Titolo

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Intossicazione alimentare

Giurisprudenza Patavina-Tribunale Procedura Civile Responsabilità extracontrattuale

Intossicazione alimentare e sindrome di Guillan-Barrè: c’è nesso di causalità

Tribunale di Padova, Giudice dott. Marzella, sentenza n. 1221 del 20 aprile 2016

Con sentenza passata in giudicato il Tribunale di Padova si è pronunciato su un caso che ha visto coinvolta un’intera famiglia recatasi, nel lontano 2009, a consumare il pranzo domenicale presso uno dei più noti e rinomati ristoranti dei Colli Euganei. Scrive il Tribunale: ”Risulta evidente la grave carenza di diligenza manifestata dai responsabili del ristorante che, in violazione di minime norme igieniche, accettavano la consegna di crudità marine trasportate senza l’utilizzo di sistemi di refrigerazione e le propinavano addirittura ad ignari clienti il giorno seguente, dopo che le stesse erano già state proposte nel corso di una cena.”

Il Giudice Patavino condivide la teoria del più probabile che non: “in sede civile per l’accertamento del nesso causale tra condotta illecita ed evento di danno non è necessaria la dimostrazione di un rapporto di consequenzialità necessaria tra la prima ed il secondo, ma è sufficiente la sussistenza di un rapporto di mera probabilità scientifica, conseguendone che il nesso causale può essere ritenuto sussistente non solo quando il danno possa ritenersi conseguenza inevitabile della condotta, ma anche quando ne sia conseguenza altamente probabile e verosimile (Cass. 26.6.07 n. 14759), […] pertanto in tema di illecito civile il nesso di causalità deve essere fondato sul criterio della probabilità, e non già della mera possibilità, di verificazione dell’evento (Cass. 18.4.07 n. 9226).”

E, pertanto, così conclude: “sussistano sufficienti elementi di prova per affermare la ricorrenza del nesso di causalità tra l’ingestione delle crudità di mare ed il successivo presentarsi della gastroenterite in questione, apparendo per un verso verosimile e più probabile che non che l’evento in oggetto sia dipeso dal fatto in questione e risultando, per altro verso, sintomatica l’assenza di altri fattori preesistenti, concomitanti o sopravvenuti di per sé atti a spiegare il verificarsi dell’accaduto. Laddove poi è lo stesso consulente d’ufficio ad attestare la natura altamente significativa, sotto il profilo probabilistico, della correlazione tra la gastroenterite e la successiva comparsa della sindrome”.

Risarcimento importante (€ 460.000,00= integralmente pagato dall’Assicurazione che ha manlevato il ristoratore), che suona, giustamente, da monito a tutti gli operatori del settore della ristorazione.

LA SENTENZA INTEGRALE

REPUBBLICA ITALIANA

Tribunale di Padova

Il Giudice

dott. Guido Marzella

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

nella causa di primo grado iscritta al n. 9086/2012 R.G. e promossa con atto di citazione notificato

da

E. S., (C.F. ***)

– attrice –

con il patrocinio dell’avv. CALVELLO CLAUDIO, elettivamente domiciliata in Abano Terme, via Previtali n. 30,

contro

RISTORANTE ***, (C.F. ***)

– convenuto –

con il patrocinio dell’avv. ***, elettivamente domiciliato in Padova, ***,

e con la chiamata in causa della

***, (C.F. ***)

– terza chiamata –

con il patrocinio dell’avv. ***, elettivamente domiciliata in Padova, ***.

Conclusioni dell’attrice:

come da foglio depositato per via telematica.

Conclusioni del convenuto:

come da foglio depositato per via telematica.

Conclusioni della terza chiamata:

come da verbale d’udienza del 21.1.16

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

E. S., premettendo:

– che in data 21.2.09 si era recata a pranzo presso il Ristorante *** assieme al marito, al figlio, alla nuora ed ai nipoti ove, su consiglio del personale, aveva mangiato un piatto di ostriche e tartufi di mare,

– che durante la notte seguente tutta la famiglia veniva colta da malori, accusando evidenti sintomi di intossicazione alimentare,

– che il fatto era addebitabile al ristoratore, il quale aveva provveduto a servire una partita di frutti di mare di incerta provenienza, avanzata da una cena tenutasi la sera precedente,

– che la situazione più grave colpiva proprio essa attrice, venendole diagnosticata una gastroenterite acuta,

– che a distanza di giorni era poi insorta la necessità di ricoverarsi presso la Casa di Cura di Abano Terme poiché il disturbo non si esauriva,

– che all’esito di una serie di esami svolti presso il reparto di terapia intensiva si appurava la presenza a suo carico di una sindrome di Guillain-Barrè,

– che a causa di siffatta sindrome, essendo sopraggiunto un generale peggioramento delle sue condizioni di salute, era quindi trasferita in rianimazione presso l’Ospedale di Legnago, ove in data 3.4.09 veniva sottoposta a tracheostomizzazione in considerazione di uno stato di insufficienza respiratoria acuta,

– che a tale complessiva situazione conseguiva infine l’accertamento di una invalidità civile al 100% con conseguente riconoscimento della relativa indennità di accompagnamento,

– che nel corso di un procedimento di ATP veniva quindi appurata la sussistenza di una significativa correlazione tra la gastroenterite e la sindrome di Guillan Barrè, successivamente insorta,

ha convenuto in giudizio la menzionata controparte chiedendo la condanna della medesima al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali così subiti, rispettivamente quantificati nell’importo di € 15.945,47 quanto ai primi ed in quello di € 473.301,00 quanto ai secondi, oltre rivalutazione monetaria ed interessi di legge.

Costituitosi in giudizio, il convenuto denegava che l’attrice avesse mangiato i frutti di mare individuati quale possibile fonte dell’intossicazione alimentare; denunciava l’inesistenza della prova di un nesso causale tra l’eventuale ingestione dei medesimi e l’insorgere della sindrome; notava come anche i militari del NAS avessero concluso le loro indagini affermando di non essere stati in grado di individuare la causa dell’infezione in oggetto; contestava ad ogni modo la quantificazione del danno operata dal consulente d’ufficio in sede di ATP; concludeva per il rigetto di ogni avversa domanda chiedendo di essere comunque manlevato di ogni eventuale negativa conseguenza della causa da parte della ***.

A sua volta costituitasi in giudizio, la terza chiamata eccepiva in via preliminare l’inammissibilità della procedura di ATP e la sua inutilizzabilità nell’ambito del giudizio di cognizione; aderiva nel merito alle difese svolte dal proprio cliente; eccepiva peraltro l’inoperatività della polizza dal momento che la stessa, destinata a coprire i soli danni causati da generi alimentari di produzione propria venduti o somministrati nell’esercizio pubblico direttamente al consumatore, non poteva avere ad oggetto pesce crudo, semmai portatore di un vizio originario escluso dalla copertura assicurativa; instava quindi chiedendo il rigetto di ogni domanda svolta nei suoi confronti.

Procedutosi alla trattazione del giudizio con il deposito di memorie autorizzate e datosi quindi corso alla fase istruttoria mediante l’escussione dei testi e l’acquisizione del fascicolo di ATP, la causa è stata infine trattenuta in decisione all’udienza del 21 gennaio 2016.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente all’esame di ogni altra questione ritiene il giudicante di dover rigettare l’eccezione di inammissibilità della consulenza svolta in sede di ATP nell’ambito del procedimento ex art. 696 bis cpc rubricato sub n. 7078/11 R.G., riaffermando l’assoluta ritualità della medesima.

Ed invero – dal momento che l’istituto in esame risulta connotato da una evidente funzione conciliativa e si palesa quale strumento volto a favorire la soluzione transattiva della controversia insorta tra le parti anche per mezzo della anticipazione delle valutazioni inerenti le questioni di fatto, tanto da potersi configurare alla stregua di una prova “in luogo del processo” e non “prima del processo”, di per sé non necessariamente strumentale al successivo giudizio di merito, ma essa stessa strumento dal quale partire per trovare una soluzione conciliativa tra le parti, così da evitare il giudizio di merito – non ha nessun senso che esso debba veder limitato il proprio ambito di operatività alla circostanza che entrambe le parti convengano in merito all’an, permanendo questioni unicamente in ordine al quantum della richiesta avanzata dalla parte ricorrente.

Né, d’altro canto – assumendo la consulenza tecnica preventiva di cui all’art. 696 bis cpc una marcata funzione conciliativa più che di cautela e caratterizzandosi per un primario scopo deflattivo del contenzioso civile che si realizza mediante il preventivo accertamento e la conseguente quantificazione dei crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito – paiono consentite interpretazioni eccessivamente restrittive e formalistiche dell’istituto, dovendosi ritenere che la prospettiva conciliativa debba appunto essere vagliata nel corso della procedura, così come ben chiarito nell’ultimo alinea del primo comma della norma in esame, e non preesistere invece alla proposizione del ricorso.

E tanto meno potrebbe fondatamente affermarsi che la valutazione del consulente debba limitarsi ad una mera fotografia della situazione esistente, con esclusione di ogni valutazione in merito alle cause dei fatti riscontrati, ove si consideri che al contrario è la stessa lettera della norma a precisare che l’istituto in questione risulta destinato ad operare non solo la preventiva determinazione del credito (valutazione in merito al quantum) ma anche il suo accertamento (valutazione in merito all’an).

Mentre, per ciò che attiene alla dedotta funzione conciliativa, la medesima va individuata non tanto nella circostanza – comunque verificatasi nel caso in esame – che il consulente d’ufficio abbia effettivamente tentato una mediazione fra le parti, quanto piuttosto nello stesso svolgimento del modulo istruttorio previsto dal legislatore, che già di per sé diviene luogo di confronto e di possibile composizione delle diverse posizioni assunte dalle varie parti.

Che, poi, nella fattispecie la conciliazione non sia riuscita è dimostrato in re ipsa dall’esperimento dell’odierna azione, nel cui ambito la domanda attorea risulta fermamente contestata dalla convenuta.

Venendo allora al merito, osserva lo scrivente come l’azione sia fondata e meriti quindi accoglimento nei limiti di cui al dispositivo.

All’esito della fase istruttoria si è invero potuto appurare:

– che durante il pranzo tenutosi sabato 21.2.09 presso il Ristorante ***, il nipote del *** consigliò all’attrice ed ai suoi famigliari di prendere quale antipasto delle ostriche e dei tartufi di mare crudi (teste G.),

– che la portata venne presentata frammista a cubetti di ghiaccio che a detta dei camerieri dovevano solo servire ad abbellire il piatto (teste G.),

– che in realtà i frutti di mare in questione erano i resti di una cena tenutasi il giorno precedente ed organizzata dal sig. *** (circostanza da ritenersi ammessa a seguito della mancata comparizione del legale rappresentante del convenuto a rendere l’interpello nonché verbale NAS di cui al doc. 4 convenuto),

– che, più in particolare, il *** aveva acquistato del pesce e delle ostriche dal sig. ***, il quale gli aveva quindi regalato 2 kg. di tartufi di mare (circostanza da ritenersi ammessa a seguito della mancata comparizione del legale rappresentante del convenuto a rendere l’interpello nonché verbale NAS di cui al doc. 4 convenuto),

– che i tartufi erano quindi stati direttamente portati dal *** al Ristorante ***, senza l’utilizzo di borse termiche, mentre il resto del pesce era stato invece trasportato e consegnato dalla “Ittica ***” (verbale NAS di cui al doc. 4 convenuto),

– che nella serata successiva al pasto, tutti i commensali cominciavano a sentirsi male presentando fenomeni di vomito e diarrea, oltre a dolori addominali (teste G.),

– che quando il figlio dell’attrice chiamò il ristorante per far presente quanto era accaduto, gli fu precisato dalla figlia del *** che anche altri clienti avevano avuto problemi simili (teste G.),

– che a seguito delle indagini svolte dai Carabinieri della Stazione di Bastia di Rovolon, nella persona del Comandante, Luogotenente Ivan Fino, e dal NAS di Padova si appurava che in effetti anche altre persone avevano lamentato problemi simili a quelli denunciati dal G. (teste Atteo).

Laddove l’esperimento della CTU ha consentito a sua volta di appurare:

– che il 23.2.09 veniva diagnosticata all’attrice una gastroenterite acuta (pag. 23),

– che in data 7.3.09 l’attrice veniva quindi ricoverata presso la Casa di Cura di Abano Terme a causa del verificarsi di episodi di caduta per riferito deficit di forza agli arti inferiori (circostanza pacifica in atti),

– che nel corso della degenza gli esami strumentali evidenziavano unicamente una infrazione della VI costa sinistra e la frattura della VII costa sinistra, in assenza di focalità patologiche encefaliche (pag. 23-24),

– che a causa di un aggravarsi della situazione l’attrice veniva poi trasferita presso il Reparto di Terapia Intensiva ove era eseguito l’esame del liquido cefalo rachidiano, le cui risultanze apparivano compatibili con la diagnosi di una sindrome di Guillain-Barrè (pag. 24),

– che la vicenda clinica era quindi caratterizzata dalla necessità di eseguire una intubazione oro-tracheale con assistenza ventilatoria, una tracheotomia ed il posizionamento di PEG (pag. 24-26),

– che al momento delle dimissioni la paziente presentava una paraparesi con presenza di movimenti prossimo-distali incompleti e la capacità di una deambulazione limitata a brevi tratti con necessità di girello o di accompagnatore (pag. 26),

– che la gastroenterite è una infiammazione della mucosa gastro-intestinale la quale può trarre origini da molteplici cause batteriche, virali, parassitarie e tossiche, la cui trasmissione può in taluni casi avere origine alimentare (pag. 27),

– che con il termine tossinfezione alimentare si indicano una serie di sindromi causate dall’ingestione di cibi contaminati da sostanze tossiche o da microrganismi patogeni (pag. 27),

– che l’insorgenza dei sintomi della tossinfezione a distanza di qualche ora dal pranzo nonché il dato anamnestico circostanziale del focolaio epidemico ristretto ai familiari appaiono compatibili con una gastroenterite di origine alimentare (pag. 28),

– che non vi è peraltro alcuna certezza sul punto in ragione della mancanza di una conferma di laboratorio del dato infettivo e dell’omesso isolamento dell’agente patogeno, sicché l’esistenza di un nesso causale tra l’ingestione di materiale alimentare contaminato e la gastroenterite accusata dall’attrice può essere postulata solo in termini probabilistici (pag. 29),

– che la sindrome di Guillain Barrè è una poliradicolopatia acuta infiammatoria demielinizzante, caratterizzata dal manifestarsi di una paralisi progressiva degli arti, con interessamento della muscolatura respiratoria e del sistema nervoso autonomo (pag. 30),

– che nella patogenesi di tale sindrome si è pertanto sospettato un ruolo determinante dell’agente infettivo che agirebbe attraverso una modificazione del materiale antigenico della cellula di Schwann ovvero determinando una risposta immunitaria crociata con la mielina del nervo (pag. 31),

– che da un punto di vista statistico-epidemiologico la correlazione tra la gastroenterite diagnosticata all’attrice e la successiva comparsa della predetta sindrome appare certamente significativa, apparendo elevata la probabilità che quest’ultima abbia tratto origine dalla prima (pag. 31-32),

– che i precedenti morbosi da cui risultava affetta l’attrice non presentano invece alcuna influenza nel determinismo della vicenda clinica di cui è causa (pag. 32),

– che i postumi permanenti subiti dalla paziente a causa di quanto accaduto possono essere quantificati nella misura del 65%-70% (pag. 36),

– che si sono individuate spese mediche congrue sostenute per complessivi € 4.960,00, mentre non risulta che ne saranno necessarie di ulteriori in futuro (pag. 36).

Le quali considerazioni vengono da questo giudice fatte integralmente proprie in considerazione della correttezza del ragionamento logico così svolto e della congruità delle risposte rese dal consulente d’ufficio alle osservazioni svolte dai consulenti di parte.

Avendo in proposito la Suprema Corte ben chiarito che il giudice del merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento, non essendo quindi necessario che egli si soffermi anche sulle contrarie allegazioni dei consulenti tecnici di parte che, seppur non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili con le conclusioni tratte, mentre le critiche di parte, che tendano al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono in mere argomentazioni difensive (Cass. 2.2.15 n. 1815 e 9.1.09 n. 282).

Ciò posto in linea di fatto, osserva il giudicante come pacifica giurisprudenza di legittimità sostenga:

– che nel giudizio avente ad oggetto il risarcimento del danno, l’attore deve allegare l’insorgenza della patologia e l’inadempimento qualificato della controparte, astrattamente idoneo a provocare, quale causa o concausa efficiente, il danno lamentato, rimanendo a carico del convenuto l’onere di dimostrare che tale inadempimento non vi è stato, ovvero che, pur esistendo, esso non è stato causa del danno (Cass. 9.10.12 n. 17143), di tal che, se all’esito del giudizio permanga incertezza sulla sussistenza del nesso causale tra la condotta del convenuto e il danno, tale incertezza ricade sull’attore (Cass. 26.2.13 n. 4792),

– che peraltro in sede civile per l’accertamento del nesso causale tra condotta illecita ed evento di danno non è necessaria la dimostrazione di un rapporto di consequenzialità necessaria tra la prima ed il secondo, ma è sufficiente la sussistenza di un rapporto di mera probabilità scientifica, conseguendone che il nesso causale può essere ritenuto sussistente non solo quando il danno possa ritenersi conseguenza inevitabile della condotta, ma anche quando ne sia conseguenza altamente probabile e verosimile (Cass. 26.6.07 n. 14759),

– che pertanto in tema di illecito civile il nesso di causalità deve essere fondato sul criterio della probabilità, e non già della mera possibilità, di verificazione dell’evento (Cass. 18.4.07 n. 9226),

– che al fine dell’accertamento di eventuali responsabilità risarcitorie, ove il ricorso alle nozioni di patologia medica e medicina legale non possa fornire un grado di certezza assoluta, la ricorrenza del rapporto di causalità non può essere esclusa in base al mero rilievo di margini di relatività, a fronte di un serio e ragionevole criterio di probabilità scientifica, specie qualora manchi la prova della preesistenza, concomitanza o sopravvenienza di altri fattori determinanti, dovendo invece escludersi la sussistenza del nesso eziologico solo quando le conclusioni cui sia giunto il consulente d’ufficio risultino svolte in termini di mera possibilità (Cass. 11.11.05 n. 22894).

Ora, dal momento che nel caso di specie è certo, anche per ammissione del legale rappresentante della compagine convenuta, non presentatosi a rendere l’interpello in assenza di un giustificato motivo:

– che l’attrice abbia consumato frutti di mare durante il pasto del 21.2.09,

– che i medesimi, consegnati al ristoratore privi dei documenti di vendita e di trasporto, risultassero gli avanzi di una cena allestita la sera precedente,

– che a distanza di due giorni dal pasto veniva quindi diagnosticata all’attrice una gastroenterite acuta,

– che anche i familiari della S. ed altri avventori del locale lamentavano disturbi intestinali successivamente al pasto,

– che l’insorgenza dei sintomi della tossinfezione a distanza di qualche ora dal pranzo nonché il dato del focolaio epidemico ristretto alle persone che avevano consumato il pasto in esame appaiono compatibili con una gastroenterite di origine alimentare,

ritiene il giudicante sussistano sufficienti elementi di prova per affermare la ricorrenza del nesso di causalità tra l’ingestione delle crudità di mare ed il successivo presentarsi della gastroenterite in questione, apparendo per un verso verosimile e più probabile che non che l’evento in oggetto sia dipeso dal fatto in questione e risultando, per altro verso, sintomatica l’assenza di altri fattori preesistenti, concomitanti o sopravvenuti di per sé atti a spiegare il verificarsi dell’accaduto.

Laddove poi è lo stesso consulente d’ufficio ad attestare la natura altamente significativa, sotto il profilo probabilistico, della correlazione tra la gastroenterite e la successiva comparsa della sindrome.

Mentre risulta del pari evidente la grave carenza di diligenza manifestata dai responsabili del ristorante che, in violazione di minime norme igieniche, accettavano la consegna di crudità marine trasportate senza l’utilizzo di sistemi di refrigerazione e le propinavano addirittura ad ignari clienti il giorno seguente, dopo che le stesse erano già state proposte nel corso di una cena.

Ritenuto pertanto dimostrato il nesso eziologico tra la somministrazione del piatto avariato ed il verificarsi dell’evento lesivo, oltre che la sussistenza di una grave responsabilità per l’accaduto in capo alla parte convenuta, deve allora procedersi alla liquidazione del danno in favore dell’attrice.

In proposito, va innanzi tutto quantificato quello di natura patrimoniale, partendo dal ristoro del danno emergente relativo:

– alle spese mediche sostenute in relazione alla patologia in esame, che sono state ritenute congrue dal consulente per l’importo di € 4.960,00,

– alle spese di ATP, quantificate nell’importo di € 1.369,81,

– alle spese di CTP nei limiti dell’importo di € 3.000,00, ritenuto più che congruo a compensare l’intervento del dr. Munari e del prof. Dam,

– alle spese legali di ATP, quantificate in base a tariffa nell’importo di € 5.600,00,

per un totale di € 14.929,81, rivalutato ad oggi in € 15.870,39.

In secondo luogo spetta poi all’attrice il risarcimento del danno non patrimoniale derivante dalla lesione della salute, che rientra fra i diritti inviolabili della persona, come tali garantiti dalla nostra Suprema Carta, i quali appaiono reintegrabili – sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 cc – anche quando non sussista un fatto/reato né ricorra alcuna delle altre ipotesi in cui la legge consente espressamente il ristoro dei pregiudizi non patrimoniali, purché si accerti:

– che l’interesse leso, e non il pregiudizio sofferto, abbia rilevanza costituzionale, poiché altrimenti si perverrebbe ad una abrogazione per via interpretativa dell’art. 2059 cc, posto che qualsiasi danno non patrimoniale, per il fatto stesso di essere tale, e cioè di toccare interessi della persona, sarebbe sempre risarcibile,

– che la lesione dell’interesse sia grave, nel senso che l’offesa superi una soglia minima di tollerabilità, in quanto il dovere di solidarietà dettato dall’art. 2 Cost. impone a ciascuno di tollerare le minime intrusioni nella propria sfera personale inevitabilmente scaturenti dalla convivenza,

– che il danno non sia futile, vale a dire che non consista in meri disagi o fastidi, ovvero nella lesione di diritti del tutto immaginari, come quello alla qualità della vita od alla felicità (Cass. Sez. Un. 11.11.08 n. 26972).

Danno questo che di per sé ricomprende:

– sia il pregiudizio da inabilità temporanea, e cioè l’incapacità di una persona ad attendere per un certo periodo alle proprie ordinarie occupazioni a causa di una malattia provocata dal fatto illecito altrui,

– sia la lesione dell’integrità psicofisica del soggetto e del bene della salute, comprensiva del turbamento dello stato d’animo conseguito al patimento della lesione fisica ed intrinseca alla struttura del fatto illecito del quale viene a rappresentare ineliminabile conseguenza immediata e quindi liquidabile pure in presenza di una semplice invalidità temporanea (Cass. 10 marzo 1992 n. 2840).

Esso peraltro, presentando natura unitaria, va liquidato in maniera omnicomprensiva, non costituendo le singole voci di esso elaborate dalla dottrina e dalla giurisprudenza – tradizionalmente rappresentate dal danno biologico, dal danno estetico, dal danno esistenziale e dal danno alla vita di relazione – pregiudizi autonomamente risarcibili (Cass. 16.5.13 n. 11950), ma semmai ulteriori sottocategorie aventi valenza meramente descrittiva (Cass. ord. 13.7.11 n. 15414), delle quali deve essere evitata una errata duplicazione risarcitoria dal momento che la sofferenza soggettiva derivante da una lesione della salute costituisce necessariamente una componente di quest’ultima (Cass. Sez. Un. 11.11.08 n. 26972).

In proposito, si osserva come il CTU, nell’ambito del proprio elaborato peritale, abbia individuato postumi permanenti nella misura del 65-70%, mentre per quel che attiene alla durata della inabilità temporanea – in assenza di precisazioni da parte del medesimo e dello stesso CTP attoreo nell’ambito della relazione datata 21.2.09 (doc. 6 attoreo) – si ritiene di non poter procedere ad una loro valutazione.

Fatta pertanto applicazione delle “Tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da lesione all’integrità psico-fisica” predisposte dal Tribunale di Milano – le quali secondo la Suprema Corte costituiscono valido e necessario criterio di riferimento ai fini della valutazione equitativa ex art. 1226 cc, là dove la fattispecie concreta non presenti circostanze tali da richiedere la relativa variazione in aumento o in diminuzione, tanto da affermare che risulti incongrua la motivazione della sentenza di merito che non dia conto delle ragioni della preferenza assegnata ad una liquidazione che risulti sproporzionata rispetto a quella cui si giungerebbe mediante l’applicazione dei parametri indicati dalle predette tabelle (Cass. 30.6.11 n. 14402) – ne deriva il riconoscimento in favore dell’attrice del diritto ad un risarcimento di € 444.433,00 a titolo di risarcimento del danno morale e di quello biologico permanente, non ritenendo di doversi ulteriormente personalizzare la cifra in esame, essendo stato ben chiarito dai giudici di legittimità che il grado di invalidità permanente espresso da un baréme medico legale esprime la misura in cui il pregiudizio alla salute incide su tutti gli aspetti della vita quotidiana della vittima, restando preclusa la possibilità di un separato ed autonomo risarcimento a titolo di personalizzazione del danno, salvo che l’interessato alleghi e dimostri circostanze specifiche ed eccezionali tali da rendere il pregiudizio in concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti da lesioni dello stesso genere sofferte da persone della stessa età (Cass. 7.11.14 n. 23778).

Sicché, tenuto conto del danno patrimoniale già liquidato, si individua nel complessivo importo di € 460.303,39 l’ammontare del risarcimento spettante alla S..

Sulla somma così determinata tenendo già conto della perdita del potere d’acquisto della moneta, anche in considerazione del fatto che sono stati utilizzati i valori indicati nelle tabelle da ultimo pubblicate, spettano poi all’attrice gli interessi di legge a far data dal deposito della presente sentenza e sino al saldo effettivo.

I medesimi non sono invece dovuti per il periodo precedente poiché essi vanno unicamente liquidati qualora – dal confronto comparativo in unità di pezzi monetari tra la somma rivalutata riconosciuta al creditore al momento della liquidazione e quella di cui egli disporrebbe in ipotesi di un tempestivo soddisfo e avendo potuto utilizzare l’importo allora dovutogli secondo le forme considerate ordinarie nella comune esperienza ovvero in impieghi più remunerativi – la seconda ipotetica somma sia maggiore della prima (Cass. 12.2.10 n. 3355 e 24.10.07 n. 22347), ciò che nella fattispecie non è stato provato.

Quanto poi alla domanda di manleva esperita dal convenuto nei confronti della “***”, la medesima va accolta.

Ed invero – una volta osservato come l’art. 47 del contratto precisi che l’assicurazione è altresì operante per i danni derivanti da “cose vendute dall’assicurato, esclusi i danni da vizio originario del prodotto, fatta eccezione per i generi alimentari di produzione propria venduti (somministrati o smerciati) nello stesso esercizio direttamente al consumatore” – pare allo scrivente che la predetta limitazione della copertura non si attagli al caso di specie, dal momento che non sussiste alcuna prova del fatto che l’alimento a causa del quale si è sviluppata la gastroenterite fosse sin dall’origine affetto da vizi e cioè dalla presenza di sostanze chimiche tossiche o di tossine prodotte da micorganismi, giacché:

– per un verso non è escluso che i medesimi si siano prodotti solo a causa del suo trasporto effettuato in maniera scorretta da Venezia a Rovolon, senza l’utilizzo di borse termiche,

– per altro verso è affermato dallo stesso consulente d’ufficio che l’intossicazione potrebbe in realtà essere stata causata da tossine elaborate dai microrganismi durante la colonizzazione e lo sviluppo nel tratto intestinale o in altri tessuti e cioè in un momento successivo alla somministrazione della pietanza (pag. 27 CTU).

Di tal che la compagnia va condannata a tenere indenne il proprio assicurato di quanto dovuto in favore dell’attrice a titolo di capitale, interessi e spese.

Quanto infine alle spese di giudizio, liquidate come da dispositivo tenendo conto:

– dei parametri dettati dal D.M. 10.3.14 n. 55, siccome disposto dall’art. 28 il quale prevede appunto che le disposizioni del decreto si applichino a tutte le liquidazioni successive alla sua entrata in vigore, pur ove la prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta quando ancora erano in vigore le tariffe abrogate,

– dell’ammontare delle somme in concreto riconosciute dovute (Cass. 5.1.11 n. 226),

– della circostanza che la fase di studio della controversia e di introduzione del giudizio ha comportato l’esame delle stesse circostanze in fatto e diritto già valutate per l’esperimento della ATP,

le stesse gravano sul convenuto in forza del principio della soccombenza sancito dall’art. 91 cpc.

P. Q. M.

Il Giudice, pronunciando in maniera definitiva sulla presente controversia, disattesa ogni diversa istanza:

1) condanna il “Ristorante ***” a pagare in favore di E. S., a titolo di risarcimento danni, la somma già rivalutata di € 460.303,39, oltre agli interessi di legge dal deposito della presente sentenza e sino all’effettivo saldo;

2) condanna il convenuto a rifondere in favore dell’attrice le spese processuali che liquida in € 18.000,00 per competenze ed in € 1.064,00 per anticipazioni, oltre al rimborso delle spese generali, dell’IVA e degli accessori di legge;

3) condanna il convenuto a sostenere le competenze di CTU;

4) condanna la “***” a tenere indenne il convenuto delle somme dovute in favore dell’attrice in forza di quanto statuito sub 1), 2) e 3).

Padova, 20 aprile 2016

         Il Giudice

dott. Guido Marzella

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