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Nullo l’alcol test

Procedura Civile

No alla ctu meramente esplorativa (Trib. Firenze, Sent. 03/01/2023, n. 14)

Sussiste il divieto “della cd. “consulenza meramente esplorativa”, non potendo disporsi infatti la consulenza tecnica, come si insegna abitualmente, al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume o, più esattamente, quando la parte tenda per suo tramite a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o a compiere un’indagine alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non debitamente provati. La parte non può limitarsi ad un elenco generale ed astratto di invalidità dovendo allegare e provare in concreto i fatti costitutivi della pretesa ovvero l’effettiva ricorrenza di tali presupposti nel rapporto in esame. Solo le contestazioni formulate debitamente potranno considerarsi validamente proposte e meritevoli di istruttoria, risultando diversamente la richiesta di consulenza tecnica inammissibile poiché meramente esplorativa atteso che la stessa non può essere utilizzata per ricercare fatti o circostanze pretermessi dalle parti.

LA SENTENZA

Tribunale Firenze, sezione terza, sentenza del 3.1.2023

…omissis…

2. Al fine di esaminare, nel merito, la domanda avanzata occorre innanzitutto delineare i principi applicabili alla fattispecie in ordine alla ripartizione dell’onere della prova.

2.1. Quando sia il cliente ad agire in giudizio per la ripetizione delle somme indebitamente versate o per far accertare un diverso saldo rispetto a quello risultante dal conto corrente spetta al cliente l’onere di provare l’inesistenza della causa giustificativa dei pagamenti effettuati mediante la produzione del contratto che contiene siffatte clausole, salvo che alleghi la conclusione del contratto ‘verbis tantum’, la quale, se pacifica, impone al giudice di rilevare la nullità del negozio e quindi la mancata valida pattuizione di interessi ultralegali e commissione di massimo scoperto, mentre, ove contestata, esime il correntista dall’onere di fornire la prova negativa dell’accordo, che spetta semmai alla banca documentare (Cass. 6480/2021).

Si deve quindi distinguere l’ipotesi in cui il correntista abbia eccepito la nullità di alcune clausole contrattuali inserite in un documento che non sia tuttavia prodotto in giudizio dal caso in cui il correntista assuma che alcun contratto, in forma scritta, sia stato concluso.

Nella prima ipotesi, la Banca non può ritenersi onerata della produzione del contratto neppure invocando il cd. principio di vicinanza della prova in quanto tale principio non opera quando ” ciascuna delle parti, almeno di regola, acquisisce la disponibilità del documento al momento della sua sottoscrizione” (Cass. 19566/2021; Cass. 33009/2019). E’ infatti il correntista onerato alla produzione del contratto al fine di dimostrare la natura indebita delle somme contestate.

Tale principio, di carattere generale, sempre operante ove si faccia questione di un contratto pacificamente concluso per iscritto, si presta invece ad essere diversamente modulato nella seconda ipotesi, ovvero quando l’attore abbia allegato che nessun contratto in forma scritta è stato sottoscritto.

In sostanza, quando la domanda basata sul mancato perfezionamento del contratto nella forma scritta sia contrastata dalla banca (che quindi sostenga la valida conclusione, del negozio) non può gravarsi il correntista, attore in giudizio, della prova negativa della documentazione dell’accordo, che assume inesistente, incombendo semmai alla banca convenuta di darne positivo riscontro.

2.2. Il correntista è inoltre tenuto alla produzione degli estratti conto necessari per la ricostruzione del rapporto. La giurisprudenza di legittimità ha però oramai chiarito che il correntista che agisca per ottenere la declaratoria di nullità di determinate clausole contrattuali, ben può limitare la domanda di ripetizione alle sole somme percepite dalla banca in dipendenza di quelle clausole, limitando la prova al periodo temporale rispetto al quale è stata formulata la domanda.

Pertanto, la produzione incompleta di estratti conto non comporta di per sé il rigetto della domanda.

In caso di mancanza della serie iniziale di estratti conto, “ove sia il correntista ad agire in giudizio per la ripetizione e il primo degli estratti conto prodotti rechi un saldo iniziale a suo debito, è del pari legittimo ricostruire il rapporto con le prove che offrano indicazioni certe e complete e che diano giustificazione del saldo riferito a quel momento; è inoltre possibile prendere in considerazione quegli ulteriori elementi che consentano di affermare che il debito nel periodo non documentato sia inesistente o inferiore al saldo iniziale del primo degli estratti conto prodotti, o che addirittura in quell’arco di tempo sia maturato un credito per il cliente stesso; in mancanza di elementi nei due sensi indicati dovrà assumersi, come dato di partenza per la rielaborazioni delle successive operazioni documentate, il detto saldo” (Cass. 11543/2019; Cass. 9140/2020).

Tale conclusione viene convincentemente argomentata nel senso che, quando la banca assume la veste di convenuta, è il correntista a dover dissolvere l’incertezza relativa al pregresso andamento del rapporto, sicchè, in assenza di contrari riscontri, la base di calcolo potrà attestarsi sul saldo iniziale del primo degli estratti conto acquisiti al giudizio, che, nel quadro delle risultanze di causa, è il dato più sfavorevole allo stesso attore. (Cass. 6063/2021).

In caso di mancanza di estratti conto nel periodo intermedio ovvero in caso di serie discontinua poiché ciascun periodo continuativo documentato consente la rideterminazione del suo saldo finale e della sua differenza con il saldo contabile, sarà poi sufficiente portare tal differenza in detrazione sul saldo contabile iniziale del successivo periodo continuativo documentato (che la Banca non contesta in quanto risultante dagli estratti conto dalla stessa redatti) per operare i successivi calcoli ed ottenere, all’esito, la certa determinazione del complessivo importo concretamente ripetibile.

Infatti, se per un verso è incontestabile che la produzione degli estratti conto costituisca onere probatorio del cliente che agisce in ripetizione, per altro verso deve ritenersi che in tal caso la mancanza di documentazione abbia come unico effetto lo storno del relativo periodo non documentato; in relazione al quale in nessun modo potrà riconoscersi un credito da ripetizione in favore dell’attore, difettando la prova.

Tale metodologia di calcolo, che può essere demandata al CTU (Cass. 5887/2021) non determina quindi risultati approssimativi non attendibili ma è invero pienamente rispettosa del principio dell’onere probatorio in quanto risulteranno ripetibili solo le pretese restitutorie relative ai periodi coperti dagli estratti conto mentre per i periodi non documentati alcuna decurtazione potrà essere effettuata in assenza di prova.

2.3. Va infine ricordato che il principio dell’onere della prova non implica che la dimostrazione di fatti costitutivi del diritto azionato debba ricavarsi esclusivamente dalle prove offerte da colui che è gravato del relativo onere: in base al principio di acquisizione, tutte le risultanze istruttorie comunque ottenute – quale che sia la parte ad iniziativa o ad istanza della quale siano formate – concorrono alla formazione del convincimento del giudice.

2.4. Nel caso di specie, l’attore non ha allegato in maniera specifica l’inesistenza del contratto ma ha chiesto esclusivamente l’accertamento “della nullità delle clausole relative agli interessi corrispettivi, dell’ inesistenza di clausole o usi relativi alla capitalizzazione trimestrale, nonché dell’accertamento di costi indebiti e di condizioni illegittime”. I contratti di apertura di conto corrente sono stati tuttavia prodotti dalla banca con la memoria ex art. 183, VI comma n. 2 c.p.c., unitamente ai contratti di apertura di credito e alle variazioni intervenute (doc.ti 3-11). La CTU è stata pertanto correttamente espletata su tutto il materiale probatorio ritualmente acquisito.

Quanto agli estratti conto, la documentazione prodotta dal correntista (doc.ti 5 e 6) è risultata incompleta ed il CTU ha quindi provveduto ad effettuare le verifiche limitatamente ai periodi documentati, in conformità al principio dell’onere della prova.

Il periodo oggetto di analisi va dal 31/03/2005 al 12/12/2014 in relazione al conto corrente principale e dal 27/12/2009 al 27/11/2014 in relazione al conto anticipi, le cui competenze sono state addebitate sul conto corrente principale.

3. In merito all’anatocismo si osserva che il contratto di conto corrente è stato sottoscritto il 2.7.1997 (doc. 3), antecedentemente alla Del.CICR del 9 febbraio 2000, attuativa del D.Lgs. n. 432 del 1999, entrata in vigore il 22.4.2000.

Come noto, in materia di interessi anatocistici si sono pronunciate le Sezioni Unite della Suprema Corte, da un lato, escludendo la ravvisabilità di usi normativi e, dall’altro, evidenziando che la capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito del correntista bancario è sempre illegittima, anche con riguardo al periodo anteriore alle decisioni con le quali la stessa Corte di Cassazione -a far data dalla sentenza n. 2374/1999- – ponendosi in contrasto con l’indirizzo giurisprudenziale sin lì seguito aveva accertato l’inesistenza di un uso normativo idoneo a derogare al precetto dell’art. 1283 c.c. (cfr. Cass. SS.UU., 21095/2004).

Alla nullità della clausola che prevede la capitalizzazione consegue che gli interessi debbono essere ricalcolati senza capitalizzazione alcuna (cfr. Cass. SS.UU n. 24418/2010).

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 425/2000, ha infatti dichiarato l’illegittimità dell’art. 25 del D.Lgs. n. 342 del 1999 nella parte in cui stabiliva che le clausole riguardanti la produzione degli interessi sugli interessi maturati, contenuti nei contratti stipulati anteriormente alla delibera, fossero valide ed efficaci sino a tale data.

La disciplina introdotta nel 2000, in deroga al principio codicistico posto dall’art. 1283 c.c., ha invece legittimato l’anatocismo per l’attività bancaria purché la capitalizzazione degli interessi fosse specificatamente pattuita per iscritto e con pari periodicità della capitalizzazione (art. 6).

L’art. 7 della delibera ha previsto una specifica disciplina per i rapporti già in corso al momento dell’entrata in vigore della delibera prevedendo che le condizioni contrattuali vigenti avrebbero dovuto essere adeguate al contenuto della delibera entro il 30.6.2000 con effetti a decorrere dal successivo 1 luglio.

In particolare, veniva previsto che in caso di adeguamento non peggiorativo per la clientela delle condizioni precedentemente applicate le banche avrebbero potuto limitarsi entro il predetto termine a pubblicare nella Gazzetta Ufficiale la comunicazione delle nuove condizioni, dandone notizia per iscritto alla clientela.

In caso di modifiche peggiorative, le nuove condizioni avrebbero invece dovuto essere approvate dalla clientela per iscritto (art. 7, comma 3).

Si è posta quindi la questione delle modalità con le quali le banche avrebbero potuto validamente ed efficacemente procedere all’adeguamento dei contratti pendenti ovvero se le modifiche (che introducevano la pari periodicità della capitalizzazione) potessero ritenersi migliorative rispetto al regime previgente, assumendo quale “pietra di paragone” il contenuto economico delle precedenti clausole, anche se affette da nullità, che prevedevano la capitalizzazione trimestrale dei soli interessi passivi e annuale per quelli attivi.

In ordine alle modalità di adeguamento, la Suprema Corte ha da ultimo statuito che “nei contratti di conto corrente bancario stipulati in data anteriore all’entrata in vigore della Del.CICR 9 febbraio 2000, la dichiarazione d’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 342 del 1999, art. 25, pronunciata dalla Corte costituzionale con sentenza n. 425 del 2000, pur non avendo interessato il comma 2 di tale disposizione, che costituisce il fondamento del potere esercitato dal CICR mediante l’adozione della predetta delibera, ha inciso indirettamente sulla disciplina transitoria dettata dall’art. 7 di tale provvedimento, in quanto, avendo fatto venir meno, per il passato, la sanatoria delle clausole che prevedevano la capitalizzazione degl’interessi, ha impedito di assumerle come termine di comparazione ai fini della valutazione dell’eventuale peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, in tal modo escludendo la possibilità di provvedere all’adeguamento delle predette clausole mediante la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, come consentito dal comma 2 dell’art. 7, e rendendo invece necessaria una nuova pattuizione (cfr. Cass., Sez. I, 19/05/2020, n. 9140; 21/10/2019, nn. 26769 e 26779).

A sostegno di tali conclusioni, si è osservato che a) la pronuncia di incostituzionalità ha investito il solo tema della validazione delle clausole anatocistiche fino al momento in cui è divenuta operante la Delib. 9 febbraio 2000, ma non ha direttamente inciso sull’attribuzione al CICR del potere di regolamentare il transito dei vecchi contratti nel nuovo regime, b) la portata retroattiva della pronuncia d’incostituzionalità impone tuttavia di considerare nulle le clausole anatocistiche inserite in contratti conclusi prima dell’entrata in vigore della delibera CICR, c) la circostanza che la delibera sia stata adottata anteriormente alla pronuncia d’incostituzionalità non comporta che, ai fini del giudizio di comparazione previsto dal comma 2 dell’art. 7 della delibera, possa conferirsi rilievo all’applicazione di fatto delle predette clausole, prescindendo dall’invalidità delle stesse, d) la comparazione non deve avere ad oggetto le condizioni contrattuali nel loro complesso, ma solo la clausola anatocistica, da valutarsi in relazione al principio della pari periodicità nel conteggio degl’interessi, stabilito dall’art. 2, comma 2, della delibera, e) in mancanza di una clausola valida che preveda, per almeno una delle due tipologie di interesse (attivo o passivo) una capitalizzazione da attuarsi con una data frequenza, è impossibile stabilire se il predetto criterio sia favorevole o sfavorevole per il correntista”. (Cass. 17634/2021; in questo senso anche Corte di Appello di Firenze, n. 2223/2021, n. 1604/2021).

Non essendo pertanto operante tale modalità di adeguamento semplificata, rimessa alla mera iniziativa della Banca, si ritiene necessaria una specifica pattuizione scritta bilaterale. Nel caso di specie, il contratto di conto corrente del 1997 all’art. 7 prevedeva la capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori e l’accredito su base annua di quelli creditori.

Dopo la Del.CICR del 9 febbraio 2000, periodo oggetto di causa, non risulta alcuna comunicazione al cliente entro il termine del 31.12.2000 e, in ogni caso, non è documentata alcuna pattuizione bilaterale tra le parti.

Per tale ragione, l’applicazione di interessi anatocistici è da ritenersi illegittima.

IL CTU ha correttamente escluso la capitalizzazione degli interessi per tutto il periodo in cui risultano riversati in atti gli estratti conto bancari.

La somma indebitamente decurtata dalla banca è risultata pari ad Euro 15.254,87. Le risultanze peritali non sono state oggetto di osservazioni da parte dei consulenti tecnici di parte e possono essere recepite.

4. In ordine alle ulteriori contestazioni sollevate la richiesta di integrazione della CTU va rigettata perché esplorativa.

A quest’ultimo riguardo va precisato che ancorché le Sezioni Unite con la recente sentenza n. 3086/2022 abbiano offerto una lettura estensiva dei poteri del consulente tecnico hanno comunque ribadito il divieto “della cd. “consulenza meramente esplorativa”, non potendo disporsi infatti la consulenza tecnica, come si insegna abitualmente, al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume o, più esattamente, quando la parte tenda per suo tramite a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o a compiere un’indagine alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non debitamente provati” (sent. cit., p. 21).

Quanto all’usura, parte attrice non ha allegato in maniera specifica se l’asserito superamento del T. nel corso del rapporto sia dipeso dalla variazione delle condizioni economiche, che non sono state specificatamente individuate, o dall’abbassamento dei tassi, ipotesi quest’ultima non rilevante. Infine, la prospettazione dell’attore si fonda sull’applicazione di una formula di calcolo del tasso effettivo globale applicato nel concreto dall’istituto di credito differente rispetto a quella proposta dalla……, in violazione del cd. principio di simmetria riconosciuto dalle Sezioni Unite nelle sentenze n. 16303/2018 (in riferimento alla CMS) e n. 19597/2020 (in riferimento agli interessi moratori).

Le contestazioni di usurarietà del rapporto fondate su formule di calcolo differenti da quelle adottate dalla B.D. per la rilevazione dei Tassi Effettivi Globali Medi, tenuto conto della non omogeneità dei due parametri di confronto, non sono attendibili e, pertanto, rendono inammissibile in quanto esplorativa la richiesta di CTU contabile.

In ordine alla CMS e alle altre rettifiche richieste per la “indennità di sconfinamento” nell’atto di citazione non sono indicati in maniera sufficientemente specifiche le ragioni della dedotta illegittimità, non sono indicate le clausole contrattuali censurate ed i periodi oggetto di contestazione.

Il richiamo alla normativa applicabile, accompagnata da digressioni o ricostruzioni giurisprudenziali, poste a sostegno delle proprie tesi difensive, non ancorate specificatamente alla fattispecie oggetto del giudizio, finisce col rendere l’azione proposta meramente esplorativa.

La parte non può infatti limitarsi ad un elenco generale ed astratto di invalidità dovendo allegare e provare in concreto i fatti costitutivi della pretesa ovvero l’effettiva ricorrenza di tali presupposti nel rapporto in esame.

Solo le contestazioni formulate debitamente potranno considerarsi validamente proposte e meritevoli di istruttoria, risultando diversamente la richiesta di consulenza tecnica inammissibile poiché meramente esplorativa atteso che la stessa non può essere utilizzata per ricercare fatti o circostanze pretermessi dalle parti. (ex multis Tribunale di Roma, 16 novembre 2016 n. 21490 in D.J.)

5. In parziale accoglimento della domanda, la Banca va quindi condannata al pagamento della somma di Euro 15.254,27.

“In tema di ripetizione dell’indebito oggettivo, ai fini del decorso degli interessi sulla somma oggetto di restituzione, l’espressione dal giorno della “domanda”, contenuta nell’art. 2033 c.c., non va intesa come riferita esclusivamente alla domanda giudiziale, ma comprende anche gli atti stragiudiziali aventi valore di costituzione in mora ai sensi dell’art. 1219 c.c.” (Cassazione civile, sez. un., 13/06/2019, n. 15895).

A tal fine occorre far riferimento all’invio della domanda di mediazione, in quanto la precedente lettera di diffida (doc. 8) è generica e finalizzata sostanzialmente alla richiesta di documentazione ex art. 119 TUB. Non essendo documentata la data di ricezione della richiesta di mediazione si può far riferimento alla data del primo incontro, 5 settembre 2016, certamente posteriore alla ricezione della domanda (doc. 10).

Trattandosi di debito di valuta, poi, non va disposta la rivalutazione monetaria, in considerazione del fatto che l’attore non ha dato prova del maggior danno subito rispetto a quello ristorato con gli interessi (Cass. 7091/2020).

6. Le spese di lite possono essere compensate nella misura del 30% in ragione del parziale accoglimento della domanda sulla base dell’originaria pretesa mentre, nella misura residua, vanno poste a carico della Banca in considerazione della prevalente soccombenza.

I compensi vanno liquidati con applicazione di valori prossimi ai medi di cui al D.M. n. 147 del 2022.

Le spese di CTU vanno invece poste integralmente a carico della Banca in applicazione del principio di causalità in quanto l’accertamento ha avuto ad oggetto esclusivamente la verifica dell’anatocismo, censura risultata fondata.

PQM

Il Tribunale di Firenze, definitivamente decidendo, ogni diversa domanda disattesa o assorbita così provvede:

1) condanna….l pagamento in favore di ….. della somma di Euro 15.254,87 oltre interessi legali dal 5 settembre 2016 al saldo;

2) compensa le spese di lite nella misura del 30% e condanna B.B. al pagamento della quota residua che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, Euro 550,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge;

3) pone definitivamente le spese di CTU liquidate con separato decreto a carico di B.B..

Così deciso in Firenze, il 3 gennaio 2023.

Depositata in Cancelleria il 3 gennaio 2023.

 

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