Titolo

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consenso informato

Responsabilità civile

Responsabilità medica: se la cartella clinica è incompleta il Giudice può ritenere provato il nesso di causa (Cass. 11224/24)

La mancanza (o l’incompletezza) della cartella clinica non può andare a discapito del danneggiato ed, anzi, il giudice proprio da questa circostanza, può ritenere dimostratato il nesso di causa tra l’operato del medico e il danno patito

IL PRINCIPIO ENUNCIATO DALLA CORTE

In tema di responsabilità medica, posto che la carenza della documentazione sanitaria acquisibile presso la struttura non può ridondare a detrimento del paziente, l’eventuale incompletezza della cartella clinica è circostanza di fatto che il giudice può utilizzare per ritenere dimostrata l’esistenza di un valido legame causale tra l’operato del medico e il danno patito dal paziente allorché proprio tale incompletezza abbia reso impossibile l’accertamento del relativo nesso eziologico e il professionista abbia comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a provocare la lesione.

E chiosano ancora gli Ermellini:

la mancanza di mezzi o di personale qualificato della struttura sanitaria, lungi dal costituire una esimente di responsabilità, può integrare una tipica ipotesi di inadempimento, dal momento che, per dare la prova liberatoria, la struttura deve dimostrare, in alternativa all’esatto adempimento, l’impossibilità della prestazione derivante da causa ad essa non imputabile, la quale non può evidentemente essere costituita da una colpevole deficienza organizzativa.” […] In altri termini, la Corte di merito avrebbe dovuto chiedersi se, nell’ipotesi in cui i sanitari dell’Ospedale di M., anziché mantenere C.C. in attesa per circa sette ore (dal momento del suo ingresso al Pronto Soccorso al momento dell’aggravamento irreversibile), non ostante la persistenza del dolore toracico da essa accusato, e anziché adagiarsi sulla rassicurante diagnosi di patologia gastrica ed attendere passivamente l’esito degli esami enzimatici, pur correttamente disposti ed eseguiti, avessero tempestivamente indagato anche le eventuali cause alternative dei suoi sintomi, accertando, anche mediante esami strumentali routinari (RX o ecocardiogramma) la sussistenza della dissezione aortica in atto, il problema della mancanza di mezzi e uomini per l’eventuale (ma non necessariamente richiesto) trattamento chirurgico, ove pure esistente, sarebbe stato o meno superabile con il tempestivo trasferimento della paziente.

L’ORDINANZA

Cass. civ., Sez. III, Ordinanza del 26/04/2024, n. 11224

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dai magistrati

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere

Dott. RUBINO Lina – Consigliere

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere

Dott. SPAZIANI Paolo – Consigliere Rel.

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 17522/2021 R.G.,

proposto da

A.A., B.B.; rappresentati e difesi dall’Avvocato Giovanni Pontrelli (pec dichiarata: pontrelli.giovanni@oravta), in virtù di procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

nei confronti di

ASL Taranto – Azienda Sanitaria Locale di Taranto, in persona del Direttore Generale; rappresentata e difesa dall’Avvocato Luigi Di Leo (pec dichiarata: luigi.dileo@pec.giuffre.it), in virtù di procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza n. 182/2021 della CORTE d’APPELLO di LECCE, Sez. TARANTO, pubblicata il 17 maggio 2021, notificata l’11 giugno 2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’8 marzo 2024 dal Consigliere Paolo Spaziani.

Svolgimento del processo

1. Con sentenza 17 maggio 2021, n. 182, la Corte d’appello di Lecce, Sez. Taranto, in accoglimento dell’impugnazione proposta dalla ASL di Taranto e in integrale riforma della decisione del Tribunale di Taranto 12 novembre 2018, n. 2735, ha rigettato la domanda proposta da A.A. e B.B., i quali avevano invocato la condanna della ASL tarantina al risarcimento del danno da loro subìto in conseguenza della morte della loro madre, C.C., deceduta nell’Ospedale di M. in data 24 dicembre 2012.

2. La Corte di merito, sulla scorta della CTU medico-legale espletata in primo grado e delle informazioni desumibili dalla denuncia presentata ai Carabinieri nell’immediatezza dell’evento dalla sorella della vittima, D.D., ha ricostruito le circostanze di fatto che avevano condotto alla morte di C.C. nel modo seguente:

– essa era giunta al Pronto Soccorso dell’Ospedale di M. poco dopo le 18.00 del 23 dicembre 2012, accusando dolore toracico, lacerante e lancinante, forte sudorazione e ipertensione arteriosa;

– all’esito della consulenza cardiologica era stata sottoposta ad ECG e a prelievo per dosaggio di enzimi cardiaci, risultato negativo, sicché, in attesa della rinnovazione di tale esame, da ripetere, secondo protocollo, dopo quattro ore, avuto riguardo all’anamnesi della paziente (la quale aveva riferito di essere affetta da ernia iatale), era stata formulata una prima diagnosi sulla natura gastrica del dolore lamentato;

– in attesa della ripetizione del dosaggio degli enzimi cardiaci, C.C. era stata spostata in una stanza del Pronto Soccorso adibìta a medicheria, ove era rimasta per alcune ore, assistita dalla sorella D.D.;

– durante questo lasso di tempo, parlando con la sorella – come riferito da quest’ultima nella denuncia successivamente presentata ai Carabinieri – aveva detto “di avvertire ancora dolori allo sterno, anche se più sopportabili”; ciò, ad avviso della stessa denunciante, per il fatto che le “erano state somministrate delle fiale di Toradol”;

– intorno alle 23.30, era stata effettuata la ripetizione del test del dosaggio degli enzimi cardiaci, che aveva nuovamente dato esito negativo; poiché tuttavia i dolori avevano ripreso ad aumentare, i sanitari – sempre stando al contenuto della denuncia di D.D. – le avevano praticato, intorno alla mezzanotte, una flebo contenente una soluzione per la protezione dello stomaco;

– tra le 00.10 e le 00.40, dopo che la sorella aveva lasciato la stanza di medicheria, C.C. aveva avuto un malore ed era stata sottoposta a tentativi di rianimazione;

– questi tentativi non avevano purtroppo sortito effetto, perché la paziente era di lì a poco deceduta: la notizia del decesso – sempre secondo la ricostruzione resa possibile dalla denuncia di D.D. – era stata data ai familiari alle 2.30 del 24 dicembre 2012 dal loro medico di fiducia, che era giunto in Ospedale circa un’ora prima proprio su chiamata di D.D.;

– nel certificato di morte, la causa del decesso era stata individuata in “aneurisma disseccante aorta, emopericardio, arresto cardiaco”.

3. In tal modo riscostruite le circostanze di fatto, la Corte di merito, sempre sulla scorta della CTU espletata in primo grado – avuto riguardo al principio di diritto per cui spetta al paziente o al congiunto superstite provare il danno lamentato e la relazione di causalità tra lo stesso e l’inadempimento della struttura sanitaria, mentre spetta a quest’ultima dimostrare l’esatto adempimento o la causa non imputabile dell’inadempimento – non solo ha ritenuto che, nella fattispecie, A.A. e B.B. non avessero dato la prova del nesso causale tra il decesso della loro madre C.C. e l’ipotizzata negligenza od imperizia del personale sanitario, ma ha escluso in radice la condotta inadempiente di tale personale.

4. Come premessa del proprio ragionamento, la Corte territoriale ha posto le conclusioni formulate dai CTU (un medico-legale e un cardiologo) nominati in primo grado, i quali avevano peraltro corredato l’illustrazione della loro indagine da continue, vigorose e incisive osservazioni sulla circostanza che la stessa era stata condotta in quasi totale assenza di documentazione – fatta eccezione per la consulenza cardiologica assunta in Pronto Soccorso e del certificato di morte – sicché la stessa causa del decesso doveva reputarsi incerta.

Secondo i consulenti, il primo approccio diagnostico e terapeutico dei medici del Pronto Soccorso dell’Ospedale di M. era stato corretto, poiché, a valle dell’esame anamnestico e clinico, era stato effettuato l’ECG ed era stato eseguito il prelievo degli enzimi cardiaci, prevedendone altresì la ripetizione dopo quattro ore, in conformità alle regulae artis e alle prescrizioni rinvenibili nella letteratura scientifica.

Solo dopo avere escluso la presenza di segni di necrosi miocardica, avrebbe dovuto essere completato il percorso diagnostico, indagando le possibili ulteriori cause del dolore toracico accusato dalla paziente (in particolare, la patologia aortica) attraverso l’espletamento di ulteriori accertamenti strumentali, quali, in particolare, l’ecocardiogramma, l’esame radiologico del torace, la RM e l’angio-TAC.

Peraltro, circa i tempi di tale completamento, avrebbe dovuto distinguersi a seconda della persistenza o meno del dolore lacerante e lancinante lamentato dalla paziente al momento dell’ingresso in Pronto Soccorso.

Ove questo dolore fosse rimasto inalterato, il passaggio alla seconda fase del percorso diagnostico avrebbe dovuto essere anticipato, senza attendere l’esito della rinnovazione dell’esame del dosaggio ensimatico, in modo da poter evidenziare la patologia aortica in atto e avviare la paziente all’intervento chirurgico o alla appropriata terapia medica, a seconda della tipologia di dissezione dell’aorta effettivamente riscontrata.

Ove, invece, come riferito da D.D. nella denuncia resa ai Carabinieri, il dolore si fosse fatto “più sopportabile”, l’imperativo di completare il percorso diagnostico per indagare cause diverse dalla patologia miocardica sarebbe insorto solo dopo la definitiva esclusione di quest’ultima, ovverosia dopo l’esito negativo del secondo test ensimatico, eseguito alle 23.30 del 23 dicembre 2012.

Peraltro, a quel punto, la possibilità di tale approfondimento sarebbe stata impedita dal precipitare degli eventi, poiché la paziente si era aggravata ed era di lì a poco deceduta senza che i sanitari avessero il tempo di svolgere i predetti accertamenti.

5. Sulla base del riferito esito dell’indagine peritale, la Corte salentina – ritenendo che la “evidente carenza della cartella clinica” e la “mancanza di un referto necroscopico certo e inoppugnabile” potessero essere surrogati dal “quadro probatorio ed indiziario univocamente favorevole all’assenza di responsabilità medica e di nesso causale”, ed in particolare dal “dettagliato ed accurato racconto degli eventi fatto quasi nell’immediatezza dei fatti ai CC da D.D.” (pp. 9-10 della sentenza impugnata) – ha escluso ogni negligenza o imperizia nella condotta dei medici, reputando incensurabile la condotta degli stessi, i quali avevano deciso di mantenere la paziente in attesa, sottoponendola a terapia antidolorifica, nelle more del completamento del percorso diagnostico per malattia miocardica.

Da un lato, infatti, secondo la Corte di merito, l’atteggiamento attendista dei sanitari sarebbe stato giustificato proprio dalla circostanza che, alla stregua delle dichiarazioni di D.D., il dolore si era fatto “più sopportabile” (p.6 della sentenza impugnata); dall’altro lato, dopo l’esito negativo del secondo dosaggio degli enzimi cardiaci, la situazione era apparsa “ancora del tutto tranquilla” sino alle ore 00.10, mentre l’aggravamento delle condizioni di C.C. si era verificato “nel giro di una mezz’ora improvvisamente” (p. 8 della sentenza impugnata).

Pertanto, secondo la Corte territoriale, “non vi fu il tempo materiale … dopo la mezzanotte del 23 e nelle primissime ore del 24 dicembre 2012 né di sottoporre la paziente ad esami strumentali non certo di routine, quali la TC o la RM (probabilmente nemmeno disponibili in un presidio ospedaliero di secondaria importanza come quello di M.”) – ciò che valeva a fortiori per la ecocardiografia esofagea, richiedente “personale altamente qualificato e collaborazione da parte del paziente” -, “né tantomeno, ottenutane una chiara indicazione per l’intervento chirurgico d’urgenza (per altro consigliato con discrete possibilità di sopravvivenza del paziente, soltanto in alcuni casi di dissezione aortica), sarebbe stato materialmente possibile organizzare un’equipe di cardio-chirurghi adeguatamente specializzati, con relativa assistenza di anestesisti-rianimatori e personale di sala chirurgica, difficilmente disponibile in un Ospedale secondario come quello di M., sicché la paziente, priva di coscienza, doveva essere in ipotesi trasportata presso la più vicina struttura ospedaliera all’uopo attrezzata” (p.9 della sentenza impugnata).

6. Per la cassazione della sentenza della Corte salentina ricorrono A.A. e B.B., sulla base quattro motivi. Risponde l’ASL di Taranto con controricorso.

La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ..

Il Procuratore Generale non ha depositato conclusioni scritte.

I ricorrenti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

1.1. Con il primo motivo è denunciata, ex art. 360 n.3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1176, 1218, 1227, 2236, 2697, 2727 e 2729 cod. civ.; dell’art. 88 cod. proc. civ.; e degli artt. 40 e 41 cod. pen..

La sentenza impugnata è censurata per avere escluso la prova del nesso causale tra il decesso di C.C. e la dedotta condotta negligente o imperita dei sanitari, nonché per avere escluso in radice l’inadempimento di questi ultimi, non ostante le carenze della cartella clinica e la lacunosità della documentazione sanitaria, la quale era costituita, secondo quanto riferito dai CTU, unicamente dalla consulenza cardiologica espletata in Pronto Soccorso e dal certificato di morte.

I ricorrenti lamentano che la Corte territoriale, pur prendendo atto di tale lacunosità, non aveva tenuto conto che essa aveva impedito agli stessi periti di ricostruire il quadro clinico e l’evoluzione della malattia che aveva afflitto C.C., tanto che anche la causa della morte – pur formalmente ascritta, nel certificato necroscopico, ad aneurisma dell’aorta – doveva ritenersi incerta.

I ricorrenti si dolgono, inoltre, del fatto che il giudice d’appello abbia ritenuto di poter supplire alla carenza di documentazione sanitaria sulla base di un non meglio precisato quadro probatorio e indiziario favorevole all’assenza di responsabilità medica e di nesso causale e, più in particolare, sulla base delle dichiarazioni contenute nella denuncia-querela sporta da D.D., rese nell’immediatezza del lutto subìto ed ex se inidonee a sopperire ai dati oggettivi che avrebbero dovuto essere annotati in un diario medico.

1.2. Con il secondo motivo è denunciata, ex art. 360 n. 4 cod. proc civ., la violazione degli artt. 115, 116 e 132 cod. proc. civ., sul presupposto che la sentenza impugnata sia affetta tanto da vizio motivazionale costituzionalmente rilevante quanto da travisamento della CTU.

I ricorrenti , da un lato, lamentano che la Corte salentina abbia illogicamente ritenuto “surrogata” la carenza dei dati oggettivi che avrebbero dovuto essere descritti nella cartella clinica dal racconto del vissuto soggettivo effettuato ai Carabinieri dalla sorella della vittima; dall’altro lato, criticano la contraddittorietà tra l’affermazione contenuta nella sentenza, secondo cui solo esami invasivi avrebbero consentito di individuare la patologia di dissezione dell’aorta, con i rilievi formulati dai CTU, secondo cui, invece, tale diagnosi avrebbe potuto essere compiuta anche con esami non invasivi.

1.3. Con il terzo motivo viene denunciato, ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ., l’omesso esame di fatti decisivi e controversi.

In primo luogo, i ricorrenti lamentano l’omessa considerazione del fatto già evidenziato nel motivo precedente, e cioè della circostanza, rilevata dai CTU, che la diagnosi di dissezione aortica avrebbe potuto essere compiuta anche sulla base di esami non invasivi, quali l’ecografia, la TC o la RM, sebbene caratterizzati da una sensibilità per tale patologia (del 60-85%) inferiore a quella dell’ecocardiografia transesofagea (98%).

In secondo luogo, i ricorrenti si dolgono dell’omesso esame del fatto che, durante tutta la permanenza nel Pronto Soccorso, C.C. aveva continuato ad avvertire il forte dolore toracico, ciò che avrebbe dovuto immediatamente far sorgere nei sanitari il sospetto diagnostico per la dissezione dell’aorta, anticipando le relative indagini strumentali, senza attendere l’esito della ripetizione dell’esame enzimatico. Osservano, al riguardo, che, della circostanza storica della persistenza del dolore toracico, la Corte di merito non avrebbe tenuto conto, in funzione del giudizio circa l’esatto adempimento della prestazione sanitaria, sebbene la stessa fosse emersa dalle stesse dichiarazioni di D.D., la quale aveva riferito di aver raccolto dalla sorella Pierangela la confidenza che il dolore persisteva, quantunque si fosse fatto “più sopportabile”, verosimilmente per gli effetti dell’antidolorifico somministratole, tanto che, cessati tali effetti, la sintomatologia dolorosa era nuovamente aumentata.

In terzo luogo, i ricorrenti lamentano l’omessa considerazione della circostanza che, essendo rimasta incerta la causa della morte della loro congiunta, era stato evidenziato dai consulenti che, anche ammettendo che si fosse verificata una dissezione dell’aorta, non era stato possibile accertare se si fosse trattato di dissezione trattabile chirurgicamente o di dissezione trattabile con terapia farmacologica. Tale seconda evenienza non era stata considerata neppure in via dubitativa dalla Corte di merito che, sulla premessa della necessarietà del trattamento chirurgico, aveva osservato che esso, verosimilmente, non avrebbe potuto essere effettuato, per deficienze organizzative, nell’Ospedale di M..

1.4. Con il quarto motivo è denunciata, ex art. 360 n. 4 cod. proc. civ., la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ..

I ricorrenti lamentano che la Corte salentina abbia affermato la verosimile non disponibilità, nel presidio ospedaliero di M., dei macchinari per eseguire gli accertamenti strumentali alla diagnosi di dissezione aortica, nonché del personale tecnico a tal fine qualificato, ed abbia inoltre reputato difficilmente eseguibile un eventuale intervento chirurgico funzionale alla cura di tale patologia, in assenza di alcuna allegazione e prova di tale circostanza ad opera delle parti.

2. I vizi prospettati con i motivi di ricorso – da esaminare congiuntamente stante l’evidente connessione – sussistono ed inficiano funditus la sentenza impugnata.

La Corte territoriale, infatti – pur movendo dall’esatta premessa in iure per cui sarebbe spettato agli attori provare il nesso causale tra il decesso della loro congiunta e l’ipotizzato inadempimento dei sanitari, mentre sarebbe spettato a quest’ultimi provare l’esatto adempimento o la causa non imputabile dell’inesatta esecuzione della prestazione -, ha tuttavia formulato il relativo giudizio di merito (escludendo la dimostrazione del primo elemento e reputando provato il secondo) incorrendo in diversi errori, sia in iudicando che in procedendo, ed omettendo la considerazione di fatti storici decisivi e discussi.

2.1. In primo luogo, pur dandone atto nella motivazione della sentenza, il giudice d’appello non ha attribuito alcun peso alla circostanza, reiteratamente e vigorosamente evidenziata nella relazione di CTU, che la documentazione sanitaria, nonché carente, era quasi del tutto inesistente, riducendosi alla consulenza cardiologica acquisita in Pronto Soccorso e al certificato di morte, cosicché non solo non si era potuta adeguatamente ricostruire l’evoluzione clinica della patologia che aveva afflitto C.C. (né si era potuto fare piena luce sull’attività clinica, diagnostica e strumentale svolta dai sanitari), ma la stessa causa del decesso era rimasta incerta, sebbene essa fosse stata formalmente (ma non del tutto affidabilmente) indicata, nel predetto certificato necroscopico, in un aneurisma disseccante dell’aorta.

È del tutto evidente che le notizie, normalmente desumibili dalla cartella clinica, sulla evoluzione della patologia, sull’attività diagnostica, clinica e strumentale espletata dai sanitari e, soprattutto, sulla causa del decesso del paziente, sono fondamentali per la formulazione del giudizio sulla sussistenza del nesso causale tra il decesso medesimo e l’ipotizzata negligenza o imperizia dei medici, soprattutto in fattispecie, come quella in esame, in cui la stessa patologia ipotizzata e formalmente certificata nell’atto necroscopico (ma non sostanzialmente accertata) può assumere una duplice tipologia, l’una trattabile chirurgicamente, l’altra trattabile farmacologicamente, con diverse probabilità di successo nelle due ipotesi.

Un primo errore in iure della Corte d’appello è, dunque, consistito nel non tenere conto di tale rilevata e palese carenza documentale in funzione della formulazione del giudizio di responsabilità (od irresponsabilità) della struttura sanitaria: in tal modo, infatti, è stato violato il principio – fondato sul rilievo che la carenza della documentazione sanitaria acquisibile presso la struttura non può ridondare a detrimento del paziente – secondo cui, in tema di responsabilità medica, l’eventuale incompletezza della cartella clinica è circostanza di fatto che il giudice può utilizzare per ritenere dimostrata l’esistenza di un valido legame causale tra l’operato del medico e il danno patito dal paziente allorché proprio tale incompletezza abbia reso impossibile l’accertamento del relativo nesso eziologico e il professionista abbia comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a provocare la lesione (ex multis, Cass. n.12218/2015; Cass. n. 27561/2017; Cass. n. 26248/2020).

2.2. Anziché prendere atto, in funzione del giudizio sull’assoluzione dell’onere probatorio gravante sui danneggiati, della circostanza che l’incompletezza della cartella clinica aveva reso impossibile persino l’individuazione della causa mortis, la Corte territoriale ha reputato che tale lacuna fosse surrogabile dalle risultanze probatorie e indiziarie desumibili aliunde, che avrebbero determinato un “quadro probatorio e indiziario univocamente favorevole all’assenza di responsabilità medica e di nesso causale”.

Tale statuizione non costituisce un mero apprezzamento di merito sulle risultanze istruttorie (come tale, incensurabile in sede di legittimità), ma si traduce in un ulteriore vizio della sentenza, in quanto fondata su una motivazione apparente e perplessa, emergente dal testo stesso della decisione.

Infatti, la Corte d’appello, pur facendo riferimento ad un quadro indiziario e probatorio asseritamente in grado di surrogare la carenza quasi assoluta della documentazione sanitaria, non spiega da quali fonti, mezzi ed esperimenti istruttori tali inferenze probatorie sarebbero state tratte; anzi, seguendo lo sviluppo della motivazione, il “quadro probatorio e indiziario univocamente favorevole all’assenza di responsabilità medica e di nesso causale” finisce per identificarsi con (e per esaurirsi nel) “racconto” reso da D.D. ai Carabinieri di M. (pp.9-10 della sentenza impugnata).

La Corte territoriale, pur affermando che le dichiarazioni contenute nella querela presentata dalla sorella della vittima nella quasi immediatezza della disgrazia familiare vissuta e del lutto subìto fossero idonee a “sopperire alle insufficienze della documentazione sanitaria in atti” (p.10 della sentenza), non spiega tuttavia come esse dichiarazioni (evidentemente circoscritte alle notizie apprese dai concitati dialoghi con i medici e dalle confidenze ricevute dalla sorella sofferente nelle ore precedenti il decesso) abbiano potuto surrogare la lacunosità della documentazione sanitaria in ordine alla natura ed evoluzione della patologia e all’attività clinica, diagnostica e strumentale effettuata, in quelle stesse ore, dai sanitari dell’Ospedale di M..

Sotto tale profilo, la motivazione, in quanto perplessa e meramente apparente, si pone al di sotto del “minimo costituzionale”, concretando il vizio, debitamente denunciato con i motivi di ricorso, di nullità della sentenza.

2.3. Nel valorizzare – immotivatamente, per quanto si è appena detto – le dichiarazioni di D.D. in funzione “surrogatola” della carenza della cartella clinica – e nel porre tali dichiarazioni a fondamento del giudizio di esatto adempimento della struttura sanitaria – la Corte territoriale è incorsa, inoltre, nel vizio di omesso esame di fatto decisivo e discusso, pure questo fondatamente denunciato dai ricorrenti.

Infatti, movendo dai rilievi peritali di cui si dà atto nella stessa sentenza, secondo cui la necessità di anticipare o meno gli esami strumentali funzionali all’accertamento della patologia aortica (rispetto all’esito finale di quelli per l’esclusione della malattia miocardica) sarebbe dipesa dalla persistenza, o meno, del dolore toracico con le medesime caratteristiche, la Corte di merito ha attribuito rilievo determinante alla circostanza – appunto riferita nella querela presentata ai Carabinieri dalla sorella della vittima – che C.C. aveva detto che i dolori si erano fatti “più sopportabili”. Decontestualizzando tale espressione, però, la Corte ha omesso di esaminare la diversa circostanza – desumibile da una considerazione meno atomistica delle predette dichiarazioni – che, in realtà, C.C., nelle lunghe ore in cui era stata lasciata nella sala di medicheria, aveva confidato alla sorella che i dolori allo sterno erano persistiti, anche se, prima di tornare ad aumentare, si erano attenuati.

Ebbene, una volta deciso di attribuire peso determinante alle circostanze riferite in sede di denuncia-querela dalla sorella della vittima (addirittura ritenute in grado di surrogare la carenza quasi assoluta della cartella clinica), la Corte d’appello non avrebbe dovuto omettere l’esame della circostanza storica -assolutamente decisiva in funzione della formulazione del predetto giudizio di esatto o inesatto adempimento, avuto riguardo alle conclusioni dei CTU – relativa alla “persistenza” della sintomatologia algica, la quale era verosimilmente

diminuita durante l’intervallo temporale in cui il Toradol aveva prodotto i suoi effetti, per poi tornare ad aumentare.

2.4. La Corte d’appello è incorsa, poi, nuovamente in un error in iudicando, oltre che in omesso esame di fatto decisivo e discusso, nel momento in cui ha ritenuto che, anche ammettendo un tempestivo approccio al percorso diagnostico strumentale finalizzato all’accertamento della (eventuale) patologia aortica, tale percorso avrebbe comportato la necessità di eseguire esami “non certo di routine”, i quali non sarebbero stati “probabilmente nemmeno disponibili in un presidio ospedaliero di secondaria importanza come quello di M.” (p.9 della sentenza).

Queste argomentazioni sono illegittime per molteplici ragioni: in primo luogo, perché non tengono conto della circostanza che, alla stregua delle osservazioni formulate dai periti (debitamente evidenziate in ricorso), la diagnosi di dissezione dell’aorta, sebbene conseguibile con maggiore certezza con esami effettivamente complessi ed invasivi (quali la ecocardiografia transesofagea e l’angio-TAC), avrebbe tuttavia potuto essere formulata anche sulla base di accertamenti ordinari, quali l’ecocardiogramma o la RX del torace; in secondo luogo perché il rilievo circa la mancanza di mezzi e di personale è stato formulato sulla base di una mera congettura, in difetto di allegazioni delle parti; in terzo luogo, perché la mancanza di mezzi o di personale qualificato della struttura sanitaria, lungi dal costituire una esimente di responsabilità, può integrare una tipica ipotesi di inadempimento, dal momento che, per dare la prova liberatoria, la struttura deve dimostrare, in alternativa all’esatto adempimento, l’impossibilità della prestazione derivante da causa ad essa non imputabile, la quale non può evidentemente essere costituita da una colpevole deficienza organizzativa.

2.5. Analoghe considerazioni, infine, vanno svolte con riguardo all’argomentazione diretta ad escludere la responsabilità della struttura in ragione della ritenuta verosimile impossibilità di effettuare l’eventuale operazione chirurgica.

Al rilievo dell’illegittimo carattere congetturale della supposizione formulata dalla Corte di merito, deve qui aggiungersi che essa si fonda nuovamente sull’omissione di una circostanza rilevante, evidenziata in sede peritale, ove si era dato atto che il trattamento chirurgico (complesso, ma avente una rilevante probabilità di riuscita, con sopravvivenza del 75% dei pazienti sottoposti, secondo i CTU) sarebbe stato necessario solo in presenza di un certo tipo di dissezione aortica, altrimenti trattabile con successo con terapia farmacologica.

L’argomentazione della Corte territoriale, poi, oltre che infrangersi sulla già formulata considerazione che la deficienza organizzativa della struttura sanitaria non costituisce esimente di responsabilità, è viziata nella parte in cui omette di considerare se, data l’impossibilità di eseguire l’operazione chirurgica a M., l’eventuale anticipazione degli esami finalizzati ad accertare la patologia aortica avrebbe consentito di disporre tempestivamente il trasporto della paziente in una struttura maggiormente attrezzata.

In altri termini, la Corte di merito avrebbe dovuto chiedersi se, nell’ipotesi in cui i sanitari dell’Ospedale di M., anziché mantenere C.C. in attesa per circa sette ore (dal momento del suo ingresso al Pronto Soccorso al momento dell’aggravamento irreversibile), non ostante la persistenza del dolore toracico da essa accusato, e anziché adagiarsi sulla rassicurante diagnosi di patologia gastrica ed attendere passivamente l’esito degli esami enzimatici, pur correttamente disposti ed eseguiti, avessero tempestivamente indagato anche le eventuali cause alternative dei suoi sintomi, accertando, anche mediante esami strumentali routinari (RX o ecocardiogramma) la sussistenza della dissezione aortica in atto, il problema della mancanza di mezzi e uomini per l’eventuale (ma non necessariamente richiesto) trattamento chirurgico, ove pure esistente, sarebbe stato o meno superabile con il tempestivo trasferimento della paziente.

3. Avuto riguardo alle plurime ragioni di illegittimità della sentenza d’appello, fondatamente denunciate con i motivi di ricorso per cassazione, questo deve essere accolto e, cassata la pronuncia impugnata, la causa deve essere rinviata alla Corte territoriale di Lecce in diversa composizione.

Il giudice del rinvio rinnoverà la valutazione di merito circa la prova del nesso causale (gravante sugli attori) e quella dell’esatto adempimento (o, in alternativa, della causa non imputabile che ha reso impossibile l’esatta esecuzione della prestazione sanitaria), gravante sulla ASL convenuta.

Nel compiere tale valutazione il giudice del rinvio terrà conto: a) della pressoché totale inesistenza della cartella clinica, che aveva reso impossibile la ricostruzione dell’evoluzione clinica della patologia, nonché delle attività diagnostiche, strumentali e cliniche svolte dai sanitari, dall’entrata di Mariangela Cupertino in Pronto Soccorso (poco dopo le 18.00 del 23 dicembre 2012) al momento del suo decesso (verosimilmente circa alle ore 1.00 del 24 dicembre 2012), e che aveva reso incerta la stessa individuazione della causa precisa della morte, pur formalmente indicata in un aneurisma disseccante dell’aorta in sede di certificato necroscopico; b) della circostanza di fatto, la cui considerazione è stata in precedenza illegittimamente omessa, che il dolore toracico lacerante e lancinante avvertito da C.C. al momento dell’ingresso nel Pronto Soccorso era “persistito” durante le molte ore in cui era stata lasciata in attesa con la sola effettuazione di una terapia antidolorifica che ne aveva determinato la momentanea attenuazione; c) del fatto che le indagini diagnostiche finalizzate ad accertare l’eventuale dissezione aortica – le quali, secondo le conclusioni peritali, in caso di persistenza di dolore toracico, avrebbero dovuto, secondo le regulae artis, essere tempestivamente compiute, senza attendere l’esito definitivo di quelle, pur prioritarie, dirette ad escludere la patologia miocardica – avrebbero potuto essere avviate anche mediante accertamenti strumentali non eccessivamente complessi e invasivi, quali l’ecocardiogramma e la radiografia del torace, pur con margini di incertezza maggiore rispetto ai più approfonditi accertamenti conseguibili mediante l’ecocardiografia transesofagea e l’angio-TAC; d) del fatto che, ove fosse stata tempestivamente diagnosticata una dissezione aortica in corso, la paziente avrebbe potuto essere avviata, a seconda della tipologia della lesione, ad una terapia farmacologica o ad un trattamento chirurgico, eventualmente previo tempestivo trasferimento in struttura più attrezzata, in entrambi casi con rilevanti possibilità di sopravvivenza.

Infine, il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità (art. 385, terzo comma, cod. proc. civ.).

10. Ai sensi dell’art. 52 del D.Lgs. n. 196 del 2003D.Lgs. 30/06/2003, n. 196, si dispone che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi dei ricorrenti, della controricorrente e delle altre persone di cui si fa menzione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Lecce in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi dell’art. 52 del D.Lgs. n. 196 del 2003D.Lgs. 30/06/2003, n. 196, dispone che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi dei ricorrenti, della controricorrente e delle altre persone in esso menzionate.

Conclusione

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile, in data 8 marzo 2024.

Depositata in Cancelleria il 26 aprile 2024.

 

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