Titolo

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Padre assente

Diritto di Famiglia Diritto Penale Separazione e Divorzio

Il padre affidatario non riporta la figlia a casa dalla madre disattendendo gli obblighi del giudice: non è reato (Cass. pen., 24388/24)

Non ogni inadempimento del provedimento del giudice costituisce condotta penalmente rilevante

LA VICENDA

L’imputato aveva trattenuto per giorni la figlia presso di sè, mentre avrebbe dovuto riportarla a casa della madre con la quale non aveva raggiunto alcun accordo per prolungare la permanenza.

IL PRINCIPIO ENUNCIATO DALLA CORTE

In materia di affidamento di minori il mero inadempimento del provvedimento del giudice non integra il reato di cui all’art. 388, comma secondo, cod. pen., occorrendo che il genitore compia atti fraudolenti o simulati, attraverso comportamenti implicanti un inadempimento in mala fede.

LA SENTENZA

Cass. pen., Sez. VI, 13/03/2024, n. 24388

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

composta da

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Presidente

Dott. COSTANZO Angelo – Consigliere

Dott. AMOROSO Riccardo – Consigliere

Dott. PACILLI Giuseppina A.R. – Consigliere

Dott. VIGNA Maria Sabina – Relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da

A.A. nato a A il (Omissis)

avverso la sentenza del 17/01/2023 della Corte di appello di Ancona

Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Maria Sabina Vigna;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Mariella De Masellis, che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Con la sentenza impugnata, la Corte d’Appello di Ancona, in parziale riforma della sentenza del 21 settembre 2020 del Tribunale di Ascoli Piceno, ha assolto A.A. dai fatti a lui contestati (violazione dell’art. 388, secondo comma, cod. pen.), diversi da quello commesso in data 23 aprile 2017 e ancora in corso il 28 aprile 2017, e ha rideterminato la pena in Euro 200,00 di multa. Ha confermato, nel resto, la sentenza impugnata.

Si contesta ad A.A. di avere eluso la sentenza emessa dal Tribunale di Ascoli Piceno il 14 luglio 2016 – che, nel dichiarare la separazione personale, tra i coniugi, stabiliva il diritto del padre di vedere la figlia liberamente, previo accordo con la madre – trattenendo con sé la minore senza preventivo accordo, dal 23 al 28 aprile 2017, allorché gli operanti intervenivano e vedevano la bambina strattonata da entrambi i genitori.

2. Avverso la sentenza, ricorre per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, deducendo i seguenti motivi:

2.1. Contraddittorietà della motivazione nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto configurabile il reato ex art. 388 cod. pen. per l’episodio commesso il 23 aprile 2017 e ancora in corso alla data del 28 aprile 2017, e ha disposto l’assoluzione per gli altri fatti contestati diversi da quello, attribuendo in entrambi casi valore decisivo alle dichiarazioni delia persona offesa, la quale, però, è stata ritenuta credibile in relazione ai fatti del 23-27 aprile 2021 e, al tempo stesso, non credibile in relazione agli altri episodi.

2.2. Violazione dell’art. 552 lett. c) cod. proc. pen. e, quindi, nullità del decreto di citazione a giudizio, derivante dalla nullità del capo di imputazione che, secondo la difesa, non consente la chiara comprensione degli addebiti contestati all’imputato, dal momento che non sono indicate le violazioni del provvedimento del giudice civile e la durata delle stesse.

2.3. Violazione di legge per difetto di querela.

In primo luogo, l’episodio dell’aprile 2017, in base al quale la Corte territoriale ha ritenuto configurabile il reato contestato, non è espressamente descritto nella querela; secondariamente, essendo la minore affidata ai servizi sociali, il diritto di querela avrebbe dovuto essere esercitato non dalla madre, quanto, invece, dal curatore speciale. Più precisamente, avrebbe dovuto essere richiesta e disposta l’autorizzazione del giudice tutelare.

2.4. Violazione dell’art. 388 cod. pen., nonché vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi del reato ex art. 388, secondo comma, cod. pen.

La difesa richiama, sul punto, le sentenze di questa Sezione in ordine al fatto che il mero inadempimento non integra il reato in questione occorrendo che il genitore affidatario si sottragga, con atti fraudolenti o simulati, all’obbligo di consentire le visite del genitore non affidatario.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato in relazione al quarto motivo di ricorso, l’accoglimento del quale comporta l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.

2. Occorre preliminarmente esaminare le questioni processuali dedotte dalla difesa, entrambe manifestamente infondate.

2.1. Per quanto concerne la asserita nullità del capo di imputazione, deve evidenziarsi che appare corretto il riferimento da parte della Corte di Appello di Ancona alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, per la quale non sussiste alcuna incertezza sull’imputazione quando questa contenga, con adeguata specificità, i tratti essenziali del fatto di reato contestato in modo da consentire un completo contraddittorio ed il pieno esercizio del diritto di difesa.

La contestazione, inoltre, non va riferita soltanto al capo di imputazione in senso stretto, ma anche a tutti quegli atti che, inseriti nel fascicolo processuale, pongono l’imputato in condizione di conoscere in modo ampio l’addebito (Sez. 2, n. 2741 del 11/12/2015, dep. 2016, Ferrante, Rv. 265825 – 01; conf. Sez. 5, n. 51248 del 05/11/2014, Cutrera, Rv. 261741 – 0; da ult. arg. tratto da Sez. 3, n. 6509 del 06/11/2019, dep. 2020, Pace, Rv. 278544).

È proprio in applicazione di tale principio e in considerazione delle risultanze del caso concreto che la Corte territoriale ha ritenuto insussistente qualsiasi incertezza in ordine ai fatti contestati all’imputato.

In particolare, assunto che la contestazione deve risultare anche da tutti quegli atti che, inseriti nel fascicolo processuale, consentono all’imputato di conoscere in modo ampio l’addebito, il Collegio di secondo grado ha opportunamente fatto riferimento alla querela, essendo la stessa proprio uno di quegli atti inseriti nel fascicolo del procedimento. Dunque, il richiamo, lungi dall’avere la funzione di attribuzione alla querela di valore probatorio – come rileva la difesa – si inserisce adeguatamente nel percorso motivazionale della sentenza.

Tra l’altro, non appare corretto neanche il richiamo ad una asserita funzione di integrazione del capo di imputazione e – a questo punto – di qualsiasi altro atto del fascicolo processuale.

A sostegno della correttezza della decisione della Corte territoriale, va considerato che i fatti del 23 e 28 aprile 2017, contestati cronologicamente nel capo di imputazione, risultano proprio dagli atti processuali, tra cui i verbali relativi agli interventi della polizia giudiziaria.

2.2. Con riferimento al terzo motivo, deve rilevarsi che, in sentenza, si precisa che la querela consente di avere contezza delle date in cui sono avvenuti i trattenimenti elusivi dell’esecuzione dei provvedimenti del giudice.

La legittimazione a proporre querela per il reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice riguardante l’affidamento dei figli, previsto dall’art. 388, comma secondo, cod. pen., spetta al genitore interessato all’osservanza del provvedimento e non al minore, in quanto l’interesse tutelato è quello relativo all’esercizio delle prerogative genitoriali (Sez. 6, n. 46483 del 25/07/2017, Corsi, Rv. 271355 – 01). Dunque, non pare corretto il rilievo della parte per cui sarebbe stato necessario chiedere un’autorizzazione al giudice tutelare alla luce della predisposizione di una garanzia a tutela del solo minore e non dei genitori.

Ciò posto, deve anche osservarsi che, nel caso di specie, la querela presentata dalla B.B. non risulta viziata dal momento che, nonostante l’affidamento della minore ai servizi sociali, non risulta che i genitori siano decaduti dalla potestà genitoriale; pertanto, la querela è stata correttamente presentata in considerazione dell’orientamento consolidato per il quale, in tema di sottrazione di persone incapaci, l’affidamento del minore ai servizi sociali con collocamento presso una famiglia, non priva i genitori, non dichiarati decaduti dalla potestà, del diritto di querela (Sez. 6, n. 49063 del 22/11/2013, R., Rv. 257653 – 01).

3. Venendo al quarto motivo di ricorso, il fatto è stato compiutamente ricostruito, essendo emerso che il provvedimento adottato dal giudice civile non prevedeva giorni fissi in cui il padre poteva vedere la figlia, limitandosi ad affermare che questi potesse stare con lei liberamente, previo accordo con la madre e nel prioritario interesse della bambina, o, in caso di disaccordo tra i coniugi, secondo i tempi e le modalità fissati nei provvedimenti temporanei ed urgenti. Si tratta, quindi, di un provvedimento per la cui attuazione era indispensabile un accordo tra i genitori.

Nell’ambito di tale generica regolamentazione, è emerso che l’imputato aveva trattenuto per giorni la figlia presso di sé, mentre avrebbe dovuto riportarla a casa della madre, con la quale non aveva raggiunto alcun accordo per prolungare la permanenza.

3.1. In buona sostanza, quindi, il fatto è stato cristallizzato nel “rifiuto” dell’imputato di riaccompagnare la bambina dalla madre nel giorno previsto.

A fronte del dato fattuale sopra richiamato, la Corte di appello ha ritenuto integrato il reato applicando il principio secondo il quale integra la condotta elusiva dell’esecuzione di un provvedimento del giudice civile concernente l’affidamento di minori, rilevante ai sensi dell’art. 388, secondo comma, cod. pen., anche il mero rifiuto di ottemperarvi da parte del genitore affidatario, salva la sussistenza di contrarie indicazioni di particolare gravità, quando l’attuazione del provvedimento richieda la sua necessaria collaborazione (Sez.6, n. 12391 del 18/3/2016, M., Rv. 266675; in senso conforme si veda anche Sez.6, n.37433 del 23/9/2020, n.m.; Sez.6, n.29882 del 8/1/2019, n.m.).

Si è precisato che il mero rifiuto integra una condotta elusiva dell’esecuzione di un provvedimento del giudice civile concernente l’affidamento di minori, quando l’attuazione del provvedimento richieda la necessaria collaborazione del genitore affidatario (Sez.6, n. 27995 del 5/3/2009, Fichera, Rv. 244521).

3.2. Con riferimento alla condotta tipica del reato in questione, il Collegio intende, invece, dare continuità all’orientamento più recente di legittimità, secondo il quale il mero inadempimento del provvedimento del giudice nella suddetta materia non integra il reato di cui all’art. 388, comma secondo, cod. pen., occorrendo che il genitore compia atti fraudolenti o simulati, attraverso comportamenti implicanti un inadempimento in mala fede (Sez. 6, n. 10905 del 31/01/2023, C., Rv. 284467; Sez. 6, n. 38126 del 11/07/2023, M., Rv. 285214).

Questa più recente esegesi valorizza il dato letterale del tratto tipico della condotta penalmente rilevante della fattispecie di cui all’art. 388, secondo comma, cod. pen. – la “elusione”- che evidentemente non può essere equiparata ad ogni inadempimento del provvedimento del giudice in materia di affidamento dei minori.

Tale impostazione è coerente con l’insegnamento delle Sezioni Unite, là dove hanno chiarito che le previsioni incriminatrici di cui ai primi due commi dell’art. 388 cod. pen. tutelano la “effettività” della tutela giurisdizionale e che oggetto del presidio penale non è la mera inosservanza ma la elusione del provvedimento del giudice, consistente in condotte accompagnate da atti fraudolenti o simulati finalizzati ad evitare l’adempimento, sempre che non si tratti di comportamento che richieda l’infungibile facere dell’obbligato (Sez. U, n. 36692 del 27/09/2007, Vuocolo, Rv. 236937).

Nel caso in esame, del resto, non può parlarsi di infungibile facere dell’obbligato: la sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte, impropriamente richiamata nella sentenza impugnata, ha, infatti, ad oggetto tutt’altra fattispecie, e cioè il mero rifiuto del soggetto passivo di adempiere un’ordinanza di reintegrazione del possesso, eseguibile coattivamente.

3.3. Applicando, quindi, la regula iuris, secondo la quale la “elusione” non può essere equiparata ad ogni inadempimento del provvedimento del giudice in materia di affidamento dei minori, è agevole osservare come all’imputato si contesti un episodio, di per sé, inidoneo a determinare una violazione penalmente rilevante dell’art. 388 cod. pen.

4. Il primo motivo è assorbito dall’accoglimento del motivo sulla insussistenza del fatto.

5. Alla luce delle considerazioni che precedono, la sentenza impugnava deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste.

Conclusione

Così deciso in Roma il 13 marzo 2024.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2024.

 

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