Titolo

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Cassazione penale, Sez. V, Sent. del 20/12/2023, n. 50787

Convivenza more uxorio-Famiglia di fatto Diritto di Famiglia

Per la Cassazione il convivente more uxorio non può essere cacciato di casa!

Cassazione Civile, Sez. II, Sentenza del 02-01-2014, n. 7

Matrimonio di fatto – convivenza more uxorio – possesso in materia civile – detenzione qualificata del convivente – ammissibilità dell’azione di reintegrazione o spoglio in genere – sussiste

IL PASSO SALIENTE DELLA SENTENZA:

“la qualità di convivente del comodatario legittimava l’attrice a esperire l’azione di spoglio, quale detentrice qualificata. Ed invero, secondo il più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità condiviso dal Collegio, in considerazione del rilievo sociale che ha ormai assunto per l’ordinamento la famiglia di fatto, la convivenza “more uxorio”, quale formazione sociale che da vita ad un autentico consorzio familiare, determina, sulla casa di abitazione ove si svolge e si attua il programma di vita in comune, un potere di fatto basato su di un interesse proprio del convivente ben diverso da quello derivante da ragioni di mera ospitalità, tale da assumere i connotati tipici di una detenzione qualificata, che ha titolo in un negozio giuridico di tipo familiare. Al riguardo, è stato ritenuto che l’estromissione violenta o clandestina dall’unità abitativa, compiuta dal convivente proprietario in danno del convivente non proprietario, legittima quest’ultimo alla tutela possessoria, consentendogli di esperire l’azione di spoglio (Cass. 7214/2013).”

LA SENTENZA INTEGRALE:

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Presidente –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 1819/2008 proposto da:

Z.R. (OMISSIS), domiciliata ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato GLIOZZI ETTORE MARIA;

– ricorrente –

contro

C.M., CA.RO.MA., C. F.;

– intimati –

sul ricorso 3917/2008 proposto da:

C.F. (OMISSIS), C.M. (OMISSIS), CA.RO.MA. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ARCHIMEDE 138, presso lo studio dell’avvocato BELLINI GIULIO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato MANFRINO ROBERTO;

– c/ric. e ricorrenti incidentali –

contro

Z.R.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1897/2006 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 30/11/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/11/2013 dal Consigliere Dott. EMILIO MIGLIUCCI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso principale per a.d.r. e per il rigetto del ricorso incidentale.

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 3156 del 2003 il tribunale di Torino accoglieva la domanda con la quale Z.R. aveva chiesto nei confronti di Ca.Ro.Ma., C.F. e C. M. la reintegrazione del possesso dell’appartamento in cui abitava more uxorio con Ca.Ro.Ma., il quale lo deteneva in virtù di comodato gratuito concessogli dal fratello M..

Il primo Giudice riteneva l’avvenuto spoglio, avendo accertato che C.F. e C.M. avevano cambiato la serratura dell’appartamento nel periodo in cui Ca.Ro.

M. era stato degente in ospedale a causa di un grave incidente stradale.

La decisione era riformata dalla Corte di appello di Torino che, con sentenza dep. il 30 novembre 2006, rigettava la domanda.

In primo luogo, era disattesa la richiesta di rimessione in termini formulata da Ca.Ro.Ma., che era rimasto originariamente contumace, sul rilievo che le condizioni in cui versava il predetto erano tali da consentirgli di avere contezza del contenuto del giudizio e di fornire al legale tutti gli elementi per apprestare una adeguata difesa tecnica, atteso che la prima udienza era stata fissata circa quattordici mesi dopo la cessazione della pur lunga degenza ospedaliera seguita al grave incidente stradale occorsogli, essendo messa in evidenza la diversa situazione concernente la deposizione che in sede penale il medesimo avrebbe dovuto rendere e che, per le sue condizioni, era stata rinviata.

Quindi, dopo avere premesso che era provato il rapporto di convivenza more uxorio intercorso fra la Z. e Ca.Ma., i Giudici escludevano che a favore dell’attrice potesse configurarsi una situazione qualificabile come di possesso, posto che la relazione con la cosa trovava fonte in un rapporto contrattuale – il comodato intercorso fra Ca.Ma. e il proprietario C. M. – e che la Z. era consapevole di usufruire dell’alloggio messo a disposizione del convivente da un terzo.

Neppure poteva ipotizzarsi a favore dell’attrice una detenzione qualificata, legittimante l’azione di spoglio, tenuto conto che, in relazione al rapporto di convivenza, l’alloggio doveva considerarsi messo a disposizione per ragioni di precaria ospitalità.

2.- Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione la Z. sulla base di due motivi.

Resistono con controricorso gli intimati proponendo ricorso incidentale affidato a un unico motivo.

Motivi della decisione

Preliminarmente il ricorso principale e quello incidentale vanno riuniti, ex art. 335 c.p.c., perchè sono stati proposti avverso la stessa sentenza.

RICORSO PRINCIPALE:

1.1. – Il primo motivo, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 1168 c.c., deduce che l’azione proposta si fondava non sulla convivenza more uxorio ma sul possesso diretto esercitato dalla medesima che aveva goduto con animus possidendi – anche dopo l’incidente in cui fu coinvolta insieme al convivente – dell’appartamento in cui aveva trasferito il proprio corredo e gli oggetti personali, senza che fosse mai stata formulata alcuna contestazione da parte del proprietario che era a conoscenza della convivenza e che la Z. aveva continuato ad abitare nell’alloggio anche dopo l’incidente.

La esistenza del comodato non faceva venir meno l’animus possidendi che in ogni caso prescinde dalla buona o mala fede e che si desume anche dal comportamento del possessore.

In ogni caso il permanere nel godimento dell’immobile aveva determinato la interversione del possesso.

Sussisteva la legittimazione ad agire dell’attrice in virtù dello spoglio violento e clandestino, con il quale era stata privata del possesso o comunque delle detenzione qualificata, che è configurabile, secondo i principi elaborati dalla S.C., a favore dei componenti del nucleo familiare conviventi nell’alloggio.

2. – Il secondo motivo, lamentando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo della controversia, censura la sentenza laddove aveva affermato che l’appartamento era stato messo a disposizione non della Z. ma di C. M., quando il proprietario era consapevole che in esso la predetta aveva abitato e aveva continuato ad abitare anche dopo l’incidente occorso al convivente, esercitando una situazione possessoria propria o comunque una detenzione qualificata propria.

3.- I motivi – che, per la stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente – sono fondati nei limiti di cui si dirà infra.

a) Correttamente è stata esclusa a favore dell’attrice una situazione qualificabile come di possesso, posto che la relazione di fatto con la cosa era iniziata a titolo di detenzione, essendo stato il bene consegnato dal proprietario in virtù del comodato intercorso con Ca.Ma.: se è, perciò, da escludere la presunzione di cui all’art. 1141 c.c., ai fini del mutamento della detenzione in possesso, chi abbia iniziato il godimento del bene a titolo di detenzione non può acquistarne il possesso finchè il titolo non venga mutato per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione da lui fatta nei confronti del possessore;

quest’ultimo mutamento richiede, in particolare, il compimento di uno o più atti estrinseci, dai quali sia possibile desumere la modificata relazione di fatto con la cosa detenuta, attraverso la negazione dell’altrui possesso e l’affermazione del proprio (Cass. 212252/2007; 5854/2006; 4404/2006).

Come si dirà meglio infra la Z., in quanto convivente per un lasso di tempo non trascurabile del comodatario, deve ritenersi codetentrice dell’appartamento destinato ad abitazione in virtù del medesimo titolo: la permanenza nell’alloggio, anche durante il periodo di degenza di Ma., rientrava nell’esercizio delle facoltà inerenti al comodato e dunque alla detenzione trasmessa al convivente con il comodato (Cass. 7293/1992; 11374/2010): pertanto, non potrebbe l’attrice invocare una situazione di possesso.

b) Peraltro, come già accennato, la qualità di convivente del comodatario legittimava l’attrice a esperire l’azione di spoglio, quale detentrice qualificata. Ed invero, secondo il più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità condiviso dal Collegio, in considerazione del rilievo sociale che ha ormai assunto per l’ordinamento la famiglia di fatto, la convivenza “more uxorio”, quale formazione sociale che da vita ad un autentico consorzio familiare, determina, sulla casa di abitazione ove si svolge e si attua il programma di vita in comune, un potere di fatto basato su di un interesse proprio del convivente ben diverso da quello derivante da ragioni di mera ospitalità, tale da assumere i connotati tipici di una detenzione qualificata, che ha titolo in un negozio giuridico di tipo familiare. Al riguardo, è stato ritenuto che l’estromissione violenta o clandestina dall’unità abitativa, compiuta dal convivente proprietario in danno del convivente non proprietario, legittima quest’ultimo alla tutela possessoria, consentendogli di esperire l’azione di spoglio (Cass. 7214/2013). Tenuto conto della posizione dei conviventi del comodatario, il principio deve evidentemente trovare applicazione anche qualora lo spoglio sia compiuto da un terzo nei confronti del convivente del detentore qualificato del bene, come appunto è avvenuto nella specie in danno della Z..

Pertanto, il ricorso va accolto per quanto in motivazione.

RICORSO INCIDENTALE:

1.1.- L’unico motivo denuncia che erroneamente non era stato applicato l’art. 294 cod. proc. civ., sussistendo i presupposti della rimessione in termine del convenuto Ca.Ma. che non si era costituito in giudizio atteso che, in considerazione dei postumi del grave incidente in cui era stato coinvolto, il predetto non era in condizione di sostenere lo stress emotivo di un processo, tant’è vero che la sua audizione in sede penale era stata rinviata.

1.2.- Il motivo è infondato.

La sentenza ha evidenziato come le condizioni di salute non erano tali da non consentire il rilascio della procura al difensore, che nel giudizio civile rappresenta la parte esercitando lo ius postulandi, essendo stato correttamente messo in evidenza il diverso impatto sul piano emotivo di una deposizione da rendere in un giudizio penale. Qui occorre chiarire che la parte la quale non si sia costituita tempestivamente in giudizio non può essere rimessa in termini, ai sensi dell’art. 294 c.p.c., per lo svolgimento di attività per le quali siano maturate le preclusioni, quando deduca che la mancata costituzione le sia stata impedita da uno stato di malattia, perchè tale stato non può essere considerato una causa di impedimento a essa non imputabile, essendo, in ogni caso, possibile il rilascio di una procura ad hoc per la costituzione (Cass. 5249/1999). Il ricorso incidentale va rigettato.

Pertanto, la sentenza va cassata in relazione al ricorso principale, con rinvio, anche per le spese della presente fase, ad altra sezione della Corte di appello di Torino.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso principale per quanto in motivazione rigetta l’incidentale cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso principale e rinvia, anche per le spese della presente fase, ad altra sezione della Corte di appello di Torino.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 28 novembre 2013.

Depositato in Cancelleria il 2 gennaio 2014

 

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