Titolo

Autem vel eum iriure dolor in hendrerit in vulputate velit esse molestie consequat, vel illum dolore eu feugiat nulla facilisis at vero eros et dolore feugait

Nullo l’alcol test

Procedura Civile

Decreto ingiuntivo: è inesistente se la firma è illeggibile (Cass. 8129/24)

IL CASO

Tizio ricevuta la notifica di un atto di precetto da parte di Caio – il quale minacciava di agire esecutivamente in forza del decreto ingiuntivo del Giudice di Pace -, proponeva opposizione all’esecuzione e agli atti esecutivi sostenendo l’inesistenza del titolo esecutivo azionato perché privo della sottoscrizione del giudice che aveva emesso il provvedimento monitorio, recante soltanto un segno grafico del tutto illeggibile e nessun’altra indicazione sul suo nominativo.

IL PRINCIPIO DI DIRITTO ENUNCIATO DALLA CORTE

La completa illeggibilità della sottoscrizione della sentenza dev’essere equiparata alla sua totale carenza, perché il segno grafico deve avere caratteristiche di specificità sufficienti a garantire le funzioni di identificazione del giudice e di riferibilità soggettiva del provvedimento. Ai fini dell’emendabilità di tale vizio, il riferimento ad elementi ab extrinseco, quali le risultanze del registro informatico storico della cancelleria, non può avere alcuna rilevanza al fine della “identificabilità” della sottoscrizione illeggibile del giudice, poiché le relative possibili indicazioni che conducono a tale risultato devono indefettibilmente emergere dallo stesso contesto letterale “interno” del provvedimento.

L’ORDINANZA

Cassazione civile, Sez. III, Ordinanza del 26/03/2024, n. 8129

(Omissis)

Svolgimento del processo

1. A.A. – ricevuta, in data 17/11/2016, la notifica di un atto di precetto da parte di B.B., il quale minacciava di agire in executivis in forza del decreto ingiuntivo n. 1633/2015 del Giudice di Pace di Messina – proponeva opposizione all’esecuzione e agli atti esecutivi: sosteneva l’inesistenza del titolo esecutivo azionato, ex art. 161, comma 2, cod. proc. civ., perché privo della sottoscrizione del giudice che aveva emesso il provvedimento monitorio, recante soltanto un segno grafico del tutto illeggibile e nessun’altra indicazione sul suo nominativo; contestava, altresì, la mancata apposizione del decreto di esecutorietà sull’originale dell’atto, in violazione dell’art. 654 cod. proc. civ.

2. Il Tribunale di Messina, con la sentenza n. 500 del 2/3/2018, respingeva l’opposizione: affermava che la contestazione ex art. 615 cod. proc. civ. afferente al titolo esecutivo giudiziale era inammissibile, dovendo essere svolta con l’opposizione a decreto ingiuntivo, non già con l’opposizione esecutiva; rilevava, poi, che, a seguito dello smarrimento dell’originale del provvedimento monitorio, era stata autorizzata dal Giudice di Pace l’apposizione dell’esecutorietà, ex art. 654 cod. proc. civ., su una copia conforme.

3. Investita dell’appello di A.A., la Corte d’appello di Messina, con la sentenza n. 1740 del 27/8/2019, rigettava l’impugnazione con riguardo all’opposizione ex art. 615 cod. proc. civ. e la dichiarava inammissibile con riferimento all’opposizione ex art. 617 cod. proc. civ.

4. Per quanto qui rileva, in relazione alle contestazioni riconducibili all’art. 615 cod. proc. civ., il giudice d’appello richiamava gli orientamenti giurisprudenziali secondo cui “l’inesistenza originaria o sopravvenuta del titolo esecutivo può essere dedotta attraverso il rimedio dell’opposizione a precetto o alla esecuzione” e “la sottoscrizione dell’atto da parte del giudice ne costituisce requisito essenziale, la cui ingiustificata mancanza, pur se involontaria, provocata, cioè, da errore o da dimenticanza, ne determina la nullità assoluta e insanabile, equiparabile all’inesistenza, senza che possa ovviarsi né con il procedimento di correzione degli errori materiali, né con la rinnovazione della pubblicazione da parte dello stesso organo che -emessa la pronunzia – ha ormai esaurito la sua funzione giurisdizionale”; tuttavia, escludeva l’applicabilità dei menzionati principi nella fattispecie esaminata, in cui “il vizio del decreto ingiuntivo dedotto da parte opponente (oggi appellante) attiene non già alla mancanza della sottoscrizione del Giudice nel decreto ingiuntivo, bensì all’illeggibilità della firma su di esso apposta, costituita da un “segno grafico del tutto illeggibile” … Ora, da parte la questione dell’impossibilità di ricavare dall’atto il nome del Giudice-persona fisica che ha pronunciato il provvedimento monitorio, da ritenere irrilevante dato che è certo e risulta per tabulas, dall’intestazione del decreto e dal timbro appostovi in calce, che il decreto è stato emesso dal “Giudice di Pace di Messina” -, giova notare che l'”inesistenza” della sentenza (o, il che è lo stesso, del provvedimento giudiziale a contenuto decisorio) per omessa sottoscrizione ai sensi del secondo comma dell’art. 161, comma 2, c. p. c. è predicabile solo quando la sottoscrizione sia del tutto mancante, con conseguente non riconducibilità dell’atto al giudice, e non anche quando la stessa sia solo insufficiente, come nel caso della sottoscrizione con firma illeggibile, ricorrendo, in detta ipotesi, una mera nullità … Ed allora, se nel caso di specie quello prospettato da parte opponente costituisce, al più, un vizio di nullità del decreto ingiuntivo, esso non avrebbe potuto essere fatto valere dall’interessato se non con il rimedio dell’opposizione a decreto ingiuntivo”.

5. La Corte messinese, poi, dichiarava inammissibile l’appello nella parte in cui era stata impugnata la decisione di primo grado – inappellabile – sulla pretesa violazione dell’art. 654 cod. proc. civ., riconducibile ad un vizio denunciato con l’opposizione ex art. 617 cod. civ.

6. Avverso tale decisione A.A. proponeva ricorso per cassazione, affidato a tre motivi; resisteva con controricorso B.B.

7. All’esito della camera di consiglio del 19/2/2024, il Collegio si riservava il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni, a norma dell’art. 380-bis.1, comma 2, cod. proc. civ.

Motivi della decisione

1. Col primo motivo, il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., “Violazione e falsa applicazione degli artt. 161 comma II e 132, n. 5., c.p.c.”, per avere la Corte d’appello affermato che il decreto ingiuntivo – recante un segno grafico illeggibile e privo di elementi idonei ad identificare il giudice (persona fisica) che lo aveva emesso – non è inesistente, ma al più nullo, dato che nel caso esaminato l’identificazione del giudice risultava dall’intestazione e dal timbro apposto (i quali riportavano la dizione “Giudice di Pace di Messina”) e l’illeggibilità della firma non era equiparabile alla sua totale mancanza.

2. La censura è fondata.

3. La giurisprudenza di questa Corte (in parte richiamata anche nella sentenza impugnata) è univoca nell’affermare che la sottoscrizione del provvedimento giurisdizionale mediante apposizione di un segno grafico illeggibile ed inidoneo ad identificare la persona fisica equivale alla mancanza di sottoscrizione, determinante l’inesistenza – e non la sola nullità – dell’atto giudiziario, a meno che il predetto segno non sia riconducibile, anche tramite l’esame di altre parti del provvedimento, ad un autore determinato.

4. Tra i vari precedenti giurisprudenziali che tracciano la suddetta linea interpretativa dell’art. 161, comma 2, cod. proc. civ., si annoverano Cass., Sez. 2, Sentenza n. 7546 del 23/03/2017, Rv. 643526-01 (“La sentenza è “inesistente” per omessa sottoscrizione solo quando questa sia del tutto mancante, con conseguente non riconducibilità dell’atto al giudice, e non anche quando la stessa sia solo insufficiente, come nel caso della sottoscrizione con firma illeggibile, ricorrendo, in detta ipotesi, una mera nullità. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto affetta da nullità la sentenza con sottoscrizione illeggibile, in quanto riconducibile al giudice in forza dell’intestazione e della dicitura “il giudice” sulla quale era stata apposta la sottoscrizione).”), Cass., Sez. 6-2, Ordinanza n. 5772 del 07/03/2017, Rv. 643260- 01 (“In tema di sottoscrizione della sentenza da parte del giudice, non costituisce motivo di nullità del provvedimento l’illeggibilità della firma, salvo che essa non consista in un segno informe privo di qualsiasi identità, al punto da risolversi in una vera e propria mancanza di sottoscrizione, né la presunzione di identità tra l’autore del segno grafico indistinguibile e la persona del giudice indicato in sentenza è inficiata dalla mera deduzione dell’assoluta indecifrabilità del segno, ove fra questo e l’indicazione nominativa del giudice contenuta nell’atto sussistano adeguati elementi di collegamento. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto insussistente una tale nullità in un’ordinanza emessa ex art. 348-ter c.p.c., atteso che la sottoscrizione non era comunque priva di identità grafologica, costando in un’apparente sequenza di nome e cognome, e che, essendo stata l’ordinanza pronunciata a scioglimento di una riserva formulata in udienza, per superare la presunzione di corrispondenza tra il giudice di quest’ultima e l’estensore del provvedimento, il ricorrente avrebbe dovuto dedurre e dimostrare la totale incompatibilità tra la sottoscrizione del verbale d’udienza e quella dell’ordinanza impugnata).”) e Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 35032 del 14/12/2023, Rv. 669625-01 (“al difetto del requisito della sottoscrizione del giudice … è equiparato anche il caso della sottoscrizione illeggibile, allorché dal contenuto del provvedimento non emerga alcuna idonea indicazione della persona del giudice che l’abbia pronunciata, onde rimanga impedita ogni possibilità di identificabilità del decidente stesso”).

5. La decisione di Cass. 7546/2017 è espressamente richiamata – come precedente (asseritamente ritenuto conferente) – dalla Corte d’appello di Messina: con tale pronuncia è stato affermato il principio generale secondo cui l’illeggibilità della sottoscrizione del giudice configura un vizio di nullità, ma la fattispecie a cui la Corte di legittimità si riferisce è – tuttavia – quella di una sottoscrizione che è sì illeggibile, ma comunque riconducibile ad un determinato giudice in virtù delle risultanze dell’intestazione e della parte finale della sentenza.

6. La Corte territoriale, dunque, fa una scorretta applicazione del principio per due distinte ragioni.

7. In primis, contrariamente a quanto deciso in appello, la completa illeggibilità della sottoscrizione dev’essere equiparata alla sua totale carenza, perché il segno grafico deve avere caratteristiche di specificità sufficienti a garantire le funzioni di identificazione del giudice e di riferibilità soggettiva del provvedimento.

8. Proprio in relazione alle menzionate funzioni si è escluso l’inemendabile vizio di inesistenza se l’illeggibilità non inficia l’idoneità identificativa della sottoscrizione e, cioè, quando sussistono nel provvedimento adeguati elementi per il collegamento del segno grafico con un’indicazione nominativa contenuta nell’atto stesso (come statuito da Cass. 35032/2023, “il riferimento ad elementi “ab extrinseco” (nella specie, le risultanze del registro informatico storico della cancelleria) non può avere alcuna rilevanza al fine della “identificabili” della sottoscrizione (pacificamente) illeggibile del giudice, poiché le relative possibili indicazioni che conducono a tale risultato devono indefettibilmente emergere dallo stesso contesto letterale “interno” del provvedimento”).

9. Il secondo errore della Corte messinese attiene proprio alla individuazione dei predetti elementi di collegamento tra il segno illeggibile e il giudice che ha emesso il decreto ingiuntivo azionato come titolo esecutivo: nella sentenza impugnata si sostiene che “l’impossibilità di ricavare dall’atto il nome del Giudice-persona fisica che ha pronunciato il provvedimento monitorio” è irrilevante perché risulta, “dall’intestazione del decreto e dal timbro appostovi in calce, che il decreto è stato emesso dal “Giudice di Pace di Messina””.

10. È evidente che la menzionata specificazione identifica “il giudice” quale ufficio giudiziario, ma non contiene alcuna indicazione sulla persona fisica che ha assunto la decisione.

11. In accoglimento della censura, perciò, la sentenza impugnata va cassata e, non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, a norma dell’art. 384 cod. proc. civ., la causa può essere decisa nel merito, accogliendo – in ragione dell’inesistenza del titolo esecutivo azionato – l’opposizione ex art. 615 cod. proc. civ. originariamente avanzata da A.A.

12. Resta assorbito il secondo motivo, col quale il A.A. contestava la dichiarazione d’inammissibilità dell’appello, in quanto, a detta del ricorrente, il Tribunale aveva qualificato l’azione come “opposizione a precetto” nel frontespizio della sentenza e in nessuna parte di questa si faceva riferimento all’art. 617 cod. proc. civ., di talché l’appello era da considerare ammissibile in base al principio di apparenza.

13. La definitiva statuizione relativa alla carenza, in capo al creditore, del diritto di procedere ad esecuzione forzata rende superflua ogni decisione sul quomodo della stessa o degli atti prodromici.

14. Tuttavia, ai soli fini della regolazione delle spese, si deve rilevare l’evidente infondatezza della censura, dato che lo stesso ricorrente -pur invocando il principio di apparenza per sostenere l’ammissibilità del proprio appello – riconosce che la pronuncia di primo grado non conteneva un’univoca qualificazione dell’azione (né può essere considerata tale la dizione “opposizione a precetto” – ex se ambigua, perché identifica sia l’opposizione a norma dell’art. 615, comma 1, cod. proc. civ., sia quella proposta ai sensi dell’art. 617, comma 1, cod. proc. civ. – contenuta nell’epigrafe della sentenza); orbene, se il potere di qualificazione non è esercitato dal giudice a quo, esso spetta al giudice ad quem, non solo ai fini del merito, ma altresì del vaglio di ammissibilità dell’impugnazione (ex multis, Cass., Sez. 6-2, Ordinanza n. 3338 del 02/03/2012, Rv. 621960-01).

15. Nel caso, perciò, con riguardo al dedotto vizio attinente all’apposizione del decreto di esecutorietà ex art. 654 cod. proc. civ., la Corte messinese ha correttamente individuato una questione afferente all’opposizione ex art. 617 cod. proc. civ. (lo stesso ricorrente non censura la correttezza di tale qualificazione) e ha conseguentemente statuito l’inammissibilità dell’appello, vietato dall’art. 618, ult. comma, cod. proc. civ.

16. È parimenti assorbito il terzo motivo, attinente alla regolazione delle spese di lite.

17. Riguardo a queste ultime, ritiene il Collegio di compensare integralmente i costi dell’intero giudizio, in considerazione dell’accoglimento soltanto parziale delle diverse opposizioni originariamente avanzate dall’odierno ricorrente.

P.Q.M.

la Corte,

accoglie il primo motivo;

cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’opposizione all’esecuzione avanzata da A.A.;

dichiara assorbiti il secondo e il terzo motivo;

compensa integralmente le spese dell’intero giudizio.

Conclusione

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, in data 19 febbraio 2024.

Depositata in Cancelleria il 26 marzo 2024.

 

Sei hai bisogno di una consulenza legale CLICCA QUI

Condividi l'articolo su:
Studio Legale Calvello