Titolo

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Eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. e buona fede: la Cassazione fa il punto (Cass. 36295/23)

Procedura Civile

Eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. e buona fede: la Cassazione fa il punto (Cass. 36295/23)

Il Fatto

Un architetto lamentava la mancata corresponsione delle proprie competenze professionali che gli spettavano per aver progettato e diretto i lavori di ristrutturazione di un’abitazione. Otteneva una ingiunzione di pagamento nei confronti del committente (proprietario dell’immobile) il quale in sede di opposizione, eccepiva l’inadempimento del professionista, sostenendo che l’immobile indicato nella documentazione fornita differiva da quello di sua proprietà (in particolare, nella relazione della DIA veniva indicato un immobile diverso da quello di proprietà del ricorrente ed una concessione in sanatoria della veranda, che, invece era abusiva).

La Questione

Quando può essere  validamente (e non in modo specioso) sollevata l’eccezione di inadempimento di cui all’art. 1460 c.c.?

Abstract

La sentenza fornisce indicazioni dettagliate sulla valutazione dell’eccezione di inadempimento, con particolare attenzione all’equilibrio sinallagmatico e alla buona fede delle parti coinvolte. La Corte richiama anche la necessità di verificare se l’eccezione sia stata sollevata in buona fede e se la condotta inadempiente sia stata comunicata tempestivamente alla controparte.

Il Principio di Diritto Enunciato dalla Corte

L’istituto previsto dall’art. 1460 c.c. è soggetto alla condizione che il rifiuto di adempiere, opposto da chi solleva l’eccezione di inadempimento, non sia contrario a buona fede “avuto riguardo alle circostanze”, laddove il concetto di buona fede deve essere inteso in senso oggettivo, cioè deve trattarsi di una condotta qualificabile come corretta alla stregua dell’idem sentire comune. Per stabilire in concreto se l’eccezione di inadempimento sia stata sollevata in buona fede oppur no, il giudice di merito deve verificare se la condotta della parte inadempiente, avuto riguardo all’incidenza sulla funzione economico-sociale del contratto, abbia influito sull’equilibrio sinallagmatico dello stesso, in rapporto all’interesse perseguito dalla parte, e perciò abbia legittimato, causalmente e proporzionalmente, la sospensione dell’adempimento dell’altra parte.

Ciò precisato,

il rifiuto del pagamento integrale delle spettanze è conforme a buona fede [solo] nell’ipotesi in cui la prestazione non abbia alcuna utilità ed impedisca del tutto il godimento integrale del bene o nell’ipotesi in cui il committente non abbia tratto alcun vantaggio oppure quando la prestazione sia priva di qualunque utilità.

Inoltre, continua la Corte, verificare se l’eccezione di inadempimento sia stata svolta solo a seguito della richiesta di pagamento o in precedenza è altro indice rilevante di valutazione in concreto della sussistenza o meno della buona fede.

LA SENTENZA

Cass. civ., Sez. II, Sent. del 28/12/2023, n. 36295

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. PAPA Patrizia – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rosanna – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. CAPONI Remo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 2323/2019 R.G. proposto da:

A.A., domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato PICCININI MARIA GRAZIA, (PCCMGR57A50E435G);

– ricorrente –

contro

B.B.;

– intimato –

avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO L’AQUILA n. 2390/2017 depositata il 20/12/2017;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/01/2023 dal Consigliere Dott. ROSSANA GIANNACCARI.

 

Svolgimento del processo

1. Il giudizio trae origine dalla richiesta di decreto ingiuntivo proposta dall’Arch. C.C. nei confronti di B.B. con cui chiese al Presidente del Tribunale di Lanciano la corresponsione delle competenze professionali in relazione alla progettazione e direzione dei lavori di ristrutturazione di un’abitazione di proprietà del committente.

1.1. Propose opposizione B.B., deducendo l’inadempimento del professionista, il quale, nell’elaborato grafico dello stato dell’immobile aveva indicato un immobile diverso da quello di sua proprietà, e, precisamente l’immobile identificato al sub (Omissis) e non al sub (Omissis), corrispondente al civico (Omissis) e non al civico (Omissis), come risultante dall’atto d’acquisto; il professionista aveva, inoltre, indicato che gli abusi edilizi erano stati regolarizzati dalla concessione in sanatoria, che, invece si riferiva ad altro immobile, omettendo di indicare l’irregolarità urbanistica della veranda.

1.2. Si costituì A.A. per resistere all’opposizione e dedusse di aver accatastato la veranda sulla base della documentazione fornitagli dall’opponente, da cui aveva tratto il numero della concessione in sanatoria.

1.3. Il Tribunale di Lanciano rigettò l’opposizione.

1.4. Propose appello B.B. e contestò il capo della sentenza che aveva ritenuto fondata l’eccezione di inadempimento, sostenendo che fosse obbligo del professionista accertare la situazione urbanistica prima dello svolgimento dei lavori; negò di aver fornito la documentazione all’arch. D.D., che l’avrebbe reperita autonomamente, come risultava dalla sua stessa dichiarazione contenuta nella relazione presentata all’Ordine Professionale per la liquidazione del compenso.

1.5. La Corte d’appello di l’Aquila, con sentenza del 20.12.2017, accolse l’appello di B.B. e, in riforma della sentenza impugnata, rigettò la domanda e revocò il decreto ingiuntivo.

1.6. La Corte distrettuale ritenne che il professionista non avesse diligentemente controllato la corrispondenza della documentazione urbanistica e catastale alla situazione di fatto, indicando la concessione in sanatoria relativa ad altro immobile, come risultante dall’atto di acquisto e dalla relazione tecnica di asseverazione del professionista. L’arch. A.A. aveva, quindi, redatto la relazione di cui alla L. 23 dicembre 1966, n. 662, art. 3, comma 60 della senza verificare la corrispondenza urbanistica e catastale dell’immobile con lo stato dei luoghi, nonostante la relazione di accompagnamento alla DIA abbia natura certificatoria dello stato attuale dei luoghi e della conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici. La Corte d’appello accertò, quindi, che il progetto aveva riguardato la parte dell’immobile nella quale era ricompresa la veranda abusiva.

2. Per la cassazione della sentenza d’appello ha proposto ricorso A.A. ha proposto ricorso sulla base di quattro motivi.

2.1. B.B. non ha svolto attività difensiva.

2.2. Il procedimento era stato avviato nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c. ed il relatore ha formulato proposta di decisione di rigetto del ricorso.

2.3. Con ordinanza interlocutoria del 24.6.2020, il collegio ha rimesso la causa alla pubblica udienza, non ravvisando l’evidenza decisoria in relazione alla valutazione della buona fede della parte che abbia sollevato l’eccezione di inadempimento pur avendo goduto della prestazione e lo abbia fatto solo in occasione della richiesta di adempimento.

2.4. Il Pubblico Ministero nella persona del Dott. Alessandro Pepe ha chiesto l’accoglimento del secondo e quarto motivo di ricorso, con assorbimento dei restanti.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e dell’art. 1460 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la corte di merito invertito l’onere della prova, sostenendo che, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, gravasse sull’opposto; sarebbe, pertanto, onere del creditore provare l’esistenza del credito mentre il committente avrebbe dovuto provare l’inadempimento del professionista e, nel caso di specie, avrebbe dovuto provare che l’Arch. A.A. avesse acquisito di sua iniziativa la documentazione, cui era allegata la planimetria. La Corte d’appello avrebbe erroneamente accertato che la documentazione fosse stata autonomamente acquisita dal professionista sol perchè nella richiesta di liquidazione all’Ordine degli Architetti, l’Arch A.A. aveva usato l’espressione “recupero di documentazione”, espressione del tutto generica e contraddetta dalla circostanza che mancherebbero stampigliature, timbri o diciture di rilascio attestanti la provenienza da un ufficio pubblico.

1.1. Il motivo è infondato.

1.2. Come più volte affermato da questa Corte (ex multis Cass. 26769/18), in tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 2697 c.c., si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni.

1.3. Le Sezioni Unite, con sentenza del 30.10.2001, n. 13533 hanno chiarito la regola di riparto dell’onere della prova in materia di inadempimento contrattuale, affermando che il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento.

1.4. E’ stato coerentemente precisato che eguale criterio di riparto dell’onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poichè il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione).

1.5. I principi sul riparto dell’onere della prova non trovano deroga nell’ipotesi in cui il professionista abbia agito con decreto ingiuntivo per chiedere il pagamento della prestazione ed il committente abbia eccepito l’inadempimento; anche in tal caso, la prova dell’avvenuto conferimento dell’incarico e dell’effettivo espletamento dello stesso incombe al professionista (Cassazione civile sez. II, 20/08/2019, n. 21522; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2176 del 11/03/1997).

1.6. Nel caso di specie, non vi è stata inversione dell’onere della prova in quanto il committente, che si era opposto al decreto ingiuntivo richiesto dall’arch. A.A. ha fornito la prova di un inadempimento del professionista, che aveva indicato, nella relazione della DIA, un immobile diverso da quello di proprietà del ricorrente ed una concessione in sanatoria della veranda, che, invece era abusiva.

1.7. Indipendentemente dalle circostanze in cui l’Arch. A.A. era venuto in possesso della planimetria errata- se acquisita autonomamente o consegnata dal committente- era suo obbligo verificare la regolarità urbanistica dell’immobile oggetto dei lavori di ristrutturazione al medesimo affidati. L’arch. A.A. aveva, invece, redatto la relazione di cui alla L. 23 dicembre 1966, n. 662, art. 3, comma 60 senza svolgere le prescritte verifiche, nonostante la relazione di accompagnamento della DIA abbia natura certificatoria dello stato attuale dei luoghi e della conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici vigenti.

1.8. Ne consegue che l’erroneità o l’inadeguatezza del progetto, anche per colpa lieve, conseguente alla difformità dell’opera ivi descritta alla normativa urbanistica ed edilizia in quel momento in vigore, può costituire inadempimento dell’incarico e consentire al committente di rifiutare il pagamento del compenso, avvalendosi dell’eccezione di inadempimento di cui all’art. 1460 del c.c., salvo, poi, verificare, ove effettivamente sia accertato l’inadempimento, in fatto, del progettista, se la relativa eccezione del Comune fosse, o meno, conforme a buona fede, ai sensi dell’art. 1460 c.c. (Cassazione civile sez. II, 21/03/2023, n. 8058; Cass. 1214/2017; Cass. 14759/2016; Cass. 8014/2012; Cass. 2257/2007 e Cassazione civile sez. II, 31/05/2018, n. 13880 non massimata).

2. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1375 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto l’eccezione di inadempimento sarebbe stata sollevata dal committente dopo la notifica del decreto ingiuntivo e nonostante avesse goduto delle prestazioni svolte dal professionista, tenendo un comportamento contrario a buona fede.

3. Con il quarto motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per carenza di motivazione in ordine all’incidenza dell’inadempimento sull’entità della prestazione, tenendo conto che il committente avrebbe goduto dei lavori di progettazione e direzione poichè viveva in detta abitazione, senza aver mai lamentato alcun vizio dell’opera.

3.1. I motivi, che per la loro connessione vanno trattati congiuntamente sono fondati.

3.2. L’eccezione di inadempimento integra un fatto impeditivo dell’altrui pretesa di pagamento avanzata, nell’ambito dei contratti a prestazioni corrispettive, in costanza di inadempimento dello stesso creditore.

3.3. Essa costituisce un mezzo di autotutela che attiene alla fase esecutiva del contratto e non mira, come la risoluzione, allo scioglimento del vincolo, ma anzi ne presuppone la permanenza, consentendo a chi abbia vanamente atteso l’esatto adempimento della prestazione contrattuale dovutagli, di rifiutare l’adempimento della propria prestazione sino a quando il contraente infedele non adempia od offra di adempiere la propria.

3.4. L’eccezione di inadempimento è opponibile anche nel caso di inesatto adempimento.

3.5. L’istituto previsto dall’art. 1460 c.c. è soggetto alla condizione che il rifiuto di adempiere, opposto da chi solleva l’eccezione di inadempimento, non sia contrario a buona fede “avuto riguardo alle circostanze”, laddove il concetto di buona fede deve essere inteso in senso oggettivo, cioè deve trattarsi di una condotta qualificabile come corretta alla stregua dell’idem sentire comune.

3.6. Per stabilire in concreto se l’eccezione di inadempimento sia stata sollevata in buona fede oppur no, il giudice di merito deve verificare se la condotta della parte inadempiente, avuto riguardo all’incidenza sulla funzione economico-sociale del contratto, abbia influito sull’equilibrio sinallagmatico dello stesso, in rapporto all’interesse perseguito dalla parte, e perciò abbia legittimato, causalmente e proporzionalmente, la sospensione dell’adempimento dell’altra parte (ex multis, Sez. 1, Sentenza n. 2720 del 04/02/2009, Rv. 606502 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 16822 del 10/11/2003, Rv. 567989 – 01).

3.7. Anche per l’eccezione di inesatto adempimento (exceptio non rite adimpleti contractus), il giudice deve accertare l’esistenza dell’inadempimento anche dell’altra parte e la proporzionalità tra i rispettivi inadempimenti, da valutare non in rapporto alla rappresentazione soggettiva che le parti se ne facciano, bensì in relazione alla situazione oggettiva (Cassazione civile sez. VI, 26/05/2022, n. 17020).

3.8. L’opponibilità dell’eccezione di inadempimento prescinde invece dalla sussistenza della buona fede in senso soggettivo, cioè dell’ignoranza di ledere l’altrui diritto (così già Cass. 2.10.1951 n. 2595; in seguito nello stesso senso, Cass. Civ. Sez. 2, Sentenza n. 1308 del 21/02/1983, Rv. 426104 – 01, ove il tema è ampiamente trattato; Cass. Civ, Sez. 2 -, Ordinanza n. 21315 del 14/09/2017, Rv. 645426 – 01; Sez. L, Sentenza n. 11430 del 16/05/2006, Rv. 589056 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 1690 del 26/01/2006, Rv. 587847 – 01).

3.9. L’exceptio inadimpleti contractus non può mai avere effetti liberatori ma solo effetti sospensivi, rientrando nel più generale contesto dell’autotutela e delle eccezioni che il contraente può opporre al fine di garantirsi nei confronti di possibili futuri inadempimenti della controparte. L’eccezione di inadempimento, infatti, legittima la dilazione temporanea della prestazione, che può condurre alla risoluzione del contratto, liberando l’eccipiente dalla sua prestazione; se l’inadempimento cessa, viene meno il diritto di autotutela dell’eccepiente, il quale sarà obbligato all’adempimento mentre se l’inadempimento che ha provocato l’eccezione non esisteva, sarà l’eccepiente ad essere tenuto all’adempimento.

3.10. Come rilevato da autorevole dottrina, concetti e nozioni elaborati in materia di risoluzione non trovano applicazione in materia di eccezione di inadempimento, attese le profonde differenze funzionali tra le due figure in quanto la risoluzione caduca il rapporto contrattuale mentre le eccezioni dilatorie mirano a rafforzarlo garantendo l’obbligazione mal sicura.

3.11. La giurisprudenza più recente di questa Corte, soprattutto in tema di locazione e contratto di lavoro, ha valorizzato il ricorso alla buona fede come parametro valutativo adeguato nell’ottica dell’apprezzamento della necessaria proporzionalità tra i rispettivi inadempimenti.

3.12. Con riferimento alle condizioni che legittimano il conduttore a sospendere, in tutto o in parte, il pagamento del canone, deve ormai ritenersi abbandonato, nella più recente giurisprudenza di questa Corte (Cass. Civ., Sez. III, 26.7.2019, n. 20322; Cass. Civ., Sez. III, 25.6.2019, n. 16917 e n. 16918; Cass. Civ., Sez. III, 22.9.2017, n. 22039ma v. già anche Cass. 11.2.2005, n. 2855), l’orientamento più rigoroso che, con riferimento al rapporto locativo, ritiene legittima la sospensione, anche parziale, della prestazione gravante sul conduttore solo quando venga completamente a mancare la prestazione della controparte.

3.13. Il conduttore può sollevare l’eccezione di inadempimento, ai sensi dell’art. 1460 c.c., non solo quando venga a mancare la prestazione del locatore, ma anche nell’ipotesi di suo inesatto inadempimento, purchè la sospensione del pagamento del canone appaia giustificata, in ossequio all’obbligo di comportarsi secondo buona fede, dall’oggettiva proporzione dei rispettivi inadempimenti, avuto riguardo all’incidenza della condotta della parte inadempiente sull’equilibrio sinallagmatico del contratto, in rapporto all’interesse della controparte (Cass. Civ., Sez. III, 26.7.2019, n. 20322). Il conduttore è, quindi, abilitato a sollevare l’eccezione di inadempimento in tutte le ipotesi in cui il godimento del bene locato, quantunque non escluso, resti limitato in misura tale da giustificare la sospensione del pagamento del canone, sempre avuto riguardo all’incidenza di tale fattore sull’equilibrio sinallagmatico del contratto.

3.14. In tema di rapporto di lavoro, questa Corte ha di recente affermato che l’inadempimento datoriale non legittima in via automatica il rifiuto del lavoratore di eseguire la prestazione lavorativa in quanto, vertendosi in ipotesi di contratto a prestazioni corrispettive, trova applicazione il disposto dell’art. 1460 c.c., comma 2, alla stregua del quale la parte adempiente può rifiutarsi di eseguire la prestazione a proprio carico solo ove tale rifiuto, avuto riguardo alle circostanze concrete, non risulti contrario alla buona fede (Cassazione civile sez. lav., 18/04/2023, n. 10227 ha ritenuto illegittimo e contrario alla buona fede il rifiuto del dipendente di eseguire la prestazione in anticipo rispetto all’orario ordinario mentre Cassazione civile sez. lav., 07/05/2013, n. 10553 ha ritenuto legittimo il rifiuto in caso di violazione dei doveri di sicurezza da parte del datore di lavoro).

3.15. In linea con tale orientamento, in materia di vendita l’eccezione di inadempimento è stata ritenuta legittimamente svolta non solo quando venga a mancare la prestazione ma anche laddove l’inesatto adempimento del venditore abbia determinato l’inidoneità della cosa venduta all’uso cui è destinata, semprechè il rifiuto di adempiere sia giustificato sulla base di una valutazione compiuta tenendo conto del complessivo equilibrio sinallagmatico del contratto ed all’obbligo di comportarsi secondo buona fede (Cass. Civ., Sez. II, 28.5.2021, n. 14986).

3.16. Lo stabilire se l’eccezione di inadempimento sia stata sollevata in buona fede forma oggetto d’un apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità.

3.17. E’ tuttavia sindacabile in sede di legittimità, perchè non costituisce l’esame di un fatto, ma il sindacato sulla falsa applicazione della legge, l’ipotesi in cui il giudice di merito, accertata in facto l’esistenza d’una condotta oggettivamente e di per sè contraria a buona fede da parte dell’eccipiente, ritenga legittimo l’esercizio, da parte di questi, dell’eccezione di inadempimento. In questo caso, infatti, quel che viene sindacato non è la ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di merito, ma la corretta applicazione della norma al fatto così come accertato secondo il concetto di buona fede elaborato dalla giurisprudenza di legittimità.

3.18. In materia di inadempimento, costituisce vizio di sussunzione per falsa applicazione dell’art. 1460 c.c. ritenere legittimamente sollevata l’eccezione di inadempimento da parte di chi, a fronte di un inadempimento parziale, rifiuti per intero di adempiere la propria obbligazione, nonostante abbia goduto della prestazione, tenendo conto dell’interesse perseguito dalle parti (Cass. Civ., Sez. III, 29.3.2019, n. 8760).

3.19. In un vizio di sussunzione è incorsa, ad avviso di questa Corte, la sentenza impugnata.

3.20. La Corte di merito ha accolto l’eccezione di inadempimento formulata dal committente sul presupposto che il professionista non avesse diligentemente controllato la corrispondenza della documentazione urbanistica e catastale all’immobile oggetto della relazione, indicando la concessione in sanatoria relativa ad altro immobile; l’errore era rilevante perchè il progetto aveva riguardato la parte dell’immobile nella quale era compresa la veranda abusiva.

3.21. Nel ritenere fondata l’eccezione di inadempimento, la Corte di merito non ha svolto nessuna indagine sull’equilibrio sinallagmatico in rapporto all’interesse perseguito dalla parte e non ha verificato se la condotta dell’eccipiente fosse conforme a buona fede.

3.22. La Corte d’appello ha omesso di valutare la sproporzione tra l’inadempimento del professionista in relazione agli obblighi di accertamento della regolarità urbanistica e l’inadempimento del committente, che non ha adempiuto all’obbligo di pagamento delle spettanze.

3.23. Il rifiuto del pagamento integrale delle spettanze è conforme a buona fede nell’ipotesi in cui la prestazione non abbia alcuna utilità ed impedisca del tutto il godimento integrale del bene o nell’ipotesi in cui il committente non abbia tratto alcun vantaggio oppure quando la prestazione sia priva di qualunque utilità.

3.24. La Corte di merito non ha accertato se il committente si era giovato dell’intera prestazione o di una parte di essa, nell’ambito del complessivo assetto di interessi derivanti dal contratto, sì da averne tratto una certa utilità.

3.25. E’ evidente che i criteri di buona fede e proporzionalità sinallagmatica che caratterizzano l’istituto dell’eccezione di inadempimento verrebbero contraddetti ove, pur in presenza di accertati inadempimenti del professionista, il committente abbia tratto stabile godimento, sia pur parziale, della prestazione, senza che il giudice abbia dato conto delle ragioni della decisione.

3.26. E’ ravvisabile, quindi, il vizio di falsa applicazione dell’art. 1460 c.c. per l’assenza di qualunque verifica dell’oggettiva sproporzione tra i contrapposti inadempimenti e per non avere la Corte d’appello valutato se l’eccezione di inadempimento fosse contraria alla buona fede, secondo un criterio di equivalenza e di proporzionalità tra l’adempimento che viene richiesto e quello che non è stato eseguito (Cass. 2720/2009; Cass. 3341/2001) 3.27. Quanto alla buona fede, intesa in senso oggettivo, la giurisprudenza ha affermato che la valutazione va effettuata con riferimento al momento in cui l’eccezione è stata sollevata (Cass. 4624/87) e che nell’indagine volta ad accertare la sussistenza del requisito della buona fede assume importanza non secondaria che la giustificazione del rifiuto ad adempiere sia stato reso noto alla controparte solo in occasione del giudizio da quest’ultima instaurato e non durante lo svolgimento dei tentativi compiuti al fine di ottenere la spontanea esecuzione del contratto (Cass. 22353/2010; Cass. 10506/94).

3.28. Anche di questo aspetto, indice rilevante nella valutazione della buona fede, la Corte d’appello non ha tenuto conto, omettendo di verificare se l’eccezione di inadempimento fosse stata svolta solo a seguito della richiesta di pagamento o in precedenza.

3.29. Solo una volta verificato che l’eccezione di inadempimento era stata legittimamente sollevata, sussisteva la facoltà del committente di rifiutarsi di adempiere all’obbligazione di pagamento.

3.29. I motivi di ricorso di cui si tratta devono, pertanto, essere accolti; la sentenza impugnata va, pertanto, cassata in relazione alle censure accolte, con rinvio alla Corte d’appello di L’Aquila in diversa composizione, che si atterrà ai seguenti principi di diritto:

“Per stabilire se l’eccezione di inadempimento sia stata sollevata in buona fede, il giudice di merito deve verificare se la condotta della parte inadempiente abbia influito sull’equilibrio sinallagmatico del contratto, avuto riguardo all’interesse perseguito dalla parte, valutando la proporzionalità tra i rispettivi inadempimenti non in rapporto alla rappresentazione soggettiva che le parti se ne facciano, bensì in relazione alla situazione oggettiva”.

“Nell’indagine volta ad accertare la sussistenza del requisito della buona fede assume importanza non secondaria che la giustificazione del rifiuto ad adempiere sia stato reso noto alla controparte solo in occasione del giudizio da quest’ultima instaurato e non durante lo svolgimento dei tentativi compiuti al fine di ottenere la spontanea esecuzione del contratto”.

3.30. Il giudice di rinvio provvederà anche in ordine alle spese relative al presente giudizio di legittimità.

4. Con il terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2041 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., per non avere la Corte d’appello riconosciuto alcun corrispettivo alle prestazioni svolte dal professionista nemmeno a titolo di arricchimento senza causa.

4.1. Il motivo è infondato.

4.2. L’azione di arricchimento senza causa ha natura residuale e, ai sensi dell’art. 2042 c.c. non è proponibile quando il danneggiato può esercitare un’altra azione tipica, come nel caso in esame in cui l’attore ha agito proponendo l’azione contrattuale (Cass. SS.UU. un. 4 novembre 1996 n. 9531; Cass. 5 aprile 2001 n. 5072; Cassazione civile sez. III, 22/10/2021, n. 29672; Cassazione civile sez. lav., 07/05/2013, n. 10553).

P.Q.M.

accoglie il secondo ed il quarto motivo di ricorso, rigetta il primo ed il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di L’Aquila in diversa composizione.

 

Conclusione

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 19 gennaio 2023.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2023

 

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