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Immobili, Condominio e Locazioni

Condominio: la modifica dei criteri dettati dall’art. 1124 c.c. necessità dell’approvazione all’unanimità (Cass. 20888/23)

IL PRINCIPIO ENUNCIATO DALLA CORTE

– E’ nulla la deliberazione dell’assemblea di condominio approvata a maggioranza con cui si stabilisca, per una unità immobiliare adibita ad uso ufficio ed in ragione dei disagi da essa provocati, un incremento forfetizzato della quota di contribuzione alle spese di gestione dell’impianto di ascensore, sul presupposto della più consistente utilizzazione, rispetto agli altri, del bene comune, in quanto la modifica del criterio legale dettato dall’art. 1124 c.c. (il quale già consente di tener conto del più intenso uso in proporzione all’altezza dei piani) richiede il consenso di tutti i condomini, e perciò una convenzione, non essendo comunque applicabile alle spese per il funzionamento dell’ascensore il criterio di riparto in base all’uso differenziato previsto dal comma 2 dell’art. 1123 c.c.

– Le successive deliberazioni, che ripartiscano le spese dando esecuzione a tale criterio illegittimamente dettato dall’assemblea, sono, peraltro, annullabili, e non nulle per propagazione, in quanto non volte a stabilire o modificare per il futuro le regole di suddivisione dei contributi previste dalla legge o dalla convenzione, ma in concreto denotanti una violazione di dette regole, di tal che la loro invalidità può essere sindacata dal giudice nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo emesso per la riscossione dei contributi solo se dedotta mediante apposita domanda riconvenzionale di annullamento nel termine previsto dall’art. 1137 c.c.

– Ove sia dichiarata l’invalidità di un rendiconto che abbia suddiviso le spese facendo applicazione di un criterio convenzionale illegittimo, sorge in sede di predisposizione dei rendiconti per gli esercizi successivi l’onere per l’amministratore di tener conto delle ragioni di detta invalidità, ovvero di correggere i bilanci successivi a quello annullato, sottoponendo quelli rettificati nuovamente all’approvazione dell’assemblea.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. A.A. ha proposto ricorso articolato in quattro motivi avverso la sentenza n. 4409/2017 della Corte d’appello di Milano, pubblicata il 19 ottobre 2017.

Resiste con controricorso il Condominio (Omissis).

Non hanno svolto attività difensive le altre intimate B.B. e C.C..

2. La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, comma 2, 4-quater, e 380 bis.1, c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis ex art. 35 del D.Lgs. n. 149 del 2022.

La ricorrente ha depositato memoria.

3. La Corte d’appello di Milano ha accolto il gravame spiegato dal Condominio (Omissis) contro la sentenza resa dal Tribunale di Milano il 27 aprile 2015 e perciò rigettato l’opposizione proposta da A.A., B.B. e C.C. avverso il decreto ingiuntivo n. 34264/2013 intimato dal Condominio per la riscossione di contributi condominiali, pari ad Euro 21.827,00, risultanti dal piano di riparto approvato con delibera assembleare del 7 novembre 2012. In particolari, la Corte d’appello ha evidenziato che l’ingiunzione di pagamento opposta riguardava “il saldo consuntivo gestione straordinaria 2011, la seconda e terza rata del riparto preventivo esercizio ordinario 2012/2013 e la prima rata relativa ai lavori straordinari ascensore, il tutto approvato all’assemblea ordinaria del 7 novembre 2012” e che “le delibere assunte in tale assemblea non hanno formato oggetto di alcuna impugnativa e neppure è stata svolta, nel presente giudizio, alcuna conclusione in merito ad esse”, di tal che “una volta dichiarata la nullità del punto 3) della delibera 2008, permane comunque l’effetto obbligatorio, nei confronti dei condomini, della delibera del 2012, posta a fondamento dell’azione monitoria”. Le opponenti avevano invero dedotto “la nullità del punto 3) della delibera assembleare del 5 novembre 2008”, il quale aveva previsto che a partire dall’esercizio 2008/2009 si ponesse a carico delle unità immobiliari in comproprietà tra A.A., B.B. e C.C., adibite ad uso ufficio, una maggiorazione della contribuzione alle spese di portierato e per l’ascensore. A tal proposito, la Corte d’appello di Milano ha affermato che la delibera del 5 novembre 2008 “venne assunta all’assemblea all’unanimità dei presenti che rappresentavano soltanto 412.67 millesimi dei partecipanti al condominio”, e dunque non “dalla maggioranza degli intervenuti rappresentante almeno la metà del valore dell’edificio, come richiesto dal vigente art. 1136, comma 2, c.c. Sennonchè, secondo i giudici di appello, era da “precisare che detta delibera non può considerarsi, oggi, invalida”, in quanto “annullabile e non impugnata”.

4. Il primo motivo del ricorso di A.A. denuncia la violazione degli artt. 1123 c.c., 69 disp. att. c.c. e 112 c.p.c., recando in rubrica l’illustrazione “violazione del diritto delle attrici alla corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e del relativo principio giuridico per avere la Corte d’appello ricondotto alla fattispecie di cui all’art. 69 disp. att. c.c. il semplice aggravio di spesa imposto ad un condomino”. Il motivo si conclude affermando: “(n)el caso di specie ci troviamo sicuramente di fronte a un’ipotesi di modifica, assunta non all’unanimità dei condomini, dei criteri di ripartizione delle spese, con la conseguente applicazione della sanzione della radicale nullità, deducibile senza limiti di tempo, della delibera del 5 novembre 2008 (…), con la quale, appunto, sono stati illegittimamente stabiliti per la proprietà delle esponenti dei criteri di ripartizione delle spese di portierato e ascensore maggiorati rispetto a quanto risultante dalle tabelle millesimali”. Su tale domanda la Corte d’appello non avrebbe pronunciato.

Il secondo motivo del ricorso di A.A. denuncia la violazione degli artt. 167 c.p.c. e 1137 c.c., avendo la Corte d’appello “ritenuto di poter esaminare la validità della delibera del 5 novembre 2008 sotto la specie dell’annullabilità in difetto di efficiente eccezione di parte”.

Il terzo motivo del ricorso di A.A. denuncia, al pari del primo, la violazione degli artt. 1123 c.c., 69 disp. att. c.c. e 112 c.p.c., per avere la Corte d’appello ricondotto alla fattispecie disciplinata dall’art. 69 disp. att. c.c. “il semplice aggravio di spesa imposto dalla maggioranza a danno di un condomino”. Si riproduce fotograficamente nel corso del motivo il testo del punto 3) della delibera assembleare del 5 novembre 2008, con cui l’assemblea prendeva “atto dei disagi provocati dall’ufficio proprietà A.A. e dalla elevata quantità dei dipendenti e/o clienti” e così deliberava di seguire quanto già deciso dall’assemblea nell’ottobre 1989, applicando alle unità immobiliari A.A. “maggiorazioni di spesa” di due quote per le spese portierato e di quattro quote per le spese ascensore.

Il quarto motivo del ricorso di A.A. denuncia la violazione degli artt. 1135 e 1137 c.c., per avere la Corte d’appello ritenuto che la nullità della delibera “posta alla base del nuovo ed illecito criterio di addebito delle spese non si riverberi sulle successive e consequenziali”. La tesi della ricorrente è che la sentenza impugnata non abbia considerato nè “il principio per il quale la nullità radicale della delibera condominiale illegittimamente approvata dalla assemblea si riverbera sulle delibere successive e consequenziali”, nè che “le opponenti a decreto ingiuntivo aveva(no) contestato la validità delle decisioni fatte valere dal condominio in sede monitoria, tanto da ritenere che bene avevano fatto a non adeguarvisi”.

5. E’ infondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dal controricorrente, contenendo l’atto gli essenziali profili di fatto e di diritto della vicenda posti a fondamento delle doglianze proposte, in modo da offrire una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche.

6. I quattro motivi possono essere esaminati congiuntamente, giacchè del tutto connessi, rivelandosi fondato il terzo motivo e non fondati i restanti motivi.

7. In virtù dell’art. 113 c.p.c., nel pronunciare sulla causa il giudice deve seguire le norme del diritto, sicchè ha il potere-dovere di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in giudizio, nonchè alle azioni o eccezioni formulate in causa, potendo porre a fondamento della sua decisione disposizioni e principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti, purchè i fatti necessari al perfezionamento della fattispecie ritenuta applicabile coincidano con quelli della fattispecie concreta sottoposta al suo esame. L’art. 112 c.p.c., invocato dalla ricorrente, vieta, piuttosto, al giudice di porre a base della decisione fatti che non siano stati oggetto di puntuale allegazione negli scritti difensivi delle parti, ovvero di pronunziare oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, mutando i fatti costitutivi o quelli estintivi della pretesa, ovvero decidendo su questioni che non hanno formato oggetto del giudizio e non sono rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato. Ad un tempo, il principio della corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato impone al giudice di pronunciare su tutta la domanda, costituendo vizio di omessa pronuncia la mancanza di decisione su ogni istanza di parte attinente al merito della lite che abbia un contenuto concreto ed una specifica formulazione.

A fronte della espressa domanda di A.A., B.B. e C.C. volta a dichiarare la nullità del punto 3) della delibera assembleare del 5 novembre 2008, la Corte d’appello di Milano, nella motivazione (sia pure non nel dispositivo) della sentenza impugnata (pagina 9), ha dunque proceduto ad una diversa qualificazione giuridica della stessa in termini di annullabilità ed ha respinto perciò l’istanza di declaratoria di nullità della stessa.

8. La Corte d’appello di Milano ha tuttavia errato in diritto nel ritenere che la deliberazione del 5 novembre 2008 avesse approvato una tabella millesimale delle spese per l’ascensore, ancorchè in difetto della necessaria maggioranza, essendo perciò annullabile.

Si è dinanzi ad un atto di approvazione delle tabelle millesimali, per il quale è sufficiente la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136, comma 2, c.c., quando l’approvazione stessa avvenga con funzione meramente ricognitiva dei valori e dei criteri stabiliti dalla legge; viceversa, la tabella da cui risulti espressamente che si sia inteso derogare al regime legale di ripartizione delle spese, ovvero approvare quella “diversa convenzione”, di cui all’art. 1123, comma 1, c.c., rivelando la sua natura contrattuale, necessita dell’approvazione unanime dei condomini (Cass. n. 6735 del 2020).

9. Alla stregua dei principi enunciati da Cass. Sez. Unite 14 aprile 2021, n. 9839, sono nulle le deliberazioni dell’assemblea di condominio con le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalla legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, mentre sono meramente annullabili le deliberazioni aventi ad oggetto la ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative alla gestione delle parti e dei servizi comuni adottate in violazione dei criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione stessi, trattandosi di deliberazioni assunte nell’esercizio di dette attribuzioni assembleari, cosicchè la relativa impugnazione va proposta nel termine previsto dall’art. 1137, comma 2, c.c. 10. Avendosi riguardo alla validità di delibere approvate prima dell’entrata in vigore della L. n. 220 del 2012, occorre premettere che già nella vigenza del precedente testo dell’art. 1124 c.c. la giurisprudenza affermava costantemente che la regola posta da tale norma in relazione alla ripartizione delle spese di manutenzione e di ricostruzione delle scale (per metà in ragione del valore dei singoli piani o porzione di piano, per l’altra metà in misura proporzionale all’altezza di ciascun piano dal suolo), in mancanza di criteri convenzionali, trovasse applicazione per analogia alle spese relative alla conservazione e alla manutenzione dell’ascensore già esistente (ex multis, Cass. n. 3264 del 2005; n. 5975 del 2004; n. 2833 del 1999; n. 5479 del 1991).

11. E’ dunque nulla la delibera condominiale adottata a maggioranza degli aventi diritto (quale quella di cui al punto 3 della riunione del 5 novembre 2008 oggetto di causa), con cui l’assemblea (nella specie, “preso atto dei disagi provocati dall’ufficio” sito in una delle unità immobiliari di proprietà esclusiva) stabilisca un onere maggiorato di contribuzione alle spese di gestione dell’impianto di ascensore, sul presupposto della più intensa utilizzazione, rispetto agli altri, del bene comune, in quanto la modifica dei criteri legali (nella specie, ex art. 1124 c.c.) o di regolamento contrattuale di riparto delle spese richiede il consenso di tutti i condomini, e perciò una convenzione (eventualmente tradotta in una delibera assembleare totalitaria, conclusa con l’intervento e con il consenso di tutti i componenti del condominio), ed anche perchè il criterio di riparto in base all’uso differenziato, derivante dalla diversità strutturale della cosa, previsto dal comma 2 dell’art. 1123 c.c., non è applicabile alle spese generali, nè in particolare alle spese di funzionamento dell’ascensore, con riguardo alle quali l’applicazione dell’art. 1124 c.c. già consente di tener conto del più intenso uso in proporzione all’altezza dei piani.

Il comma 2 dell’art. 1123, allorchè disciplina il riparto delle spese “in proporzione all’uso”, riguarda il caso in cui la cosa comune sia oggettivamente destinata a permettere ai singoli condomini di goderne in misura diversa, inferiore o superiore al loro diritto di condominio, e non dipende, invece, dal godimento effettivo che il singolo partecipante tragga in concreto dal bene in dipendenza del soddisfacimento delle proprie esigenze abitative o professionali, correlate all’attuale destinazione impressa all’unità immobiliare di sua proprietà esclusiva (cfr. Cass. n. 1511 del 1997; n. 6359 del 1996; n. 5179 del 1992; n. 13160 del 1991).

12. Sempre in base ai principi enunciati da Cass. Sez. Unite 14 aprile 2021, n. 9839, nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di contributi condominiali, il giudice può sindacare sia la nullità dedotta dalla parte o rilevata d’ufficio della deliberazione assembleare posta a fondamento dell’ingiunzione, sia l’annullabilità di tale deliberazione, a condizione che quest’ultima sia dedotta mediante apposita domanda riconvenzionale di annullamento contenuta nell’atto di citazione, ai sensi dell’art. 1137, comma 2, c.c.; ne consegue l’inammissibilità, rilevabile d’ufficio, dell’eccezione con la quale l’opponente deduca soltanto vizi comportanti l’annullabilità della deliberazione assembleare posta a fondamento dell’ingiunzione senza chiedere una pronuncia di annullamento.

13. Il decreto ingiuntivo oggetto di opposizione nel presente giudizio concerneva “il saldo consuntivo gestione straordinaria 2011, la seconda e terza rata del riparto preventivo esercizio ordinario 2012/2013 e la prima rata relativa ai lavori straordinari ascensore”, credito comprovato dalla deliberazione approvata dall’assemblea del 7 novembre 2012, la quale non è stata oggetto di domanda riconvenzionale ex art. 1137 c.c. da parte delle opponenti A.A., B.B. e C.C., come afferma la Corte d’appello a pagina 7 della sentenza e come conferma la stessa ricorrente riportando integralmente in ricorso il testo dell’atto introduttivo del procedimento di primo grado.

In tal senso, il quarto motivo del ricorso di A.A., ove si assume la necessità di accertare la “nullità derivata” (sul modello di quanto sostenuto da Cass. n. 10196 del 2013) della delibera del 7 novembre 2012, per aver dato attuazione all’illegittimo criterio di riparto stabilito dal punto 3 della delibera del 5 novembre 2008, si connota come istanza “nuova”, inammissibile in sede di legittimità, in quanto pone una questione di diritto, appunto, “nuova”, la quale implica altresì lo svolgimento di accertamenti di fatto incompatibili con il procedimento di cassazione.

In ogni modo, l’allegazione che la delibera di approvazione e riparto delle spese del 7 novembre 2012, su cui fondava il credito del Condominio (Omissis) azionato in sede monitoria col decreto ingiuntivo n. 34264/2013, sarebbe invalida, per aver fatto applicazione del criterio di riparto delle spese di gestione dell’impianto di ascensore approvato a maggioranza dalla precedente delibera del 5 novembre 2008, serve comunque a prospettare soltanto un vizio di annullabilità delle stesse, alla stregua dei principi enunciati dalla medesima sentenza n. 9839 del 2021, in quanto non viene dedotta una modificazione dei criteri legali di suddivisione dei contributi da valere per il futuro, quanto una erronea ripartizione in concreto in violazione di detti criteri. Tale vizio non poteva, pertanto, essere sindacato dal giudice in sede di opposizione al decreto ingiuntivo emesso per la riscossione dei contributi condominiali fondati su tali delibere, in mancanza di apposita domanda riconvenzionale di annullamento ex art. 1137 c.c., con conseguente infondatezza delle censure rivolte dal ricorrente.

La dichiarazione di nullità della delibera dell’assemblea condominiale con cui si approva a maggioranza un criterio derogatorio al regime legale di ripartizione delle spese non genera, quindi, una nullità per propagazione dei rendiconti successivi ad essa che abbiano fatto applicazione di tale criterio. Piuttosto, una volta conseguita la dichiarazione di invalidità di un rendiconto che abbia suddiviso le spese facendo applicazione di un criterio convenzionale illegittimo, sorge in sede di predisposizione dei rendiconti per gli esercizi successivi l’onere per l’amministratore di tener conto delle ragioni di detta invalidità, ovvero di correggere i bilanci successivi a quello annullato, sottoponendo quelli rettificati nuovamente all’approvazione dell’assemblea (come può argomentarsi dall’art. 2434-bis c.c., dettato in tema di società).

14. Possono pertanto enunciarsi i seguenti principi di diritto.

E’ nulla la deliberazione dell’assemblea di condominio approvata a maggioranza con cui si stabilisca, per una unità immobiliare adibita ad uso ufficio ed in ragione dei disagi da essa provocati, un incremento forfetizzato della quota di contribuzione alle spese di gestione dell’impianto di ascensore, sul presupposto della più consistente utilizzazione, rispetto agli altri, del bene comune, in quanto la modifica del criterio legale dettato dall’art. 1124 c.c. (il quale già consente di tener conto del più intenso uso in proporzione all’altezza dei piani) richiede il consenso di tutti i condomini, e perciò una convenzione, non essendo comunque applicabile alle spese per il funzionamento dell’ascensore il criterio di riparto in base all’uso differenziato previsto dal comma 2 dell’art. 1123 c.c. Le successive deliberazioni, che ripartiscano le spese dando esecuzione a tale criterio illegittimamente dettato dall’assemblea, sono, peraltro, annullabili, e non nulle per propagazione, in quanto non volte a stabilire o modificare per il futuro le regole di suddivisione dei contributi previste dalla legge o dalla convenzione, ma in concreto denotanti una violazione di dette regole, di tal che la loro invalidità può essere sindacata dal giudice nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo emesso per la riscossione dei contributi solo se dedotta mediante apposita domanda riconvenzionale di annullamento nel termine previsto dall’art. 1137 c.c. Ove sia dichiarata l’invalidità di un rendiconto che abbia suddiviso le spese facendo applicazione di un criterio convenzionale illegittimo, sorge in sede di predisposizione dei rendiconti per gli esercizi successivi l’onere per l’amministratore di tener conto delle ragioni di detta invalidità, ovvero di correggere i bilanci successivi a quello annullato, sottoponendo quelli rettificati nuovamente all’approvazione dell’assemblea.

15. Il terzo motivo di ricorso va perciò accolto, mentre vengono respinti gli altri motivi; la sentenza impugnata deve essere cassata, nei limiti della censura accolta, con rinvio alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, che procederà ad esaminare nuovamente la causa uniformandosi al principio enunciato e tenendo conto dei rilievi svolti, e provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta i restanti motivi, cassa la sentenza impugnata nei limiti della censura accolta e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 7 giugno 2023.

Il Presidente

Così deciso in Roma, il 7 giugno 2023.

Depositato in Cancelleria il 18 luglio 2023

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