Titolo

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addebito

Giurisprudenza Patavina-Tribunale Procedura Civile

Tribunale di Padova: sulle (rigide) preclusioni istruttorie di cui all’art. 183, co. 6, c.p.c.

Tribunale di Padova, Giudice Dr. A. Stocco, sentenza del 2 marzo 2020 n. 453

Il Tribunale di Padova, nella persona del Giudice Dr. Stocco, affronta alcune interessanti questioni relative alle regole del gioco in campo processuale, in particolare, in tema di barriere preclusive per la indicazione dei mezzi di prova e delle produzioni documentali.

In base all’art. 183, co. 6, n. 2, c.p.c., le parti, con la seconda memoria, devono, a pena di preclusione, effettuare l’attività istruttoria che non abbiano già compiuto in precedenza. Da ciò consegue che le prove non richieste ed i documenti non prodotti con la predetta memoria non possono essere, rispettivamente, richieste e prodotti successivamente. Le preclusioni istruttorie di cui ai nn. 2 e 3 dell’art. 183, co. 6, c.p.c. riguardano sia le prove costituende che quelle precostituite.

Ciò premesso, anche una eccezione in sé ammissibile, può esporsi alla declaratoria di infondatezza laddove si basi su di un fatto costitutivo non tempestivamente allegato ed, in particolare, quando la produzione della prova documentale è un tutt’uno con l’allegazione del fatto costitutivo.

Neppure la mancata opposizione della controparte può valere ad impedire una decadenza già maturata giacchè i termini di cui all’art. 183, comma 6, c.p.c. sono qualificati espressamente come «perentori» dal legislatore; e ai sensi dell’art. 153, comma 1, c.p.c. «i termini perentori non possono essere abbreviati o prorogati, nemmeno sull’accordo delle parti».

Anche l’onere di contestazione specifica posto dall’art. 115, comma 1, c.p.c. non può che riferirsi a fatti ritualmente acquisiti al processo.

E d’altronde, ben sappiamo quanto importante sia contestare i fatti in modo specifico e non generico (o apodittico) giacchè i fatti “non specificamente contestati dalla parte costituita” non hanno bisogno di essere provati, con la conseguenza che ad essi non si applica la regola sull’onere della prova (art. 2697 c.c.); ma lo si ribadisce, deve trattarsi pur sempre di fatti ritualmente acquisiti al processo.

Inoltre,

vero è che nel caso di rilevazione d’ufficio di una questione di nullità, il giudice è tenuto ad attivare il meccanismo di cui all’art. 101, comma 2, c.p.c. “riaprendo” il contraddittorio tra le parti su tale questione; ma è necessario, appunto, che una qualche nullità sia rilevata, in quanto emerga dalle rituali allegazioni delle parti o dalle produzioni documentali in atti (cfr. Cass. Sez. Un. n. 26242/2014).

Ne deriva che, qualora non emerga alcuna nullità dalle rituali allegazioni delle parti e dai documenti tempestivamente prodotti in giudizio, non può farsi applicazione dell’art. 101, comma 2, c.p.c., proprio in ragione della carenza probatoria in parola.

LA SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI PADOVA

II SEZIONE CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Alberto Stocco,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 5847/2015 promossa da:

R.C. (C.F.) con il patrocinio dell’avv. B.B., elettivamente domiciliata in _

ATTRICE OPPONENTE

contro

BANCA _(C.F.) con il patrocinio dell’avv. D.M., elettivamente domiciliata in_

CONVENUTA OPPOSTA

e con l’intervento di:

_ (C.F.) con il patrocinio dell’avv. P.M., elettivamente domiciliata in _

INTERVENUTA

che porta riunita la causa R.G. n. 5947/2015 promossa da:

G.B. (C.F.), in proprio e quale rappresentante legale di _ con il patrocinio

degli avv.ti D.A., C.M. e F.M., elettivamente domiciliato in _

ATTORE OPPONENTE

contro

BANCA _(C.F.) con il patrocinio dell’avv. D.M., elettivamente domiciliata in

CONVENUTA OPPOSTA

e con l’intervento di

(C.F.) con il patrocinio dell’avv. P.M., elettivamente domiciliata in _

INTERVENUTA

CONCLUSIONI

Le parti hanno concluso come alla udienza del giorno 28 novembre 2019. Tali conclusioni sono richiamate e sono da ritenersi parte integrante e sostanziale di questa sentenza, ancorché non ritrascritte.

CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

_ si è opposta al decreto ingiuntivo n. 1761/2015 con il quale il Tribunale di Padova le ha ingiunto il pagamento, in favore di _, dell’importo di euro 204.034,44, oltre a interessi e spese, a titolo di saldo debitore del conto corrente n. _ intestato alla _ s.r.l. (ed acceso in data _), a garanzia del quale l’opponente aveva rilasciato fideiussione omnibus fino all’importo di euro 380.000,00 in data 22 aprile 2009.

L’opponente ha proposto i seguenti motivi di opposizione:

1) incompletezza dell’estratto conto certificato ex art. 50 T.U.B. utilizzato dalla banca in sede monitoria, in quanto privo di indicazione dei movimenti relativi ai primi anni del rapporto;

2) violazione del principio di buona fede da parte della banca per avere accordato credito al debitore principale (_) in assenza di idonee garanzie, così accentuando la sua posizione debitoria e quella dei fideiussori;

3) mancanza di specifica approvazione per iscritto dell’art. 5 del contratto di fideiussione volto a prevedere un onere di informazione, in capo al fideiussore, in ordine alle condizioni patrimoniali del debitore.

_ ha chiesto, quindi, la revoca del decreto ingiuntivo opposto e, in via istruttoria, l’ordine di esibizione alla banca di tutta la documentazione contabile afferente al conto corrente n. _ e l’ammissione di c.t.u. contabile.

Si è costituita _ deducendo la regolarità e completezza dell’estratto conto certificato ex art. 50 T.U.B. ed eccependo la mancanza di prova in ordine alla violazione dell’art. 1956 c.c. da parte delle banca, nonché la validità della clausola 5 del contratto di fideiussione, contratto che in ogni caso dovrebbe essere ricondotto alla figura della garanzia autonoma.

_ ha chiesto il rigetto dell’opposizione e la conferma del decreto ingiuntivo opposto; in subordine, la condanna della convenuta al pagamento della somma accertata come dovuta in corso di causa.

Con differente atto di citazione _ in proprio e quale liquidatore e legale rappresentante della _ – si è opposto al medesimo decreto ingiuntivo n. 1761/2015 (emesso, oltre che nei confronti di _, anche nei confronti del _, della _ e di altri soggetti non coinvolti nel presente procedimento di opposizione) deducendo:

1) la difformità tra numero di conto corrente indicato nei documenti prodotti dalla banca e numero di conto del quale la banca chiede il saldo;

2) l’incompletezza dell’estratto conto ex art. 50 T.U.B. utilizzato dalla banca per ottenere il decreto ingiuntivo, trattandosi di mero “saldaconto”;

3) la produzione da parte della banca di sole 3 pagine del contratto di conto corrente;

4) il collegamento del rapporto di conto corrente de quo con due conti anticipi, sui quali la banca potrebbe aver applicato competenze indebite;

5) la violazione da parte della banca dell’art. 1956 c.c..

Nel diverso giudizio così incardinato (R.G. 5947/15) si è costituita _, precisando che il conto corrente originariamente aperto dalla _ – n. _ – avrebbe assunto in seguito la numerazione _, in ragione di vicende societarie riguardanti l’istituto di credito; ed eccependo la correttezza dell’ammontare del saldo ingiunto, nonché l’infondatezza della domanda avversaria in punto di violazione dell’art. 1956 c.c., evidenziando la qualifica del fideiussore della debitrice principale_.

Le due cause sono state riunite prima della concessione dei termini di cui all’art. 183, comma 6, c.p.c..

Dopo lo scambio delle memorie, la causa è stata istruita tramite c.t.u. contabile assegnata al dott. _; dopo il deposito dell’elaborato peritale, il CTU è stato chiamato a rendere chiarimenti in ordine alle osservazioni delle parti opponenti. Alla udienza dell’8 febbraio 2018, gli opponenti hanno sollevato eccezione di nullità delle fideiussioni omnibus stipulate da _ e _ per violazione della normativa antitrust (art. 2, l. 287/1990).

Alla udienza del 28 febbraio 2019 la parte opponente _ha depositato copia del provvedimento della Banca d’Italia n. 55/2005 a sostegno della eccezione di nullità delle fideiussioni omnibus avanzata alla udienza precedente.

Con atto di intervento ex art. 111, comma 3, c.p.c. – depositato in data 26 novembre 2019 – è intervenuta in giudizio _, quale mandataria di _ (cessionaria di _ in relazione al credito ingiunto), dichiarando di sostituirsi a _ facendone proprie le conclusioni, istanze e richieste.

La causa è stata quindi ritenuta matura per la decisione e le parti hanno precisato le    rispettive conclusioni alla udienza del 28 novembre 2019.

Sull’eccezione di nullità delle fideiussioni omnibus

Preliminarmente va esaminata l’eccezione di nullità delle fideiussioni omnibus sollevata dagli opponenti, in quanto potenzialmente in grado di definire il giudizio.

Gli opponenti hanno sollevata tale eccezione – volta far valere la nullità totale, o

quantomeno parziale, della fideiussione omnibus stipulata in data 20 aprile 2009 da _ e della fideiussione omnibus stipulata in data 27 aprile 2009 da _ , entrambe a garanzia delle obbligazioni della _ (rispettivamente, doc. 2 allegato all’atto di citazione di _ e doc. 7 allegato al ricorso monitorio) per contrarietà alla normativa antitrust – alla udienza dell’8 febbraio 2018, come risulta dal relativo verbale.

In particolare, l’opponente _ a tale udienza ha eccepito la nullità delle predette garanzie tenuto conto dell’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 29810/2017 «che ha sancito la nullità dei contratti di fideiussione conformi alle norme bancarie uniformi redatte dall’Associazione Bancaria Italiana e censurate dalla Banca d’Italia (provvedimento n.55 del 2 maggio 20051), per violazione dell’art.2, l. 10 ottobre 1990, n.287», allegando che «il contratto di fideiussione stipulato tra il _ … risulta nullo poiché conformi alle predette norme bancarie. In particolare, la fideiussione sottoscritte dal _contiene la rinuncia ai termini di cui all’art. 1957 c.c.; la clausola di reviviscenza; l’insensibilità della garanzia a eventuali vizi del rapporto garantito»; a tale eccezione si è associato anche l’opponente _ (cfr. verbale di udienza dell’8 febbraio 2018).

Gli opponenti hanno argomentato in modo più approfondito la propria eccezione in sede di comparsa conclusionale, eccependo altresì l’estinzione delle fideiussioni in parola per decadenza ai sensi dell’art. 1957 c.c., dovendo la clausola di deroga a tale disposizione contenuta nelle fideiussioni ritenersi nulla in forza della predetta contrarietà all’art. 2 della l. 287/1990 e non avendo la banca agito entro il termine semestrale dell’art. 1957 c.c..

Va evidenziato che la nullità, totale o parziale, delle fideiussioni per cui è causa è stata dedotta dagli opponenti soltanto in via di eccezione c.d. riconvenzionale, al fine di paralizzare la richiesta di condanna svolta da _, e così con pronuncia da rendersi incidenter tantum, senza efficacia di giudicato. Ciò consente la trattazione della questione da parte dell’adito Tribunale, essendo in tal modo esclusa la competenza della Sezione Specializzata in materia di imprese del Tribunale di Milano, cui altrimenti la questione avrebbe dovuto essere rimessa ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. c) e dell’art. 4 comma 1 ter, del d.lgs. n. 168 del 2003 (dopo le modifiche apportate con il D.L. n. 3 del 19.1.2017).

L’eccezione risulta in sé ammissibile, atteso che è volta a far valere la nullità dei contratti di fideiussione omnibus stipulati dagli opponenti _ e _, o quantomeno di alcune clausole degli stessi, ed è pacifico che la nullità possa essere rilevata d’ufficio o eccepita in ogni stato e grado del processo (trattandosi di eccezione “in senso lato”).

L’eccezione risulta, tuttavia, infondata in quanto si basa su di un fatto costitutivo non tempestivamente allegato dagli opponenti.

Va osservato, in via generale, che la nullità eccepita dagli opponenti trova il proprio fondamento – secondo quella parte della giurisprudenza che reputa fondata la tesi qui sostenuta dagli opponenti (cfr. Cass. civ. n. 29810/2017; Cass. civ. n. 13846/2019) – nella circostanza di fatto che le fideiussioni contengano le tre clausole di cui al modello di fideiussione omnibus predisposto dall’ABI nel 2003, la cui applicazione uniforme è stata ritenuta contraria al principio della libera concorrenza con provvedimento della Banca d’Italia n. 55/2005 (in particolare le clausole 2, 6 e 8, rispettivamente di sopravvivenza, di rinuncia ai termini di cui all’art. 1957 c.c. e di reviviscenza).

Fondamentale, al fine di provare i fatti costitutivi della nullità in parola, risulta la produzione in giudizio – oltre che del contratto di fideiussione omnibus dal quale risultino le tre clausole delle quali si è detto – del provvedimento della Banca d’Italia n. 55/2005 e del modulo di fideiussione omnibus predisposto dall’ABI nel 2003.

Il primo costituisce, infatti, un provvedimento amministrativo emesso da un’Autorità indipendente, che sfugge al principio iura novit curia in quanto privo di carattere “normativo”; il secondo, necessario per verificare la corrispondenza delle clausole presenti nella fideiussione a quelle oggetto di censura da parte della Banca d’Italia con il predetto provvedimento n. 55/2005, costituisce un provvedimento di una associazione di categoria e, come tale, non può essere certo annoverato tra le fonti del diritto.

Tale produzione, tuttavia, deve essere rituale, ovvero deve rispettare le barriere preclusive stabilite dal codice di rito per il processo ordinario, non potendo giustificarsi una produzione tardiva se non in forza dell’accoglimento di una istanza di rimessione in termini ai sensi dell’art. 153, comma 2, c.p.c..

I due documenti devono pertanto essere prodotti entro lo scadere del termine di cui all’art. 183, comma 6, n. 2, c.p.c., che rappresenta la barriera preclusiva per «indicazione dei mezzi di prova» e «produzioni documentali»; in caso contrario, la produzione va ritenuta tardiva e i documenti risultano inammissibili.

Nel caso di specie, gli opponenti hanno invece prodotto il provvedimento della Banca d’Italia n. 55/2005 soltanto alla udienza del 28 febbraio 2019 (il modulo ABI non risulta invece prodotto), quindi ben oltre il termine concesso ai sensi dell’art. 183, comma 6, n. 2, c.p.c. (scaduto il 30 maggio 2016).

Di tale provvedimento non può, pertanto, tenersi conto in questa sede, in quanto tardivamente – e quindi non ritualmente – acquisito al processo.

L’opponente _ ha tuttavia sostenuto, negli scritti defensionali successivi alla udienza di

p.c., che la produzione sarebbe ammissibile per due ordini di motivi: in primo luogo perchè al momento della produzione del documento in parola la controparte non avrebbe mosso obiezioni; in secondo luogo perché trattandosi di nullità rilevabile d’ufficio, la stessa «una volta emersa in giudizio, richiede ex art. 101, co. 2, c.p.c. la riapertura della fase di istruzione e trattazione della causa» (cfr. p. 3 della memoria di replica di _).

Entrambi i motivi sono infondati.

Quanto al primo va osservato che i termini di cui all’art. 183, comma 6, c.p.c. sono qualificati espressamente come «perentori» dal legislatore; e ai sensi dell’art. 153, comma 1, c.p.c. «i termini perentori non possono essere abbreviati o prorogati, nemmeno sull’accordo delle parti».

La mancata opposizione della controparte alla udienza del 28 febbraio 2019 non può valere, pertanto, ad impedire una decadenza già maturata.

Quanto al secondo motivo, lo stesso è infondato perché “inverte i termini della questione”.

È certamente vero che in caso di rilevazione d’ufficio di una questione di nullità, il giudice è tenuto ad attivare il meccanismo di cui all’art. 101, comma 2, c.p.c. “riaprendo” il contraddittorio tra le parti su tale questione (sulla misura di tale riapertura non è questa la sede per soffermarsi); ma è necessario, appunto, che una qualche nullità sia rilevata, in quanto emerga dalle rituali allegazioni delle parti o dalle produzioni documentali in atti (cfr. Cass. Sez. Un. n. 26242/2014).

Nel caso di specie, invece, non può farsi applicazione dell’art. 101, comma 2, c.p.c., proprio perché – in ragione della carenza probatoria della quale già si è detto – alcuna nullità emerge dalle rituali allegazioni delle parti e dai documenti tempestivamente prodotti in giudizio.

Né può ritenersi che l’onere della prova dei fatti costitutivi posti a fondamento della nullità sia stato assolto in forza del principio di non contestazione, come vorrebbe l’opponente _ (cfr. p. 3 della memoria di replica) allorquando deduce che _, nella propria comparsa conclusionale, non avrebbe contestato in modo specifico i fatti posti a fondamento dell’eccezione (contenuto del provvedimento della Banca d’Italia n. 55/2005 e contenuto del modulo ABI del 2003).

Va osservato, infatti, che l’onere di contestazione specifica posto dall’art. 115, comma 1, c.p.c. si riferisce ai fatti ritualmente acquisiti al processo; mentre – in maniera non dissimile da quanto già si è detto poco sopra – l’allegazione delle circostanze di fatto in questione da parte dell’opponente risulta tardiva, perché successiva al termine di cui all’art. 183, comma 6, c.p.c..

In altri termini, va ribadito che l’asserita nullità delle fideiussioni non emerge dalle rituali allegazioni delle parti o dalle produzioni documentali in atti (tempestivamente prodotte).

A ciò deve aggiungersi, in ogni caso, che l’intervenuta _ ha specificamente e diffusamente contestato nella propria comparsa conclusionale i fatti allegati dagli opponenti in punto di nullità delle fideiussioni per contrarietà alla normativa antitrust, eccependo altresì la tardività della produzione documentale avversaria.

Per questi motivi l’eccezione di nullità delle fideiussioni omnibus avanzata da _ e _ va rigettata.

Può quindi procedersi all’esame degli ulteriori motivi di opposizione avanzati dagli opponenti, incominciando dalla posizione di _.

Posizione del fideiussore _

I motivi di opposizione sono infondati.

Il primo motivo – volto a denunciare l’incompletezza dell’estratto conto certificato ex art. 50 T.U.B. utilizzato dalla banca in sede monitoria, in quanto privo di indicazione dei movimenti relativi ai primi anni del rapporto – è infondato in quanto la banca risulta aver prodotto in giudizio il contratto di conto corrente n. _ sottoscritto da _ in data 28 aprile 2009, nonché copia della serie completa degli estratti conto dall’apertura del rapporto sino al secondo trimestre del 2014.

Non essendo onere della banca produrre nel giudizio monitorio tutti gli estratti conto relativi al rapporto di conto corrente per il cui saldo agisce – né un estratto conto “integrale”, come sostiene l’opponente – ed avendo nel caso di specie _ prodotto nel giudizio di opposizione la predetta documentazione – in tal modo superando ogni eventuale carenza del giudizio monitorio – il motivo di opposizione non può trovare accoglimento.

Quanto al secondo motivo – asserita violazione del principio di buona fede da parte della banca, per avere accordato credito al debitore principale (la _) in assenza di idonee garanzie – va osservato che si tratta di doglianza del tutto generica, in quanto l’opponente non ha allegato in modo specifico i fatti costitutivi di tale motivo di opposizione: non è dato sapere, in particolare, quando la banca avrebbe posto in essere atti in grado di accentuare la posizione debitoria del debitore principale né la natura di tali atti; né, ancora, da quali circostanze si evincerebbe la conoscenza da parte della banca del peggioramento delle condizioni economiche del debitore principale.

In mancanza di idonea allegazione (oltre che prova) dei fatti costitutivi della contestazione attorea, il motivo di opposizione va quindi respinto.

In ordine al motivo di opposizione volto a far valere la mancanza di specifica approvazione per iscritto dell’art. 5 del contratto di fideiussione – volto a prevedere un onere di informazione, in capo al fideiussore, in ordine alle condizioni patrimoniali del debitore, derogando in tal modo all’art. 1956 c.c. – va osservato che l’articolo in parola prevede soltanto che il fideiussore “avrà cura” di informarsi in ordine alle condizioni economiche del debitore e dello svolgimento dei suoi rapporti con la banca (peraltro sancendo al comma 2 l’obbligo per la banca di comunicare, a richiesta del fideiussore, l’entità dell’esposizione del debitore principale): non prevede, quindi, alcuna rinuncia preventiva del fideiussore ad avvalersi della liberazione di cui all’art. 1956 c.c. né comporta un «significativo squilibrio» dei diritti e degli obblighi derivanti alle parti dal contratto né rientra nelle ipotesi di cui all’art. 33, comma 2, del codice del consumo.

Con la prima memoria ai sensi dell’art. 183, comma 6, c.p.c. l’opponente ha altresì eccepito l’abusività della clausola n. 6 della fideiussione (deroga all’art. 1957 c.c.), senza peraltro allegare alcuna concreta conseguenza in punto di decadenza della banca.

La clausola in parola risulta sottoscritta in modo specifico dalla _; in ogni caso, va evidenziato che la decadenza del creditore dall’obbligazione fideiussoria ai sensi dell’art. 1957 cod. civ., per effetto della mancata tempestiva proposizione delle azioni contro il debitore principale, può formare oggetto di rinuncia preventiva da parte del fideiussore, trattandosi di pattuizione affidata alla disponibilità delle parti che non urta contro alcun principio di ordine pubblico, comportando soltanto l’assunzione, da parte del fideiussore, del maggior rischio inerente al mutamento delle condizioni patrimoniali del debitore. La clausola relativa a detta rinuncia non rientra, inoltre, tra quelle particolarmente onerose per le quali l’art. 1341, secondo comma, cod. civ. esige, nel caso che siano predisposte da uno dei contraenti, la specifica approvazione per iscritto dell’altro contraente (cfr. Cass. civ. n. 9245/2007).

Anche tale motivo di opposizione risulta pertanto infondato.

Posizione del fideiussore _

Vanno parimenti respinti i motivi di opposizione del fideiussore _ in punto di incompletezza dell’estratto conto ex art. 50 T.U.B. utilizzato dalla banca per ottenere il decreto ingiuntivo e di incompletezza del contratto di conto corrente prodotto dalla banca.

Quanto al primo motivo, valgono le considerazioni già espresse per l’analoga doglianza svolta da _, che si richiamano qui integralmente.

La banca ha poi prodotto in sede di opposizione il contratto di conto corrente n. _ sottoscritto da _ in data _ in forma integrale, comprensivo di tutte e 21 le pagine (cfr. doc. 11 allegato alla comparsa di costituzione).

Quanto alla asserita difformità tra numero di conto corrente indicato nei documenti prodotti dalla banca (_) e numero di conto del quale la banca chiede il saldo (_), come dedotto dalla banca il conto corrente risulta essere lo stesso – come si evince pacificamente dai docc. 13 e 14 della banca, ove emerge che il saldo finale al 31 marzo 2013 del conto _ corrisponde a quello iniziale al 1 aprile 2013 del conto _ – essendovi stata soltanto una nuova numerazione del conto.

In ordine, poi, alla asserita violazione da parte de lla banca dell’art. 1956 c.c.. va ribadito quanto già detto per il fideiussore _: il motivo di opposizione è privo di allegazioni specifiche (e prove) a supporto, risolvendosi così in una astratta doglianza che, come tale, va ritenuta infondata e va respinta (cfr. p. 6 dell’atto di opposizione del _).

Parimenti infondata è l’eccezione sollevata dall’opponente a p. 4 del proprio atto di opposizione («in ordine a tutta la documentazione versata in causa dalla banca si eccepisce comunque la conformità della copia dei documenti agli originali»): la giurisprudenza consolidata afferma che il disconoscimento della conformità di una copia all’originale, per essere efficace, «deve essere chiaro, circostanziato ed esplicito, dovendosi concretizzare nell’allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta» (cfr. tra le altre Cass. civ. n. 3122/2015); mentre nel caso di specie il disconoscimento risulta generico, non circostanziato – perché formulato in modo onnicomprensivo in relazione a tutti i documenti avversari – e nessun elemento di fatto viene allegato dall’opponente al fine di attestare la difformità tra documento originale e documento in copia.

L’eccezione non può pertanto trovare accoglimento.

Resta da esaminare il motivo di opposizione con cui il _ ha allegato il collegamento del rapporto di conto corrente n. _ con due conti anticipi (n. _ e n. _), asserendo che su tali conti la banca «potrebbe» aver applicato competenze indebite (cfr. p. 5 dell’att o di opposizione) ed affermando potersi evincere l’applicazione di un tasso usurario da parte della banca, sulla base dei documenti già versati in atti; il tutto con conseguente riduzione dell’importo debitorio dovuto dalla _ e così dal fideiussore _.

Nonostante la genericità di tale allegazione, la sollecitazione attorea in ordine alla verifica della sussistenza di nullità relative al contratto di conto corrente e ai due conti anticipi ha condotto a disporre c.t.u. contabile volta a verificare l’applicazione di interessi usurari e di illegittimo anatocismo nei tre conti in parola e a rideterminare il saldo dare/avere dei tre conti, con i risultati che verranno in appresso esaminati.

Sulle risultanze della c.t.u.

Va sin da subito osservato che il contratto di conto corrente n. _ del _ dimesso in atti contiene la pattuizione specifica della clausola di capitalizzazione degli interessi, con pari periodicità.

La capitalizzazione risulta, pertanto, validamente pattuita in quanto rispettosa dell’art. 120 T.U.B. ratione temporis vigente e della delibera CICR 9 febbraio 2000, che consente la pratica anatocistica bancaria al ricorrere della pari periodicità nella liquidazione degli interessi debitori e creditori e della specifica approvazione per iscritto della relativa clausola da parte del cliente.

Quanto al periodo successivo all’1 gennaio 2014, va osservato che a partire da tale data deve ritenersi vigente il divieto di anatocismo bancario, a seguito della modifica del testo dell’art. 120, comma 2, T.U.B. ad opera della l. n. 147/2013 (legge di stabilità per il 2014) nei seguenti termini: «Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che: a) nelle operazioni in conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori; b) gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale».

Tale disposizione – il cui intento era quello di introdurre il divieto di anatocismo nell’ordinamento bancario, come si desume dai lavori preparatori della predetta legge

di stabilità – deve ritenersi operante sin dalla data della sua entrata in vigore, a prescindere dalla emanazione della delibera CICR cui l’art. 120, comma 2, T.U.B. fa riferimento (delibera che, di fatto, mai è stata emanata): infatti, secondo l’orientamento maggioritario della giurisprudenza di merito (cfr., tra le altre, Trib. Monza 13.6.2018; Trib. Pavia 21.4.2016; Trib. Milano 25.3.2015; Trib. Milano 3.4.2015; Trib. Roma 20.10.2015), la disposizione in parola presentava un contenuto precettivo già chiaramente definito, che non necessitava di essere ulteriormente specificato dalla delibera attuativa del CICR, la quale, in quanto fonte subordinata, avrebbe in ogni caso dovuto collocarsi nel solco dell’art. 120 T.U.B., rispettando il divieto di anatocismo ivi sancito.

Correttamente, pertanto, il CTU ha provveduto al ricalcolo del saldo del conto corrente senza eliminare gli effetti dell’anatocismo (cfr. p. 6 della c.t.u.) sino all’1 gennaio 2014, ed eliminandoli invece per il periodo successivo. Altresì corretta risulta la limitazione dell’eliminazione dell’anatocismo al solo conto corrente, posto che – come chiarito dal CTU – sui due conti anticipi «non emerge, evidentemente, alcun tipo di capitalizzazione non essendoci addebito di competenze» (cfr. p. 6 della c.t.u.).

La domanda attorea in punto di nullità dell’anatocismo posto in essere dalla banca risulta, pertanto, fondata solo in minima parte (ovvero per i trimestri successivi al 1

gennaio 2014).

Quanto all’usura oggettiva, va osservato che alla luce della recente pronuncia delle

Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 24675/2017 – che ha avuto ad oggetto un contratto di mutuo, ma che può estendersi anche al contratto di conto corrente, seppure con i dovuti adattamenti (cfr., sul punto, Trib. Padova 9.11.2018; Trib. Monza 13.6.2018) – può aversi usura oggettiva soltanto in caso di superamento del tasso soglia da parte del tasso di interesse originariamente pattuito dalla banca con il cliente. In particolare, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nelle ipotesi di superamento del tasso soglia in un momento successivo a quello in cui il tasso di interesse è stato pattuito, hanno perentoriamente escluso, non solo la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale contenente il tasso di interesse, ma anche il ricorso al canone della buona fede nell’esecuzione del contratto in virtù del quale sarebbe stata scorretta la pretesa del pagamento di un tasso di interesse divenuto usurario ovvero sopra soglia, enunciando il seguente principio di diritto: «allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell’usura come determinata in base alle disposizioni della legge n. 108 del 1996, non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge, o della clausola stipulata successiva-mente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula; né la pretesa del mutuante, di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato, può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di detta soglia, contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto».

Nel caso di specie, il CTU ha escluso la sussistenza del superamento del tasso soglia pro tempore vigente in relazione alla pattuizione originaria del conto corrente n. 20270.24, sia utilizzando la formula c.d. finanziaria sia utilizzando la formula c.d. Banca d’Italia, concludendo che «non emerge in alcun caso il superamento dei tassi soglia rilevati per il II trimestre dell’anno 2009 ed individuati nel 12,93% per la aperture di credito con classe di operazioni superiori ad €. 5.000,00 e nella percentuale dello 0,99% prevista per la CMS» (cfr. p. 14 della c.t.u.).

Quanto ai due conti anticipi (n. _ e n. _) non essendo stati prodotti in giudizio i relativi contratti di apertura, l’usura ab origine – nel senso chiarito dalle richiamate Sezioni Unite – non può per definizione essere ravvisata.

La domanda in punto di nullità del tasso di interesse pattuito dalla banca con la _ risulta pertanto infondata.

In ordine alla rettifica del conto corrente dalle competenze illegittimamente addebitate per interessi ultralegali, corrispettivo sull’accordato e altri oneri – che il _ contesta non essere stata effettuata dal CTU – basti osservare che l’applicazione di tali oneri e l’illegittimità degli stessi sono circostanze mai allegate dall’opponente, che si è limitato ad eccepire l’applicazione (fra l’altro solo eventuale) di interessi anatocistici e usurari da parte di _, senza allegare, neppure in modo generico, la sussistenza di ulteriori competenze indebite.

Lo stesso quesito assegnato al CTU si è basato sul quesito richiesto dall’attore nella propria II memoria ex art. 183, comma 6, n. 2 c.p.c., del seguente tenore: «disporsi CTU diretta a valutare l’addebito di interessi anatocistici e/o usurari relativamente al c/c n._e ai conti anticipi n._ e n._».

Né a tale lacuna può sopperire il principio del rilievo ufficioso delle nullità, posto che la rilevabilità d’ufficio delle nullità di protezione nell’ambito del contenzioso bancario presuppone in ogni caso la rituale allegazione degli elementi di fatto che la riguardano; la nullità deve fondarsi, cioè, sul quadro di riferimento concretamente delineato dalle allegazioni delle parti e non, invece, su fatti nuovi, che implichino un diverso tema di indagine e di decisione (cfr., tra le altre, Trib. Roma 13.01.2016 n. 632).

La contestazione dell’opponente risulta, pertanto, priva di fondamento.

In conclusione, l’opposizione del _ può essere accolta soltanto in minima parte, ovvero rideterminando l’ammontare del debito nei confronti della banca – relativo al saldo del conto corrente n. _ – in ragione del riscontrato anatocismo illegittimo per il periodo successivo all’1 gennaio 2014.

Avendo il CTU provveduto a formulare differenti ipotesi ricostruttive del saldo del rapporto senza tenere conto della predetta pronuncia delle Sezioni Unite in materia di usura sopravvenuta – e così tenendo conto nel proprio ricalcolo anche di tale fenomeno, non più riconducibile all’usura – nessuna delle tre ipotesi formulate appare aderente alle conclusioni raggiunte in questa sede (ricalcolo del saldo soltanto in ragione dell’anatocismo post 1 gennaio 2014).

Gli effetti dell’anatocismo per il periodo successivo al 1 gennaio 2014 possono, tuttavia, ricavarsi dal prospetto n. 6 allegato alla CTU: lo stesso ammonta ad euro 235,89.

In parziale accoglimento dell’opposizione, il decreto ingiuntivo n. 1761/2015 va

pertanto revocato e va accertato il minor credito della banca in ragione dell’illegittimo anatocismo riscontrato per il periodo successivo all’1 gennaio 2014;

tale credito deve essere ridotto del corrispondente ammontare, risultando così un importo capitale pari a euro 203.798,55 (ovvero euro 204.034,44 detratti euro 235,89). Su tale importo spettano inoltre gli interessi legali dal 5 maggio 2015 (data del deposito del ricorso monitorio) al saldo.

Gli opponenti vanno quindi condannati in via solidale a corrispondere tale importo a _, che agisce quale mandataria di _, a sua volta cessionaria di _in relazione al credito ingiunto (come risulta dai documenti allegati alla comparsa di intervento di _).

Spese di lite

In ragione dell’accoglimento parziale dell’opposizione e della revoca del decreto ingiuntivo, risulta necessario statuire sulle spese di lite della fase monitoria e della fase di opposizione.

L’esito del giudizio – che ha visto accogliere l’opposizione, sebbene soltanto in minima parte – e la novità della questione giuridica relativa alla nullità della fideiussione omnibus e alle preclusioni istruttorie ad essa legate, costituiscono, a parere di questo giudice, gravi ed eccezionali ragioni che consentono la compensazione integrale delle spese di lite fra le parti, sia per quanto attiene alla fase monitoria sia per quanto attiene alla presente fase di opposizione.

Lo stesso deve ritenersi per le spese di c.t.u., già liquidate con decreto del 29 maggio 2017: l’esito dell’accertamento peritale ha avuto risultati favorevoli agli opponenti soltanto in minima parte, ma tale risultato va ricondotto anche al mutamento della giurisprudenza intervenuto nelle more del giudizio sulla questione dirimente della usura c.d. sopravvenuta, ragion per cui si rende opportuna l’applicazione dell’art. 92, comma 2, c.p.c..

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla causa che reca numero R.G.5847/2015 (che porta riunita la causa R.G. n. 5947/2015);

ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:

  1. ACCOGLIE in parte l’opposizione proposta avverso il decreto ingiuntivo n. 1761/2015 emesso dal Tribunale di Padova.
  2. REVOCA, per l’effetto, il decreto ingiuntivo n. 1761/2015 emesso dal Tribunale di Padova.
  3. CONDANNA _ e _, in proprio e quale legale rappresentante della _ , al pagamento, in solido fra loro e in favore di _, quale mandataria di _(già _), dell’importo di euro 203.798,55, quale saldo del conto corrente n. _ rideterminato in ragione dell’applicazione di anatocismo illegittimo come accertata in motivazione; oltre agli interessi legali dal 5 maggio 2015 al saldo.
  4. COMPENSA integralmente tra le parti le spese di lite.
  5. COMPENSA integralmente tra le parti le spese di c.t.u., già liquidate con decreto del 29 maggio 2017.

Così deciso in Padova, in data 2 marzo 2020

Il Giudice

dott. Alberto Stocco

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Studio Legale Calvello