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Amministratore condominiale Immobili, Condominio e Locazioni

Contratto di manutenzione degli ascensori condominiali: si applica il Codice del Consumo (Trib. S.M. Capua Vetere n. 4828/23)

IL FATTO

Un Condominio inviava ad una società di manutenzione degli ascensori disdetta del relativo contratto senza rispettare il termine ivi previsto. Del chè tale disdetta veniva ritenuta intempestiva dalla società alla luce degli artt. 3 e 8 del contratto. Il Tribunale, in primo luogo, evidenziava quindi la tardività della disdetta siccome esercitata dal condominio. Tuttavia verificava anche che lo schema contrattuale delineatosi alla luce di una complessiva lettura degli artt. 3 e 8 era da ritenersi vessatorio in quanto il condominio assumeva certamente la veste di consumatore nell’ambito del rapporto contrattuale in esame. Ed invero, il termine entro il quale esercitare la disdetta (12 mesi prima della scadenza naturale), valutato unitamente al contenuto della penale posta a carico del condominio (pagamento dell’intero corrispettivo dovuto fino alla scadenza naturale in assenza di prestazione) assumeva carattere vessatorio, determinando un evidente squilibrio del vincolo contrattuale assunto dalle parti, a tutto vantaggio della società di manutenzione. Per tale ragione il Tribunale dichiarava la nullità della clausola che prevedeva la penale nei termini sopra richiamati.

LA SENTENZA (estratto)

TRIBUNALE DI SANTA MARIA CAPUA VETERE – Sentenza del 14-12-2023 n. 4828

(omissis)

Ragioni di fatto e diritto della decisione 

[…] richiamano gli atti delle parti ed i verbali di causa per ciò che concerne lo svolgimento del processo e ciò in ossequio al disposto contenuto al n. 4 dell’art. 132 c.p.c., così come inciso dall’art. 45, comma 17, legge 18.6.2009, n. 69.
Sotto il profilo dello svolgimento del processo, va evidenziato che il […] opponente ha proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 1437/2021, emesso dal […] di […] con il quale è stato condannato a pagare l’importo di […] in favore della società opposta, di cui […] per risoluzione anticipata del contratto ed […] per il mancato pagamento della fattura n.2667/20 del 18.11.2020.
A fondamento della richiesta di pagamento, la società opposta ha dedotto quanto segue: 1) con contratto del 16.09.2002, il condominio affidava la manutenzione ascensori alla società […] s.r.l.; 2) in pari data veniva sottoscritto un atto aggiuntivo per l’estensione del servizio di pronto intervento nelle intere 24 ore di tutti i giorni feriali e festivi; 3) con lettera pec del 23.11.2020 il condominio confermava la disdetta del contratto; 4) la disdetta era intempestiva per cui i contratti si erano rinnovati per ulteriori nove anni; 5) la risoluzione anticipata del contratto comportava il pagamento della penale oltre al pagamento immediato del canone mensile in vigore fino alla naturale scadenza del contratto. […] nel proporre opposizione, ha dedotto che la clausola contrattuale che prevede il termine di 12 mesi prima della scadenza naturale per esercitare il recesso e la penale corrispondente al corrispettivo dovuto fino alla naturale scadenza in caso di recesso tardivo è da ritenersi vessatoria. Parte opposta si è costituita in giudizio ed ha chiesto il rigetto dell’opposizione, evidenziando l’infondatezza delle eccezioni poste a fondamento della stessa e chiedendo la conferma dell’opposto decreto ingiuntivo.
Nel merito, preliminarmente va chiarito che, di seguito alla proposizione di un’opposizione a decreto ingiuntivo, si instaura tra le parti niente altro che un ordinario giudizio di cognizione, avente ad oggetto l’accertamento della entità e sussistenza del credito azionato mediante la procedura monitoria. Tale avviso risulta invero confermato da ultimo dalla Suprema Corte con la sentenza resa a Sezioni Unite il […], n. 26128, ove essa ha rammentato e sostenuto la correttezza dell’orientamento della sua pregressa giurisprudenza (peraltro, condivisa dalla dottrina e dalle pronunzie di merito) secondo cui l’opposizione a decreto ingiuntivo non è un’azione d’impugnazione del decreto stesso, volta a farne valere vizi, ovvero originarie ragioni di invalidità (Cass. 15 maggio 2003, n. 7545; Cass. 19 maggio 2000, n. 6528; Cass. 4 aprile 2001, n. 4985; Cass. 27 giugno 2000, n. 8718; Cass. 17 novembre 1997, n. 11417; Cass. 28 gennaio 1995, n. 1052), ma piuttosto rimedio volto ad instaurare un ordinario giudizio di cognizione, finalizzato all’accertamento della esistenza del diritto di credito fatto valere dal creditore con il ricorso ex artt. 633 e 638 c.p.c. Detta controversia è quindi diretta ad accertare la fondatezza della pretesa fatta valere dall’ingiungente opposto che assume la posizione sostanziale di attore – e delle eccezioni e delle difese fatte valere dall’ingiunto opponente – che assume la posizione sostanziale di convenuto (Cfr ex multis Cassazione civile sez. III 31 ottobre 2014 n. 23174).
Le considerazioni che precedono trovano conferma laddove la Suprema Corte afferma che “il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo ha ad oggetto l’intera situazione giuridica controversa, sicché è al momento della decisione che occorre avere riguardo per la verifica della sussistenza delle condizioni dell’azione e dei presupposti di fatto e di diritto per l’accoglimento della domanda di condanna del debitore. Pertanto, la riscontrata insussistenza, anche parziale, dei suddetti presupposti, pur non escludendo il debito dell’originario ingiunto, comporta l’impossibilità di confermarne la condanna nell’importo indicato nel decreto ingiuntivo, che dunque va sempre integralmente revocato.” (Cass. civ. Sez. III, 24.09.2013, n. 21840).
Ciò premesso, in questo tipo di giudizio non possono non ritenersi operanti i principi generali espressi dalla Suprema Corte in tema di onere della prova dell’inadempimento. Invero, secondo i suddetti principi, al creditore che agisce per la risoluzione contrattuale, il risarcimento dei danni o l’inadempimento incombe solo l’onere di provare la fonte del proprio diritto (contratto o disposizione di legge) ed allegare la circostanza dell’inadempimento della controparte (e il nesso causale tra la violazione del contratto e i danni), mentre grava sul debitore convenuto l’onere di provare la non imputabilità dell’inadempimento, o dell’inesatto adempimento (cfr. Cass. SS.UU. n. 13533/01, confermata, tra le altre, da Cass. n. 2387/04 e n. 3373/10). Dall’applicazione di tali principi discende che è onere dell’opponente – attore solo in senso formale e convenuto in senso sostanziale – eccepire l’inesistenza del credito azionato, ovvero l’avvenuto adempimento dell’obbligazione.
Inoltre, i principi appena richiamati vanno ulteriormente coordinati con il principio di non contestazione, che impone al convenuto – in questo caso l’opponente quale convenuto in senso sostanziale – di prendere posizione sulle singole circostanze e contestarle specificamente al fine di evitare che, altrimenti, i fatti si ritengano ammessi e provati. Com’è noto, il principio di non contestazione, prima ancora di essere codificato dal legislatore nel 2009 con la modifica dell’art. 115 c.p.c., era stato già considerato dalla Corte di Cassazione come principio generale insito nel nostro ordinamento processuale. Così la Suprema Corte, tra l’altro, nella sentenza n. 5356/2009: “[…]. 167 c.p.c., imponendo al convenuto l’onere di prendere posizione sui fatti costitutivi del diritto preteso dalla controparte, considera la non contestazione un comportamento univocamente rilevante ai fini della determinazione dell’oggetto del giudizio, con effetti vincolanti per il giudice, che dovrà astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato e dovrà ritenerlo sussistente, in quanto l’atteggiamento difensivo delle parti espunge il fatto stesso dall’ambito degli accertamenti richiesti” (cfr. anche Cass. n. 10031/04; n. 13079/08; n. 5191/08).
In una recente pronuncia la Suprema Corte è giunta finanche ad estendere il principio della non contestazione anche ai fatti impliciti in una data allegazione: “[…] di provarlo (il fatto implicito allegato) insorge se sia contestato (…) Se tanto non sia avvenuto, l’esigenza probatoria non sorge, non essendovi bisogno di provare il fatto non contestato” (Cass. n. 22837/10).
Ebbene, ciò premesso in punto di diritto, l’opposizione è si è rivelata parzialmente fondata e il decreto ingiuntivo opposto deve essere revocato.
Ciò si dice per le seguenti ragioni. […] non ha contestato specificamente e tempestivamente (nell’atto introduttivo) né il rapporto contrattuale posto a fondamento della domanda, né l’esecuzione delle prestazioni per le quali si chiede il pagamento per l’importo di […] né l’avvenuta disdetta, né infine la correttezza dei calcoli effettuati.
Tuttavia è stata contestata dall’opponente la validità della clausola contrattuale (art. 8) sulla base della quale si chiede, a titolo di penale, l’importo di […] deducendo la vessatorietà della stessa.
Orbene, gli artt. 3 e 8 del contratto oggetto di causa prevedono che la durata di 9 anni, con facoltà delle parti di disdetta 12 mesi prima della scadenza naturale e con previsione di una penale corrispondente al corrispettivo che sarebbe dovuto fino alla scadenza naturale, in caso di disdetta tardiva da parte del condominio.
In primo luogo, va evidenziato che dagli atti emerge la tardività della disdetta del condominio.
Deve pertanto verificarsi se lo schema contrattuale che viene a delinearsi alla luce di una complessiva lettura degli artt. 3 e 8 del contratto assuma carattere vessatorio.
Sotto il profilo soggettivo la questione è rilevante, in quanto il condominio assume certamente la veste di consumatore nell’ambito del rapporto contrattuale in esame. La Corte di Giustizia sul punto ha infatti affermato che ”Gli artt. 1 paragrafi 1 e 2 lett. b)Direttiva 93/13/Cee concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che non ostano a una giurisprudenza nazionale che interpreti la normativa di recepimento della medesima direttiva nel diritto interno in modo che le norme a tutela dei consumatori che essa contiene siano applicabili anche a un contratto concluso con un professionista da un soggetto giuridico quale il condominio nell’ordinamento italiano, anche se un simile soggetto giuridico non rientra nell’ambito di applicazione della suddetta direttiva” (Corte di Giustizia UE sez. I, 2.4.20 n. 329).
Posto che viene a delinearsi un contratto tra professionista e consumatore, con applicazione della disciplina disegnata dal codice del consumo a tutela del consumatore, va verificato che nel caso in esame viene in rilievo una clausola vessatoria.
Sul punto, va richiamato il seguente principio giurisprudenziale “Il carattere abusivo delle clausole predisposte dal professionista va valutato alla luce del principio generale, secondo cui sono abusive le clausole che determinino a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto. In caso di disdetta dal contratto, non è giustificata la richiesta del pagamento del 60% dei canoni della ditta di manutenzione degli ascensori anche in presenza di fattura controfirmata dall’amministratore di condominio. In tal caso, la clausola del contratto è vessatoria in assenza di un giustificato motivo ma, soprattutto, della mancata fornita prestazione” (cfr.[…] sez. II, 29/08/2023, n.3600).
In base al richiamato principio giurisprudenziale, condiviso dallo scrivente magistrato, deve affermarsi che lo schema contrattuale che viene a delinearsi attraverso il richiamo alle clausole contenute negli articoli 3 e 8 del contratto oggetto di causa è vessatorio.
E’ prevista infatti la possibilità di disdetta soltanto fino a 12 mesi prima della scadenza naturale, con penale, tra l’altro solo a carico del condominio, del pagamento dell’intero corrispettivo dovuto fino alla scadenza naturale, in caso di disdetta.
E’ evidente che il termine entro il quale esercitare la disdetta (12 mesi prima della scadenza naturale), valutato unitamente al contenuto della penale posta a carico del condominio (pagamento dell’intero corrispettivo dovuto fino alla scadenza naturale in assenza di prestazione) assume carattere vessatorio, determinando un evidente squilibrio del vincolo contrattuale assunto dalle parti, a tutto vantaggio del professionista.
Per tale ragione va dichiarata la nullità della clausola che prevede la penale nei termini sopra richiamati.
Per completezza va detto che le clausole vessatorie ai sensi del codice del consumo non possono ritenersi salve ove contraddistinte da specifica sottoscrizione, occorrendo la prova dell’intervenuta trattativa individuale sulla clausola che determina lo squilibrio, prova che nel caso di specie non è stata offerta.
Il decreto ingiuntivo deve pertanto essere revocato e l’opponente condominio va condannato al pagamento, in favore dell’opposta società dell’importo di […] oltre interessi dalla messa in mora (2.12.20).
Si ribadisce infatti che non è stata tempestivamente e specificamente contestata l’esecuzione delle prestazioni poste a fondamento della richiesta di pagamento dell’importo in questione.
Le spese […] in minima parte della domanda di pagamento inducono a ritenere sussistenti giusti motivi per compensare nella misura del 50 % le spese di lite, ponendo le stesse a carico dell’opposta, da ritenersi parzialmente soccombente, in ragione dell’esito del giudizio.

P.Q.M.

[…] definitivamente decidendo, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, così provvede:

– revoca il decreto ingiuntivo n. 1437/2021 emesso dal […] di […]

– condanna il condominio a pagare l’importo di […] in favore dell’opposta società, oltre interessi dalla messa in mora fino all’effettivo soddisfo (2.12.20);

– compensa nella misura del 50 % le spese di lite e condanna l’opposta al pagamento delle stesse, in favore dell’opponente condominio, che liquida in […] per spese e in […] per compensi, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge, con distrazione in favore del procuratore.

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