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Immobili, Condominio e Locazioni

Condominio e diritto di veduta in appiombo: via la tenda sottostante se impedisce la visuale al vicino di casa (Cass. 7622/24)

Il vicino ha diritto alla veduta in appiombo fino alla base dell’edificio

Va infatti ribadito che, nell’ambito dei rapporti tra proprietari di immobili situati in edifici in condominio, “Il proprietario del singolo piano di un edificio condominiale ha diritto di esercitare dalle proprie aperture la veduta in appiombo fino alla base dell’edificio e di opporsi conseguentemente alla costruzione di altro condomino che, direttamente o indirettamente, pregiudichi tale suo diritto, senza che possano rilevare le esigenze di contemperamento con i diritti di proprietà ed alla riservatezza del vicino, avendo operato già l’art. 907 c.c. il bilanciamento tra l’interesse alla medesima riservatezza ed il valore sociale espresso dal diritto di veduta, poiché luce ed aria assicurano l’igiene degli edifici e soddisfano bisogni elementari di chi li abita”.

Per una disamina più generale vedi anche “Tenda al piano di sotto è legittima?” e ancora “Il diritto di veduta, una guida semplice e completa”

L’ORDINANZA

Cass. civ., Sez. II, Ordinanza, (data ud. 23/01/2024) 21/03/2024, n. 7622

(Presidente Orilia, Rel. Oliva)

Svolgimento del processo

Con atto di citazione del 28.2.2011 B.B. e A.A. evocavano in giudizio Mauron Assets Management Geie innanzi il Tribunale di Roma, invocandone la condanna a rimuovere alcune opere realizzate in violazione delle norme in tema di distanze e comunque lesive dell’art. 1067 c.c., perché idonee a precludere l’esercizio della servitù di luce esistente a vantaggio del fondo degli attori.

Nella resistenza della convenuta il Tribunale, con sentenza n. 1711/2015, accoglieva la domanda, accertando la violazione degli artt. 907 e 1067 c.c. ed ordinando l’eliminazione delle opere ritenute illecite.

Con la sentenza impugnata, n. 8481/2021, la Corte di Appello di Roma rigettava il gravame interposto dalla società convenuta avverso la decisione di prime cure, confermandola.

Ricorre per la cassazione di tale pronuncia Mauson Asset Management Geie, affidandosi a quattro motivi.

Resistono con controricorso B.B. e A.A..

In prossimità dell’adunanza camerale, la parte controricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione

Con il primo motivo, la parte ricorrente lamenta la violazione dell’art. 907 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente considerato come costruzione, e dunque assoggettato all’obbligo di rispetto del regime in tema di distanze, una tenda di stoffa ritraibile, non idonea a ledere il diritto di inspectio e prospectio in alienum degli odierni controricorrenti.

Con il secondo motivo, invece, la parte ricorrente denunzia la violazione dell’art. 907 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.c., perché la Corte distrettuale avrebbe assimilato l’opera contestata ad una costruzione perché realizzata al di sopra di mura legittimamente erette e non oggetto della domanda di demolizione proposta da parte attrice.

Le due censure, suscettibili di esame congiunto, sono inammissibili.

La Corte di Appello, confermando la decisione del Tribunale, ha ritenuto che “… secondo la consistenza accertata dal c.t.u., la sola struttura fissa ancorata al muro perimetrale dell’edificio, in cui è raccolta la tenda in condizioni di chiusura, presenta le dimensioni di un parallelepipedo di ml. 4,00 x 1,00 x 0,10. Tale scatolato è posto a soli 30 cm. dal balcone dell’int. 3 e cm. 60 dal balcone dell’int. 4; tra i muri divisori -ai quali è ancorata l’ulteriore struttura in ferro destinata allo scorrimento della tenda- ed i muri perimetrali sono state posizionate lastre di lamiera che costituiscono un comodo camminamento fino ai balconi soprastanti. E’ quindi da condividere l’assimilazione di tale installazione ad una costruzione, ai fini dell’applicazione della distanza minima di m. 3 prevista dall’art. 907, III c., c.c., avuto riguardo alla consistenza dei nuovi volumi generati dalle strutture fisse, unitamente alla tenda scorrevole, poste in prossimità della soglia dei balconi e, come tali, suscettibili di minarne anche la sicurezza” (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata).

Ne deriva che la Corte distrettuale ha operato una valutazione dei fatti e delle prove, condividendo le conclusioni del C.T.U. ed evidenziando che, nella specie, l’odierna ricorrente non aveva affatto realizzato soltanto una tenda scorrevole, bensì una struttura fissa costituita da un elemento “scatolato” destinato ad accogliere la tenda in condizioni di chiusura, e da un ulteriore manufatto destinato a consentire lo scorrimento della copertura, parzialmente tamponato da lastre di lamiera, tale da costituire nuovo volume. Trattasi di accertamento in fatto, non utilmente censurabile in sede di legittimità, che in effetti parte ricorrente attinge proponendo una lettura alternativa del compendio istruttorio, senza tener conto che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790).

Detto accertamento, peraltro è coerente con l’insegnamento di questa Corte, secondo cui “Rientra nell’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, non censurabile in sede di legittimità se non per vizio di motivazione, stabilire se -nell’ambito dei rapporti di vicinato-opere quali tettoie, tendaggi fissi, estensibili o detraibili, con intelaiatura fissata stabilmente al suolo, costituiscano costruzioni o a queste possano equipararsi e se impedendo o limitando -per la struttura, dimensione o conformazione- le vedute in appiombo esercitate dal vicino, debbano rispettare la distanza di tre metri prevista dall’art. 907 c.c.” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 16687 del 06/11/2003, Rv. 567938; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 20205 del 13/10/2004, Rv. 577688; nonché Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 26263 del 18/10/2018, Rv. 650781, secondo cui “Il divieto di costruire a distanza inferiore a tre metri da una preesistente veduta, stabilito dall’art. 907 c.c. a salvaguardia di tale diritto, riguarda in genere una “fabbrica” realizzata a distanza inferiore da quella prevista dalla legge, di qualsiasi materiale e forma, idonea ad ostacolare stabilmente l’esercizio della inspectio e della prospectio”).

Va infatti ribadito che, nell’ambito dei rapporti tra proprietari di immobili situati in edifici in condominio, “Il proprietario del singolo piano di un edificio condominiale ha diritto di esercitare dalle proprie aperture la veduta in appiombo fino alla base dell’edificio e di opporsi conseguentemente alla costruzione di altro condomino che, direttamente o indirettamente, pregiudichi tale suo diritto, senza che possano rilevare le esigenze di contemperamento con i diritti di proprietà ed alla riservatezza del vicino, avendo operato già l’art. 907 c.c. il bilanciamento tra l’interesse alla medesima riservatezza ed il valore sociale espresso dal diritto di veduta, poiché luce ed aria assicurano l’igiene degli edifici e soddisfano bisogni elementari di chi li abita” (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 5732 del 27/02/2019, Rv. 652708; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 955 del 16/01/2013, Rv. 624981).

In funzione dei richiamati principi, non è utilmente censurabile l’accertamento in fatto condotto dal giudice di merito in relazione alle caratteristiche della struttura fissa “in cui è raccolta la tenda in condizioni di chiusura” e della “ulteriore struttura in ferro destinata allo scorrimento della tenda” (cfr. penultima ed ultima pagina della sentenza impugnata).

Né è possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui “L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330).

Inoltre, spetta al giudice di merito accertare se, volta per volta, il manufatto realizzato in violazione delle stesse abbia, in concreto, o meno, le caratteristiche idonee a produrre un aumento della superficie esterna o della volumetria, così incidendo sulla struttura dell’edificio ed integrando una nuova costruzione (cfr., in tema di sopraelevazioni di edifici preesistenti, Cass. Sez. 2, Sentenza n. 20786 del 25/09/2006, Rv. 592151; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14932 del 05/06/2008, Rv. 603499).

Irrilevante è, a contrario, la considerazione -proposta a pag. 10 del ricorso- secondo cui l’opera contestata non limiterebbe comunque il diritto di inspectio e prospectio in alienum degli odierni controricorrenti, sia sulla scorta dei precedenti sin qui richiamati, che comunque attribuiscono al giudice di merito la valutazione sulla potenzialità lesiva di detto diritto che l’opera riveste, sia in considerazione del fatto che la ratio della decisione risiede sulla ravvisata natura di costruzione dell’opera controversa. Peraltro, la giurisprudenza richiamata a pag. 11 del ricorso milita in senso diametralmente opposto a quanto ritiene la parte ricorrente e non afferma affatto che “… una tenda amovibile non è e non può avere le caratteristiche di una costruzione in senso tecnico”. Infatti, quei precedenti affermano il diverso principio secondo cui “Il proprietario del piano di un edificio condominiale ha diritto di esercitare dalle proprie aperture (nella specie, finestra e non balcone aggettante) la veduta appiombo, sicché può imporre al vicino di non costruire una veranda, seppur nei limiti del perimetro del sottostante balcone, a meno di tre metri” (Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 7269 del 27/03/2014, Rv. 630234; in senso conforme, cfr. anche Cass. Sez. 2, Sentenza n. 955 del 16/01/2013, Rv. 624981, secondo la quale non rilevano “… le esigenze di contemperamento con i diritti di proprietà ed alla riservatezza del vicino, avendo operato già l’art. 907 c.c. il bilanciamento tra l’interesse alla medesima riservatezza ed il valore sociale espresso dal diritto di veduta, in quanto luce ed aria assicurano l’igiene degli edifici e soddisfano bisogni elementari di chi li abita”).

Né, in tema di condominio negli edifici, rileva la compatibilità tra la normativa in tema di distanze e quella sull’uso della cosa comune, ex art. 1102 c.c., poiché “… la realizzazione, in appoggio al muro perimetrale del fabbricato, di una tettoia insistente su di un resede in proprietà esclusiva di uno dei condomini deve rispettare la distanza di tre metri dalle vedute degli altri appartamenti, in applicazione dell’art. 907 c.c.,… giacché la tettoia insiste su un’area di proprietà esclusiva e non condominiale ed essendo i rapporti tra proprietà individuali e beni comuni finitimi disciplinati dalle norme che regolano i rapporti tra proprietà contigue o asservite” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 17216 del 18/08/2020, Rv. 661735).

Ed infine, neppure appare corretta l’affermazione contenuta a pag. 13 del ricorso, secondo cui la Corte distrettuale avrebbe “preteso di assimilare” l’opera oggetto di causa “… ad una costruzione perché posta al di sopra della mura legittimamente erette che non erano oggetto della causa”. Al contrario, la valutazione condotta dal giudice di merito si è concentrata sulle caratteristiche della struttura, e non degli elementi murari sui quali essa si appoggia, la cui legittimità, dunque, esula del tutto dall’ambito dell’accertamento in fatto condotto dalla Corte capitolina.

Con il terzo motivo, la parte ricorrente lamenta la violazione dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe fornito motivazione affetta da irriducibile contrasto logico, affermando da un lato che l’opera è una tenda retrattile, e poi ritenendo che la stessa potesse essere considerata come costruzione, e come tale assoggettata al rispetto della normativa in tema di distanze legali.

Ed infine, con il quarto ed ultimo motivo, la parte ricorrente denunzia la violazione degli artt. 132 c.p.c. e 907 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte distrettuale avrebbe fondato la propria decisione su una motivazione solo apparente, non idonea a dar conto dei motivi per cui una tenda retrattile sarebbe assimilabile ad una costruzione.

Le due censure, suscettibili di esame congiunto, sono inammissibili.

Pur se con motivazione succinta, la Corte di Appello ha dato conto del percorso logico seguito per pervenire alla decisione, con particolare riferimento alla natura ed alle caratteristiche del manufatto oggetto di causa, alle sue dimensioni, al suo posizionamento a distanza inferiore a quella legale dai balconi degli interni 3 e 4, ed infine alla sua capacità di creare una nuova superficie. La motivazione della sentenza impugnata, quindi, non è viziata da apparenza, né appare manifestamente illogica, ed è idonea ad integrare il cd. minimo costituzionale e a dar atto dell’iter logico-argomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830; nonché, sullo specifico vizio di motivazione apparente, in motivazione Cass. Sez. U, Ordinanza n. 2767 del 30/01/2023,). Essa, peraltro, è coerente con gli insegnamenti di questa Corte, già richiamati in occasione dello scrutinio dei primi due motivi di ricorso.

In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile (sulla formula decisoria (v. SSUU n. 7155/2017).

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002– della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore di quella controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali in ragione del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Conclusione

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, addì 23 gennaio 2024.

Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2024.

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