Titolo

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domanda di risarcimento ominicomprensiva

Immobili, Condominio e Locazioni

Contratto preliminare sottoposto a condizione potestativa mista: il venditore non può trattenere la caparra (Cass. 5976/24)

Se il promissario acquirente non ottiene il cambio di destinazione, salta il rogito ed il promittente venditore non può trattenere la caparra

Se le parti – come spesso accade nella pratica – subodinano gli effetti di un contratto preliminare di compravendita immobiliare alla condizione che il promissario acquirente ottenga dal comune la necessaria autorizzazione amministrativa, la condizione è qualificabile come “mista”, dipendendo la concessione dei titoli urbaninistici non solo dalla volontà della pubbica amministrazione, ma anche dal comportamento del promisario acquirente nell’approntare la relativa pratica.

IL PRINCIPIO ENUNCIATO DALLA CORTE

L’obbligo delle parti di comportarsi secondo buona fede durante la pendenza della condizione è principio che riguarda anche il contratto sottoposto a condizione potestativa mista; in tale ipotesi, l’omissione di un’attività in tanto può ritenersi contraria a buona fede e costituire fonte di responsabilità, in quanto essa costituisca oggetto di un obbligo giuridico, che, invece, deve escludersi per l’attività di attuazione dall’elemento potestativo in una condizione mista.

L’ORDINANZA

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza del 6 marzo 2024, n. 5976

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere-Rel.

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere

Dott. AMATO Cristina – Consigliere

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 11941/2019 R.G. proposto da:

CEETRUS ITALY Spa, elettivamente domiciliata in ROMA VIA CASSIODORO 9, presso lo studio dell’avvocato NUZZO MARIO (Omissis) che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati MARICONDA VINCENZO (Omissis), BELLINI CAVALLETTI FRANCESCO (Omissis)

– ricorrente –

Contro

A.A. VEICOLI INDUSTRIALI Srl IN CONCORDATO PREVENTIVO, domiciliata ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati MAZZA ALESSANDRO (Omissis), GIARDINI UMBERTO (Omissis), BIANCHI MASSIMO (Omissis)

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO TORINO n. 515/2019 depositata il 21/03/2019.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/02/2024 dal Consigliere dr. MAURO MOCCI.

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Torino respinse la domanda di A.A. VEICOLI INDUSTRIALI Spa, (promittente venditrice) volta dapprima ad ottenere – nei confronti della Spa Gallerie Commerciali Italia (promissaria acquirente) – il trasferimento ex art. 2932 c.c. di un bene immobile di Nichelino, e successivamente, a far accertare la legittimità del recesso ex art. 1385 c.c.

A seguito di rituale impugnazione della società soccombente, con sentenza n. 515 del 21 marzo 2019 la Corte d’appello di Torino riformò la sentenza del Tribunale, accertando la ritualità del recesso dal contratto preliminare da parte di A.A. VEICOLI INDUSTRIALI Spa ed il conseguente diritto della stessa di trattenere la caparra confirmatoria.

Nella sentenza di appello si dava, innanzi tutto, conto della conclusione del contratto preliminare fra le parti, sottoposto a condizione sospensiva del mutamento di destinazione urbanistica dell’area, in modo da realizzare un intervento con ridotta superficie commerciale. Si dava altresì conto che, contestualmente, le stesse parti avevano sottoscritto una scrittura privata, nella quale, al fine dell’avveramento della condizione, la Spa B.B. VEICOLI INDUSTRIALI aveva conferito mandato a controparte affinché portasse a termine l’attività

necessaria presso il Comune di Nichelino.

La Corte territoriale ha affermato che, essendo pacifico il mancato mutamento di destinazione urbanistica, l’effettiva controinteressata all’avveramento della condizione fosse la Spa Gallerie Commerciali. L’errore del primo giudice sarebbe stato dovuto alla confusione fra una controversia sulla pura e semplice condizione e la fattispecie concreta, in cui la condizione-trasformazione di destinazione urbanistica costituiva una prestazione dedotta in un apposito contratto di mandato, teleologicamente connesso alla promessa di vendita. Pertanto, proprio la promissaria acquirente Gallerie Commerciali sarebbe stata onerata della prova dell’adempimento ovvero dell’incolpevolezza dell’inadempimento.

Essendo mancata tale dimostrazione, la condizione avrebbe dovuto reputarsi fittiziamente avverata ex art. 1359 c.c. Il recesso, intervenuto allorquando il contratto aveva acquistato retroattivamente piena efficacia fra le parti, ai sensi dell’art. 1360 c.c., era in definitiva legittimo.

Contro la predetta sentenza ricorre per cassazione Ceetrus Italy Spa, già Gallerie Commerciali Italia Spa, sulla scorta di tre motivi.

Resiste con controricorso e ricorso incidentale condizionato A.A. VEICOLI INDUSTRIALI Srl, già B.B. VEICOLI INDUSTRIALI Spa in concordato preventivo.

In prossimità dell’udienza camerale, entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

Motivi della decisione

1) Attraverso la prima censura, la ricorrente deduce la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 n.4 c.p.c., per motivazione meramente apparente.

La Corte d’appello, travisando il ragionamento del primo giudice, aveva dichiarato coperto da giudicato il capo della sentenza del Tribunale, nel quale si era ritenuta – implicitamente ma chiaramente – parte appellata controinteressata all’avveramento della condizione, mentre, in un passo precedente, la stessa Corte aveva accertato l’esatto opposto, tanto che tale affermazione (“la parte ad avere interesse all’avveramento della condizione sospensiva di mutamento della destinazione d’uso fosse proprio, e soprattutto, la GCI Spa”) era stata oggetto di gravame da controparte.

Il motivo è manifestamente infondato.

1.1) A prescindere dalla considerazione che la lettura della sentenza impugnata, dopo aver ampiamente ricostruito il fatto e le motivazioni della decisione di prime cure, la discute nel dettaglio – con ovvio approfondimento della condizione sospensiva inter partes – sicché non prospetta alcuna effettiva aporia, mancherebbe in ogni caso qualunque effettivo interesse in capo all’odierna ricorrente a dedurre la questione. E ciò è tanto più vero, ove si consideri che Ceetrus Italy Spa neppure ha dedotto in qual modo l’affermazione della Corte d’appello, che la indicava come controinteressata all’avveramento della condizione, l’avesse concretamente danneggiata, una volta che, invece, era stata controparte ad impugnare la stessa considerazione, formulata dal primo giudice.

1.2) In tale ottica, appare altresì del tutto irrilevante l’erronea affermazione della Corte distrettuale che, sulla qualifica di

controinteressata all’avveramento della condizione, si sarebbe formato un giudicato endoprocessuale, essendo la stessa una mera argomentazione, utilizzata quale presupposto per discutere in ordine all’onere della prova (Sez. 3, n. 30728 del 19 ottobre 2022).

1.3) D’altronde, a seguito della riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto materiale grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Sez. 1, n. 7090 del 3 marzo 2022; Sez. 6-3, n. 22598 del 25 settembre 2018).

Nessuna delle predette anomalie ricorre nella specie.

2) Con il secondo mezzo, la ricorrente lamenta omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.

La sentenza impugnata avrebbe omesso di considerare le circostanze di fatto, dedotte e provate da Gallerie sin dal primo grado di giudizio e che avevano condotto il Tribunale ad escludere la sussistenza dei presupposti per invocare l’art. 1359 c.c. Infatti, tali circostanze avrebbero dimostrato che, se la condizione apposta al contratto non si era verificata, ciò non sarebbe dipeso da una presunta inerzia della stessa ricorrente nello svolgimento delle attività necessarie per consentirne l’avveramento, ma dalla pacifica circostanza che, sino alla fine del dicembre 2013, le parti stavano ancora discutendo in merito alle eventuali modifiche da apportare agli accordi ed alla condizione sospensiva originariamente pattuita.

Il rilievo è inammissibile.

2.1) L’art. 360 n. 5, c.p.c. ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato” testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Sez. U., n. 8053 del 7 aprile 2014; Sez. 2, n. 27415 del 29 ottobre 2018).

In particolare, il motivo di ricorso deve riguardare un fatto storico considerato nella sua oggettiva esistenza, senza che possano considerarsi tali né le singole questioni decise dal giudice di merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, né le mere ipotesi alternative, né le singole risultanze istruttorie, ove comunque risulti un complessivo e convincente apprezzamento del fatto svolto dal giudice di merito sulla base delle prove acquisite nel corso del relativo giudizio (Sez. 2, n. 10525 del 31 marzo 2022; Sez. 2, n. 20718 del 13 agosto 2018; Sez. 1, n. 17761 dell’8 settembre 2016).

Orbene, la motivazione della Corte d’appello appare plausibile ed immune da vizi logici nella concatenazione e nella valutazione degli elementi documentali.

La ricorrente denuncia una pluralità di circostanze, sicché la doglianza si risolve in una critica alla ricostruzione dei fatti da parte dei giudici di merito.

2.2) È dunque opportuno ricordare in proposito che la valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, sicché rimane estranea al presente giudizio qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116, commi 1 e 2, c.p.c., in esito all’esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito.

2.3) Per il resto, va ribadito che l’esame dei documenti esibiti e la valutazione degli stessi, come anche il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 1, n. 19011 del 31 luglio 2017; Sez. 1, n. 16056 del 2 agosto 2016).

2.4) In altri termini, la differente lettura delle risultanze istruttorie proposta dalla ricorrente non tiene conto del principio per il quale la doglianza non può tradursi in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Sez. U, n. 24148 del 25 ottobre 2013).

È, in conclusione, inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Sez. U, n. 34476 del 27 dicembre 2019; Sez. 1, n. 5987 del 4 marzo 2021).

3) Mediante la terza doglianza, la Ceetrus Italy Spa assume la violazione e falsa applicazione degli artt. 1359 e 2697 c.c., in

relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.

La Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto fittiziamente avverata la condizione per inottemperanza dell’appellata all’onere probatorio su di essa incombente, benché, ai sensi dell’art. 1359 c.c., gravi su chi lamenti il mancato avveramento della condizione l’onere di provarne l’imputabilità a titolo di dolo o di colpa in capo alla controparte.

Nel contesto dei rapporti fra le parti, l’obiettivo reale della

promittente venditrice A.A. VEICOLI INDUSTRIALI sarebbe stato quello di far accertare, in via incidentale, l’efficacia e la validità del contratto, per poter poi recedere dallo stesso e farsi restituire la caparra confirmatoria. In tale prospettiva, l’onere di fornire la prova degli ipotetici comportamenti dolosi o colposi sarebbe dovuto gravare su chi invocava la fictio iuris di cui all’art. 1359 c.c., indipendentemente dal fatto che tale comportamento fosse consistito nel violare obblighi imposti dalla legge o dal contratto.

Il motivo deve essere accolto.

3.1) La decisione della Corte d’appello di Torino si fonda sull’assunto che, nel caso di specie, “la condizione-trasformazione di destinazione urbanistica era prestazione dedotta in apposito contratto di mandato, teleologicamente connesso al preliminare di compravendita. Di conseguenza, a parte appellante spettava solo l’onere di allegare l’inadempienza di parte appellata, essendo quest’ultima onerata della prova dell’adempimento ovvero dell’incolpevolezza dell’inadempimento.”

Pertanto, la sentenza ha correttamente preso in considerazione il rapporto complessivo fra le parti, in virtù della stipulazione di due negozi, in cui il secondo (il contratto di mandato) era funzionale all’avveramento della condizione sospensiva e dunque alla conclusione del primo. È perciò indubitabile che si trattasse di una condizione sospensiva potestativa mista.

3.2) Tuttavia, l’applicazione dell’art. 1359 c.c. (ossia l’avveramento fittizio della condizione) è indiscutibilmente legata, per un verso, all’accertamento di un vero controinteressato al verificarsi della condizione e, per altro verso, alla prova del dolo o della colpa (Sez. 6-2, n. 31728 del 4 novembre 2021; Sez. 2, n. 23417 del 19 settembre 2019).

Nella specie, la Corte territoriale dà per scontato che vi fosse una parte contraria al verificarsi della condizione (la promissaria acquirente), quando – in generale – entrambe le parti di un contratto bilaterale hanno interesse alla sua conclusione, né è stata addotta dalla sentenza impugnata alcuna particolare ragione opposta, contestuale o sopravvenuta. D’altronde, l’inottemperanza al negozio di mandato non è, di per sé sola, indice di un comportamento doloso o colposo, che è stato negato dal Tribunale e ritenuto, per converso, assiomaticamente verificato dai giudici di secondo grado.

3.3) In definitiva, la Corte d’appello non ha fornito una motivazione esaustiva nella costruzione degli elementi che l’hanno condotta a statuire l’avveramento della condizione, laddove la giurisprudenza di questa Suprema Corte ha affermato che l’obbligo delle parti di comportarsi secondo buona fede durante la pendenza della condizione è principio che riguarda anche il contratto sottoposto a condizione potestativa mista; in tale ipotesi, l’omissione di un’attività in tanto può ritenersi contraria a buona fede e costituire fonte di responsabilità, in quanto essa costituisca oggetto di un obbligo giuridico, che, invece, deve escludersi per l’attività di attuazione dall’elemento potestativo in una condizione mista (Sez. 2, n. 17919 del 22 giugno 2023; Sez. 2, n. 25025 del 22 agosto 2022; Sez. 2, n. 22046 dell’11 settembre 2018).

4) Il motivo di ricorso incidentale condizionato è rubricato come “nullità della sentenza ex art. 360 n. 4 c.p.c., per omessa pronunzia riguardo al primo motivo formulato da A.A. VEICOLI INDUSTRIALI in atto d’appello” ed è volto dichiaratamente a contrastare il primo motivo di ricorso avversario, che è stato respinto. Conseguentemente, il predetto mezzo resta assorbito.

5) La sentenza impugnata va dunque cassata ed il giudice del rinvio – che si designa nella Corte d’appello di Torino, in diversa composizione – nel riesame della fattispecie si atterrà al seguente principio: “Nel caso in cui le parti subordinino gli effetti di un contratto preliminare di compravendita immobiliare alla condizione che il promissario acquirente ottenga da un ente pubblico la necessaria autorizzazione amministrativa, la relativa condizione è qualificabile come “mista”, dipendendo la concessione dei titoli abilitativi urbanistici non solo dalla volontà della P.A., ma anche dal comportamento del promissario acquirente nell’approntare la relativa pratica, sicché la mancata concessione del titolo comporta le conseguenze previste in contratto, senza che rilevi, ai sensi dell’art. 1359 c.c., un eventuale comportamento omissivo del promissario acquirente, sia perché tale disposizione è inapplicabile nel caso in cui la parte tenuta condizionatamente ad una data prestazione abbia anch’essa interesse all’avveramento della condizione, sia perché l’omissione di un’attività in tanto può ritenersi contraria a buona fede e costituire fonte di responsabilità, in quanto l’attività omessa costituisca oggetto di un obbligo giuridico, e la sussistenza di un siffatto obbligo deve escludersi per l’attività di attuazione dell’elemento potestativo in una condizione mista, con conseguente esclusione dell’obbligo di considerare avverata la condizione”.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo del ricorso principale, rigettato il primo e dichiarato inammissibile il secondo, dichiara assorbito il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Conclusione

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Seconda Sezione Civile il 28 febbraio 2024.

Depositata in Cancelleria il 6 marzo 2024.

 

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