anno sia stato integralmente destinata dalla stessa al mantenimento delle figlie e della casa coniugale negli anni successivi.

4.1 La doglianza non supera il vaglio di ammissibilità.

4.2 Al riguardo giova riportare per esteso i seguenti brani della sentenza “Poichè non è stato dimostrato che il conto corrente fosse destinato al soddisfacimento dei soli bisogni primari fondamentali della famiglia, allo stesso ben poteva attingere la moglie per esigenze, anche non di strettissima necessità, sia delle due figlie, sia proprie, non potendosi per contro rimettere in discussione ogni voce di spesa di cui ciascun coniuge si sia fatto carico nel corso della convivenza matrimoniale. Non si tratta quindi di ammettere che “sarebbe sufficiente a uno dei cointestatari di qualunque conto corrente bancario cointestato versare un Euro nel conto per appropriarsi di tutta la giacenza residua ” quanto piuttosto di riconoscere la sussistenza di specifici doveri di solidarietà familiare e di assistenza tra coniugi, alla cui logica, anche in considerazione della scelta di indirizzo familiare compiuta tra il A.A. e la B.B., sembrano pienamente riconducibili le spese in contestazione. Oltretutto, come già ritenuto dal Tribunale, e come in extenso dimostrato dalla convenuta anche nel presente grado di giudizio, molte delle spese che l’attore vorrebbe qualificare come voluttuarie sono risultate in realtà attenere alla ordinaria gestione della vita familiare (per dirne solo alcuni: acquisto di medicinali o abbigliamento, pagamento di bollette, collaboratori domestici, spese scolastiche) o ad esigenze di salute delle figlie o della B.B. (ad esempio, i pagamenti contestati per “interventi di mastoplastica o di chirurgia plastica ed estetica” si sono rivelati essere destinati a operazioni necessarie per la salute della convenuta, appositamente prescritte dal medico e ben note all’appellante). Le considerazioni sopra svolte, all’evidenza, debbono trovare applicazione anche con riferimento all’assegno circolare di Euro 55.000,00 del (Omissis), atteso peraltro che dalla documentazione allegata dalla convenuta risulta come nel (Omissis) l’attore avesse cessato di contribuire ai bisogni della famiglia e che tale somma sia stata integralmente destinata dalla B.B. al mantenimento delle figlie e della casa coniugale negli anni successivi”.

4.3 La corte milanese si è, quindi, uniformata al costante indirizzo giurisprudenziale secondo il quale le spese effettuate per i bisogni della famiglia e riconducibili alla logica della solidarietà coniugale, in adempimento dell’obbligo di contribuzione di cui all’art. 143 c.c. -che nella fattispecie traggono provvista in un conto cointestato-, non determinano alcun il diritto al rimborso (cfr. Cass. 18749/2004 10942/2015 e 10927/2018).

4.4 Ancora una volta il motivo non si traduce in altro che in una malcelata pretesa di sottoporre alla valutazione diretta di questa Suprema Corte, profili meramente fattuali – relativi alla destinazione dei prelievi effettuati dalla ricorrente alle esigenze familiari- che la Corte territoriale ha – con percorso motivazionale di per sè immune da vizi logico giuridici e perciò incensurabile in questa sede – provveduto specificamente a valutare nell’ambito delle sue prerogative del tutto esclusive 5 In conclusione il ricorso va rigettato.

6 Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che si liquidano in Euro 8.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi oltre Iva, Cap e rimborso forfettario al 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Conclusione

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 26 settembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2023

Processo 231

Modello Organizzativo 231

Vantaggio scarso o esiguo? L’ ente è in ogni caso responsabile D.lgs. 231/01

Cassazione penale, Sez. III, Sentenza del 26/09/2023, n. 39129

PREMESSA

La locuzione “interesse o vantaggio dell’ente” viene utilizzata come presupposto generale ai fini dell’imputazione dell’illecito all’ente. Quale sia il significato e la valenza da attribuire ai predetti criteri costituisce uno dei profili sostanziali più dibattuti del sistema normativo 231. La sentenza emarginata offre un ulteriore spunto di riflessione.

IL FATTO

Un lavoratore si procura gravi lesioni personali essendo questi rimasto in parte schiacciato da un cancello che cadeva in terra, investendolo.  Il Tribunale condannava la società A.A. Srl quale responsabile dell’illecito amministrativo (ex art. 25-septies D.lgs. 231/01),  in relazione alla commissione, da parte di A.A., del delitto di cui all’art. 590 c.p. – per avere, in qualità di legale rappresentante della ditta “A.A. Srl “, omesso di dotare la porta scorrevole di un sistema di sicurezza tale da per impedirne la fuoriuscita dalle guide, con ciò in violazione della normatica antinfortunistica.

LA DIFESA DELL’ENTE

Secondo la difesa dell’Ente, la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto sussistente il requisito dell’interesse o del vantaggio dell’ente alla commissione dell’illecito, senza tuttavia considerare che la società in concreto non si sarebbe giovata di alcun risparmio di spesa nè di alcun incremento di economico, laddove la spesa per riparare il cancello sarebbe consistita in poche decine di Euro.

IL PRINCIPIO ENUNCIATO DALLA CORTE

La responsabilità amministrativa dell’ente non può essere esclusa in considerazione dell’esiguità del vantaggio o della scarsa consistenza dell’interesse perseguito, in quanto anche la mancata adozione di cautele comportanti limitati risparmi di spesa può essere causa di reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica.

Nel caso di specie, l’autore del reato aveva consapevolmente violato la normativa cautelare allo scopo di conseguire un’utilità per l’ente. In particolare, i Giudici di appello avevano correttamente valorizzato il collegamento esistente tra il risparmio di spesa conseguito dall’Azienda ed il mancato rispetto delle regole cautelari: la violazione delle norme antinfortunistiche aveva riguardato una delle porte di accesso al cantiere con mancanza di opportuna segnaletica informativa e omissione di interventi di manutenzione, necessari da tempo ed omessi per non incidere sui tempi della attività.

LA SENTENZA (estratto)

(omissis)

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 18 ottobre 2022, la Corte d’appello Di Ancona ha confermato la sentenza del 04 marzo 2021, con la quale il Tribunale di Macerata ha condannato la società A.A. Srl responsabile dell’illecito amministrativo di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 25-septies in relazione alla commissione, da parte di A.A., del delitto di cui all’art. 590 c.p. – per avere, in qualità di legale rappresentante della ditta “A.A. Srl “, come datore di lavoro, committente dei lavori e titolare del cantiere, omesso di dotare la porta scorrevole presente all’ingresso del luogo di lavoro di un sistema di sicurezza per impedire la fuoriuscita del cancello dalle guide o comunque di cadere (D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 64, comma 1, lett. a)), per colpa consistita in imperizia, negligenza, imprudenza nonchè inosservanza delle norme in materia di prevenzione di infortuni sul lavoro, cagionando al dipendente lesioni personali gravi, essendo questi rimasto in parte schiacciato dal cancello che cadeva in terra, investendolo, in Pollenza frazione di Casette Verdini in data 18 giugno 2012.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società A.A. Srl , in persona del legale rappresentante pt., chiedendone l’annullamento ed articolando un unico motivo, con il quale deduce violazione di legge, erronea applicazione e inosservanza della legge penale in relazione all’art. 606 c.p.p., lett. b), per avere la Corte d’appello erroneamente ritenuto sussistente il requisito dell’interesse o del vantaggio dell’ente alla commissione dell’illecito, senza tuttavia considerare che la società in concreto non si sarebbe giovata di alcun risparmio di spesa nè di alcun incremento di economico, laddove la spesa per riparare il cancello sarebbe consistita in poche decine di Euro.

Motivi della decisione

1. Il ricorso va dichiarato inammissibile.

2. Va osservato in premessa che, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite, in tema di responsabilità amministrativa degli enti derivante da reati colposi di evento, i criteri di imputazione oggettiva, rappresentati dal riferimento contenuto nel D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 5 all'”interesse” o al “vantaggio”, sono alternativi e concorrenti tra loro, in quanto il criterio dell’interesse esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile ex ante, cioè al momento della commissione del fatto e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo, mentre quello del vantaggio ha una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile ex post, sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell’illecito, da valutare entrambi avendo come termine di riferimento la condotta e non l’evento (così Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261114-01 e 261115-01).

Ed è stato chiarito che, in tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica, i criteri di imputazione oggettiva rappresentati dall’interesse o dal vantaggio, da riferire entrambi alla condotta del soggetto agente e non all’evento, ricorrono, rispettivamente, il primo, quando l’autore del reato abbia violato la normativa cautelare con il consapevole intento di conseguire un risparmio di spesa per l’ente, indipendentemente dal suo effettivo raggiungimento, e, il secondo, qualora l’autore del reato abbia violato sistematicamente le norme antinfortunistiche, ricavandone oggettivamente un qualche vantaggio per l’ente, sotto forma di risparmio di spesa o di massimizzazione della produzione, indipendentemente dalla volontà di ottenere il vantaggio stesso; i criteri di imputazione riferiti all’interesse e al vantaggio sono giuridicamente distinti giacchè, mentre il primo è criterio soggettivo, da valutare ex ante, e consistente nella proiezione finalistica volta a far conseguire all’ente un profitto indipendentemente dall’effettiva realizzazione dello stesso, il secondo è criterio oggettivo, accertabile ex post e consistente nel concreto vantaggio derivato all’ente dal reato (Sez. 4 n. 38363 del 23/05/2018, Rv.274320 – 01).

Va, poi, evidenziato che la responsabilità amministrativa dell’ente non può essere esclusa in considerazione dell’esiguità del vantaggio o della scarsa consistenza dell’interesse perseguito, in quanto anche la mancata adozione di cautele comportanti limitati risparmi di spesa può essere causa di reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica (Sez. 4, n. 24697 del 20/04/2016, Mazzotti, Rv. 268066-01). E si è anche precisato che in tema di responsabilità amministrativa degli enti derivante dal reato di lesioni personali aggravate dalla violazione della disciplina antinfortunistica, il criterio di imputazione oggettiva dell’interesse può sussistere anche in relazione a una trasgressione isolata dovuta ad un’iniziativa estemporanea, senza la necessità di provare la natura sistematica delle violazioni antinfortunistiche, allorchè altre evidenze fattuali dimostrino il collegamento finalistico tra la violazione e l’interesse dell’ente (Sez. 4, n. 12149 del 24/03/2021, Rodenghi, Rv. 280777-01).

3. Nella specie, la Corte di appello, facendo buon governo dei suesposti principi di diritto, ha ritenuto sussistente il criterio di imputazione oggettiva rappresentato dall’interesse, evidenziando che l’autore del reato aveva consapevolmente violato la normativa cautelare allo scopo di conseguire un’utilità per l’ente, rimarcando anche che il risparmio di spesa avuto di mira, pur modesto, non era certo irrisorio; in particolare, i Giudici di appello hanno valorizzato il collegamento esistente tra il risparmio di spesa ed il mancato rispetto delle regole cautelari, rimarcando che la violazione delle norme antinfortunistiche aveva riguardato una delle porte di accesso al cantiere e sottolineando la mancanza di segnaletica informativa e l’omissione di interventi di manutenzione, necessari da tempo ed omessi per non incidere sui tempi della attività.

Trattasi di apprezzamento in fatto, sorretto da argomentazioni adeguate e non manifestamente illogiche, che si sottrae al sindacato di legittimità.

La ricorrente, neppure confrontandosi criticamente con le argomentazioni contenute nella sentenza impugnata, propone inammissibili rilievi in fatto, orientati a sollecitare una rivalutazione delle risultanze istruttorie, preclusa in sede di legittimità.

4. Essendo il ricorso inammissibile e, in base al disposto dell’art. 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 12 luglio 2023.

Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2023

Privacy

Posso mettere la videosorveglianza in condominio?

La tutela contro furti e atti vandalici non deve compromettere i diritti, le libertà e gli interessi fondamentali delle persone coinvolte.

In conformità all’articolo 1122-ter del Codice Civile, la procedura di installazione di un sistema di videosorveglianza nelle aree comuni del condominio richiede un’approvazione durante un’assemblea condominiale. Questa decisione deve ottenere la maggioranza dei voti tra i presenti, con almeno il cinquanta per cento del valore complessivo dell’edificio. Tuttavia, questa delibera assembleare rappresenta solo uno dei requisiti legali necessari per avviare il processo di installazione del sistema di videosorveglianza.

La posa in opera del sistema di videosorveglianza condominiale è giustificabile solo nel caso in cui si possa dimostrare un “legittimo interesse” nel garantire la protezione della vita, dell’integrità fisica delle persone e della proprietà privata. È essenziale, tuttavia, che questo interesse non infranga gli interessi, i diritti o le libertà fondamentali delle persone coinvolte, come stabilito dall’articolo 6, paragrafo 1, lettera f) del Regolamento Ue 2016/679.

L’attivazione di un sistema di videosorveglianza deve, quindi, essere giustificata da una situazione di pericolo effettivo e dimostrato, come evidenziato da precedenti episodi di furti o atti vandalici che si siano verificati in passato. Questi casi precedenti costituiscono un solido elemento a sostegno della validità del legittimo interesse e, pertanto, è fondamentale documentarli accuratamente.

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Nel contesto legale, è essenziale comprendere appieno la definizione del delitto di “atti persecutori”. Spesso, questo reato è associato a situazioni in cui sorgono conflitti personali scaturiti da relazioni affettive o sentimentali, attrazioni, gelosie o ossessioni amorose. Queste tensioni emergono spesso dopo la fine di tali legami o convivenze. Tuttavia, è importante notare che il delitto di “atti persecutori” è giuridicamente inquadrato in un contesto più ampio, specificamente all’interno dei “delitti contro la libertà morale” della sezione III del capo II del Codice Penale. Quindi, questo reato si estende a una serie più ampia di situazioni.

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