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consenso informato

Responsabilità professionale

Consenso informato medico: il decalogo della Cassazione

Cass. civ. Sez. III, Sent., (ud. 22-12-2017) 23-03-2018, n. 7248

(Su cortese segnalazione del Collega Francesco Carraro)

Una recente pronuncia della Cassazione, la nr. 7248 del 23.03.18 fa il punto (sunteggiandolo in una sorta di vero e proprio decalogo) sul tema del danno da omesso consenso informato richiamando, altresì, il seguente principio.

In tema di attività medico-chirurgica, il medico viene meno all’obbligo di fornire idonea ed esaustiva informazione al paziente, al fine di acquisirne un valido consenso, non solo quando omette del tutto di riferirgli della natura della cura prospettata, dei relativi rischi e delle possibilità di successo, ma anche quando ne acquisisca con modalità improprie il consenso, sicché non può ritenersi validamente prestato il consenso espresso oralmente dal paziente. In tema di attività medico-chirurgica, il consenso informato deve basarsi su informazioni dettagliate, idonee a fornire la piena conoscenza della natura, portata ed estensione dell’intervento medico-chirurgico, dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze negative, non essendo all’uopo idonea la sottoscrizione, da parte del paziente, di un modulo del tutto generico, né rilevando, ai fini della completezza ed effettività del consenso, la qualità del paziente, che incide unicamente sulle modalità dell’informazione, da adattarsi al suo livello culturale mediante un linguaggio a lui comprensibile, secondo il suo stato soggettivo ed il grado delle conoscenze specifiche di cui dispone.

LA SENTENZA (In fondo pagina è possibile scaricare la sentenza integrale in PDF)

(omissis)

Svolgimento del processo

  1. P.G. ed C.A., in proprio ed in qualità di genitori esercenti la potestà sul minore S., evocarono in giudizio,dinanzi al Tribunale di Catania, Ci.An. (ginecologo) e la Casa di Cura (OMISSIS) chiedendo il risarcimento di tutti danni, patrimoniali e non patrimoniali, subiti a seguito della nascita del figlio, venuto alla luce con grave sofferenza fetale e conseguente anossia da parto dalla quale aveva riportato un’invalidità pari al 100%. Autorizzate le chiamate in causa delle compagnie di assicurazioni con le quali la Casa di Cura aveva stipulato le polizze per la responsabilità civile, e deceduto, nelle more, il piccolo S., la domanda veniva parzialmente accolta nei confronti di Ci.An., con condanna al pagamento della somma complessiva di Euro 1.170.000,00 in favore degli attori. Venivano, invece, rigettate le pretese da loro avanzate nei confronti della Casa di Cura (OMISSIS).
  2. Avverso la predetta sentenza è stato proposto appello principale da P.G. e C.A. e appello incidentale dalla struttura sanitaria e dal Fallimento I.C., succeduto ad Ci.An., nel frattempo deceduto.
  3. La Corte d’Appello di Catania, rinnovata la consulenza tecnica d’ufficio, respingeva l’appello principale ed accoglieva quello incidentale del Fallimento I.C., rigettando del tutto la domanda degli attori, con compensazione delle spese di lite.
  4. I P. ricorrono per la cassazione della sentenza, affidandosi a quattro motivi di gravame.

Hanno resistito sia la Generali Italia Spa, depositando anche memorie ex art. 378 c.p.c.; sia la curatela del Fallimento I.C. che ha presentato altresì ricorso incidentale e ricorso incidentale condizionato.

Motivi della decisione

  1. Sul ricorso principale.

Con il primo motivo, proposto ex art. 360, n. 3, in relazione agli artt. 2, 13 e 32 Cost., e art. 1223 c.c., i ricorrenti deducono la violazione delle norme sul consenso informato: assumono, al riguardo, che pacifica l’assenza di informazioni fornite alla paziente sui rischi connessi al trattamento terapeutico intrapreso, la Corte d’Appello aveva reso, sulla specifica doglianza ed in presenza di circostanziata domanda, una motivazione ambigua, meramente fondata sull’esclusione che dall’omessa informazione fossero derivate le drammatiche conseguenze verificatesi, ascrivendole ad un “evento anomalo”.

Con il secondo motivo, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, i P. lamentano l’omesso esame (quale fatto decisivo per la soluzione della controversia ed oggetto di discussione fra le parti) del nesso di causalità fra le conseguenze dannose della terapia farmacologica somministrata ed il mancato consenso prestato, tenuto conto che era stato accertato che non era affatto necessaria l’induzione farmacologica del parto, visto che la paziente era stata precesarizzata, e che, pertanto, era normalmente preferibile ricorrere a parto cesareo elettivo; lamentano, al riguardo, che la Corte aveva omesso di considerare che una corretta informazione avrebbe potuto mettere la C. in condizione di scegliere di evitare il rischio delle conseguenze dannose poi verificatesi.

Con il terzo motivo, proposto ex art. 360, n. 5, i ricorrenti deducono l’omesso esame del rapporto fra gli effetti indesiderati dell’ossitocina ed il distacco intempestivo di placenta, segnalato come possibile rischio perfino dal “bugiardino” che accompagnava il farmaco utilizzato: assumevano, al riguardo, che tali prescrizioni, riportate fedelmente nelle memorie istruttorie, non erano state adeguatamente valutate dalla Corte d’Appello.

Infine, con il quarto motivo, proposto ex art. 360, n. 5, i P. deducono l’omesso esame delle dichiarazioni confessorie, rese dal Ci. in sede di interrogatorio formale, sia sulla mancata acquisizione del consenso della paziente sia sulla tempistica del suo intervento; lamentano, altresì, che da tale omissione era derivato l’immotivato maggior credito assegnato alle conclusioni cui era giunto il secondo collegio peritale nominato dalla Corte rispetto a quelle dei CTU nominati nel corso del giudizio di primo grado.

  1. Sul ricorso incidentale e sul ricorso incidentale condizionato.

Con il primo motivo, il controricorrente Fallimento I.C., lamenta, ex art. 360 c.p.c., n. 3, con riferimento all’art. 1223 c.c., la violazione dei principi in tema di consenso informato in quanto la Corte d’Appello aveva omesso di statuire che l’obbligo di informazione riguardava soltanto i rischi prevedibili e specifici rispetto a determinate scelte terapeutiche.

Con il secondo motivo, deduce, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla libertà delle forme prevista dall’art. 1325 c.c., estendibile anche al consenso informato.

Con il ricorso incidentale condizionato, lamenta altresì la violazione dell’art. 360 n. 3 cpc per violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c..

  1. I motivi del ricorso principale sono tutti fondati ed assorbono sia il primo motivo di ricorso incidentale che quello incidentale condizionato.

Con la prima censura, i ricorrenti, con chiaro riferimento al passaggio motivazionale della Corte d’Appello che (pag. 12) esclude sia il risarcimento del danno “in se” per la mancata acquisizione del consenso, sia l’esistenza del danno conseguente alla omessa informazione dei possibili rischi collegati (nel caso specifico) alla induzione farmacologica del parto, lamentano la violazione degli artt. 2, 13 e 32 Cost., e dell’art. 1223 c.c.: al riguardo, precisato che la domanda era stata espressamente proposta in relazione ad entrambe le fattispecie (cfr. pag. 3 del ricorso, primo punto; pag. 11 della sentenza di primo grado; pag. 12 della sentenza impugnata sopra richiamata che ha respinto la domanda sul punto), si rileva che la Corte di Catania, pur statuendo che non era stata fornita adeguata informazione sui rischi esistenti nè era stato acquisito un valido consenso della paziente in ordine alla terapia farmacologico/induttiva alla quale sarebbe stata sottoposta (pag. 9-10 ed 11 della sentenza impugnata), ha escluso, in relazione alla specifica domanda, la sussistenza della violazione del diritto all’autodeterminazione come fattispecie autonoma, nonchè l’esistenza del nesso etiologico fra il trattamento cui C.A. era stata sottoposta (senza consenso) e la vicenda patologica che si era successivamente sviluppata.

Questa Corte intende dar seguito all’orientamento ormai consolidato ed i-ntrodotto ed espressamente confermato da un arresto coevo alla sentenza impugnata (cfr. Cass. 11950/2013) che ha riconosciuto l’autonoma rilevanza, ai fini dell’eventuale responsabilità risarcitoria, della mancata prestazione del consenso da parte del paziente, e che ha espressamente ritenuto, così come del resto già argomentato dal Tribunale di Catania, che “la violazione, da parte del medico, del dovere di informare il paziente, può causare due diversi tipi di danni: un danno alla salute, sussistente quando sia ragionevole ritenere che il paziente, su cui grava il relativo onere probatorio, se correttamente informato, avrebbe evitato di sottoporsi all’intervento e di subirne le conseguenze invalidanti; nonchè un danno da lesione del diritto all’autodeterminazione in se stesso, il quale sussiste quando, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio, patrimoniale oppure non patrimoniale (ed, in tale ultimo caso, di apprezzabile gravità), diverso dalla lesione del diritto alla salute”. (cfr. ex multis Cass. civ. 2854/2015; Cass. civ. 24220/2015; Cass. 24074/2017; Cass. 16503/2017).

Ciò è a dirsi nell’ottica della legittima pretesa, per il paziente, di conoscere con la necessaria e ragionevole precisione le conseguenze dell’intervento medico, onde prepararsi ad affrontarle con maggiore e migliore consapevolezza, atteso che la nostra Costituzione sancisce il rispetto della persona umana in qualsiasi momento della sua vita e nell’integralità della sua essenza psicofisica, in considerazione del fascio di convinzioni morali, religiose, culturali e filosofiche che orientano le sue determinazioni volitive (Cass. n. 21748/2007; Cass. 23676/2008, in tema di trasfusioni salvavita eseguite al testimone di Geova contro la sua volontà).

Ad una corretta e compiuta informazione consegue, difatti:

  1. il diritto, per il paziente, di scegliere tra le diverse opzioni di trattamento medico;
  2. la facoltà di acquisire, se del caso, ulteriori pareri di altri sanitari;
  3. la facoltà di scelta di rivolgersi ad altro sanitario e ad altra struttura, che offrano maggiori e migliori garanzie (in termini percentuali) del risultato sperato, eventualmente anche in relazione alle conseguenze post-operatorie;
  4. il diritto di rifiutare l’intervento o la terapia – e/o di decidere consapevolmente di interromperla;
  5. la facoltà di predisporsi ad affrontare consapevolmente le conseguenze dell’intervento, ove queste risultino, sul piano postoperatorio e riabilitativo, particolarmente gravose e foriere di sofferenze prevedibili (per il medico) quanto inaspettate (per il paziente) a causa dell’omessa informazione.

Possono, pertanto, prospettarsi le seguenti situazioni:

  1. omessa/insufficiente informazione in relazione ad un intervento che ha cagionato un danno alla salute a causa della condotta colposa del medico, a cui il paziente avrebbe in ogni caso scelto di sottoporsi nelle medesime condizioni, hic et nunc: in tal caso, il risarcimento sarà limitato al solo danno alla salute subito dal paziente, nella sua duplice componente, morale e relazionale (sul punto, Cass. 901/2018);
  2. omessa/insufficiente informazione in relazione ad un intervento che ha cagionato un danno alla salute a causa della condotta colposa del medico, a cui il paziente avrebbe scelto di non sottoporsi: in tal caso, il risarcimento sarà esteso anche al danno da lesione del diritto all’autodeterminazione del paziente;
  3. omessa informazione in relazione ad un intervento che ha cagionato un danno alla salute a causa della condotta non colposa del medico, a cui il paziente avrebbe scelto di non sottoporsi: in tal caso, il risarcimento, sarà liquidato con riferimento alla violazione del diritto alla autodeterminazione (sul piano puramente equitativo), mentre la lesione della salute – da considerarsi comunque in relazione causale con la condotta, poichè, in presenza di adeguata informazione, l’intervento non sarebbe stato eseguito – andrà valutata in relazione alla situazione differenziale tra quella conseguente all’intervento e quella (comunque patologica) antecedente ad esso;
  4. omessa informazione in relazione ad un intervento che non ha cagionato danno alla salute del paziente (e che sia stato correttamente eseguito): in tal caso, la lesione del diritto all’autodeterminazione costituirà oggetto di danno risarcibile tutte le volte che, e solo se, il paziente abbia subito le inaspettate conseguenze dell’intervento senza la necessaria e consapevole predisposizione ad affrontarle e ad accettarle, trovandosi invece del tutto impreparato di fronte ad esse.

Condizione di risarcibilità (in via strettamente equitativa) di tale tipo di danno non patrimoniale è che esso varchi la soglia della gravità dell’offesa secondo i canoni delineati dagli arresti di questa Corte (cfr Cass. SSUU 26972/2008 e Cass. 26975/2008) con i quali è stato condivisibilmente affermato che il diritto, per essere oggetto di tutela risarcitoria, deve essere inciso oltre un certo livello minimo di tollerabilità, da determinarsi dal giudice nel bilanciamento con il principio di solidarietà secondo il parametro costituito dalla coscienza sociale in un determinato momento storico.

Ne consegue, in definitiva, che il risarcimento del danno da lesione del diritto di autodeterminazione che si sia verificato per le non imprevedibili conseguenze di un atto terapeutico, necessario e correttamente eseguito secundum legem artis, ma tuttavia effettuato senza la preventiva informazione del paziente circa i suoi possibili effetti pregiudizievoli e dunque senza un consenso consapevolmente prestato, potrà conseguire alla allegazione del pregiudizio, la cui prova potrà essere fornita anche mediante presunzioni (cfr. Cass. 16503/2017), fondate, in un rapporto di proporzionalità inversa, sulla gravità delle condizioni di salute del paziente e sul grado di necessarietà dell’operazione.

Ne consegue che l’indagine potrà estendersi ad accertare se il paziente avrebbe rifiutato quel determinato intervento ove fosse stato adeguatamente informato (Cass. civ. Sez. 3^, Sent., 9-2-2010, n. 2847); ovvero se, tra il permanere della situazione patologica in atti e le conseguenze dell’intervento medico, avrebbe scelto la prima situazione; o ancora, se, debitamente informato, avrebbe vissuto il periodo successivo all’intervento con migliore e più serena predisposizione ad accettarne le eventuali quanto inaspettate conseguenze e sofferenze.

Ci si trova, pertanto, in un territorio (e in una dimensione probatoria) che impone al giudice di interrogarsi se il corretto adempimento, da parte del medico, dei suoi doveri informativi avrebbe prodotto l’effetto della non esecuzione dell’intervento chirurgico dal quale, anche senza colpa di alcuno, lo stato patologico è poi derivato, ovvero avrebbe consentito al paziente la necessaria preparazione ad affrontare il periodo post-operatorio nella piena e necessaria consapevolezza di tutte le sue possibili conseguenze.

La Corte d’Appello, pertanto, è incorsa in errore in quanto, dopo aver ammesso l’esistenza della violazione denunciata, ha riformato la sentenza sullo specifico punto, respingendo le pretese risarcitorie avanzate.

E, in relazione alla domanda dei P. concernente la rifusione dei pregiudizi alla salute conseguenti sia alla mancata informazione dei rischi collegati alla induzione farmacologica del parto (trattandosi di paziente precesareizzata) sia al dedotto ritardo con il quale il prof. Ci. intervenne, la Corte ritiene che siano fondati anche gli altri tre motivi del ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente in ragione del fatto che denunciano, sia pur sotto plurimi aspetti, il medesimo vizio di omesso esame di fatti decisivi per il giudizio.

Dall’esame della motivazione resa, infatti, emerge che la Corte d’Appello, ha omesso completamente di valutare:

  1. con riferimento al secondo ed al terzo motivo del ricorso, i documentati effetti collaterali del farmaco somministrato, affermando – con adesione ugualmente immotivata alla CTU rinnovata dinanzi a se e senza alcun esame controfattuale di quelle espletate dinanzi al primo giudice – che l’unico rischio ipotizzabile per l’uso dell’ossitocina consisteva nella “rottura dell’utero” che non si era verificata, visto che l’anossia del bambino doveva essere ascritta al distacco di placenta, affermando che tale evento è quello che, “di regola” si verifica più frequentemente: su tale omissione si era fondato il rigetto della domanda relativa al risarcimento dei danni conseguenza dell’omesso consenso alla terapia farmacologica che aveva ritardato il parto cesareo;
  2. con riferimento al quarto motivo del ricorso, le dichiarazioni confessorie del Ci. relative all’ora di inizio del taglio cesareo a fronte dell’ora di “rottura delle acque” ed alla durata temporale della sua assenza di circa tre ore; ed ha aderito immotivatamente alla CTU rinnovata rispetto a quelle svolte nel giudizio di primo grado attraverso le quali era stata ricostruita la tempistica degli interventi, tenendosi conto sia della documentazione prodotta che dell’esito dell’interrogatorio formale del Ci..

Circa il ricorso incidentale proposto dal Fallimento I.C., si osserva che il primo motivo rimane assorbito, così come i motivi di ricorso incidentale condizionato, dall’accoglimento dei motivi di ricorso principale.

Il secondo motivo è, invece, infondato.

Questa Corte ha escluso la validità del consenso prestato verbalmente affermando, con orientamento al quale questo Collegio intende dare seguito, che: “In tema di attività medico-chirurgica, il medico viene meno all’obbligo di fornire idonea ed esaustiva informazione al paziente, al fine di acquisirne un valido consenso, non solo quando omette del tutto di riferirgli della natura della cura prospettata, dei relativi rischi e delle possibilità di successo, ma anche quando ne acquisisca con modalità improprie il consenso, sicchè non può ritenersi validamente prestato il consenso espresso oralmente dal paziente”. (Cass. 19212/2015).

E, in ordine alle forme da utilizzare, è stato pure ritenuto che “In tema di attività medico-chirurgica, il consenso informato deve basarsi su informazioni dettagliate, idonee a fornire la piena conoscenza della natura, portata ed estensione dell’intervento medico-chirurgico, dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze negative, non essendo all’uopo idonea la sottoscrizione, da parte del paziente, di un modulo del tutto generico, nè rilevando, ai fini della completezza ed effettività del consenso, la qualità del paziente, che incide unicamente sulle modalità dell’informazione, da adattarsi al suo livello culturale mediante un linguaggio a lui comprensibile, secondo il suo stato soggettivo ed il grado delle conoscenze specifiche di cui dispone” (Cass. 2177/2016).

In conclusione, la sentenza deve essere cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Catania che dovrà riesaminare la controversia alla luce dei seguenti principi di diritto:

  1. “In materia di responsabilità per attività medico-chirurgica, l’acquisizione di un completo ed esauriente consenso informato del paziente, da parte del sanitario, costituisce prestazione altra e diversa rispetto a quella avente ad oggetto l’intervento terapeutico, dal cui inadempimento può derivare – secondo l’id quod plerumque accidit – un danno costituito dalle sofferenze conseguenti alla cancellazione o contrazione della libertà di disporre, psichicamente e fisicamente, di se stesso e del proprio corpo, patite dal primo in ragione della sottoposizione (come nella specie) a terapie farmacologiche ed interventi medico – chirurgici collegati a rischi dei quali non sia stata data completa informazione. Tale danno, che può formare oggetto, come nella specie, di prova offerta dal paziente anche attraverso presunzioni e massime di comune esperienza, lascia impregiudicata tanto la possibilità di contestazione della controparte quanto quella del paziente di allegare e provare fatti a sè ancor più favorevoli di cui intenda giovarsi a fini risarcitori (in argomento, di recente, Cass. 26827/2017)”.
  2. “L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, tale che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia. Tale vizio presuppone che un esame della questione oggetto di doglianza vi sia pur sempre stato da parte del giudice di merito, ma che esso sia affetto dalla totale pretermissione di uno o più specifici fatti storici, oppure che si sia tradotto nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, priva di un riscontro completo con le emergenze istruttorie sottoposte al riesame del giudice d’appello”.

La Corte di rinvio dovrà altresì provvedere in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso principale; dichiara assorbito il primo motivo di ricorso incidentale e rigetta il secondo motivo; dichiara altresì assorbito il ricorso incidentale condizionato; cassa la sentenza impugnata e rinvia la controversia per nuovo esame alla Corte d’Appello di Catania in diversa composizione anche per la statuizione in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 22 dicembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2018

Scarica in PDF la sentenza integraleCass.-civ.-sez.-III-23-marzo-n.-7248-2018

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