Titolo

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protocollo

Diritto di Famiglia Separazione e Divorzio

Assegno di divorzio: in linea di principio permane anche se il suo titolare instaura una convivenza “more uxorio” con altra persona (Cass. 6111/24)

IL PRINCIPIO DI DIRITTO ENUNCIATO DALLA CORTE

In assenza di un nuovo matrimonio, il diritto all’assegno di divorzio, in linea di principio, di per sè permane, nella misura stabilita dalla sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, anche se il suo titolare instauri una convivenza “more uxorio” con altra persona, salvo che sia data la prova, da parte dell’ex coniuge onerato, che tale convivenza ha determinato un mutamento “in melius” – pur se non assistito da garanzie giuridiche di stabilità, ma di fatto adeguatamente consolidato e protraendesi nel tempo – delle condizioni economiche dell’avente diritto, a seguito di un contributo al suo mantenimento da parte del convivente, o quanto meno di risparmi di spesa derivatigli dalla convivenza.

La relativa prova, pertanto, non può essere limitata a quella della mera instaurazione e del permanere di una convivenza “mora uxorio” dell’avente diritto con altra persona, essendo detta convivenza di per sè neutra ai fini del miglioramento delle condizioni economiche del titolare, potendo essere instaurata con persona priva di redditi e patrimonio, e dovendo l’incidenza economica di detta convivenza essere valutata in relazione al complesso delle circostanze che la caratterizzano.

Cassazione civile, Sez. I, Ordinanza del 07/03/2024, n. 6111

L’ORDINANZA

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta da

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente

Dott. MELONI Marina – Consigliere

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere

Dott. REGGIANI Eleonora – Consigliere

Dott. VALENTINO Daniela – Relatore

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

Sul ricorso proposto da

A.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Gianfranco Cori ed elettivamente domiciliato in Frascati, Via Matteotti, 18

-ricorrente –

contro

B.B. rappresentata e difesa dall’Avv. Carla Gatta ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, Via Altomonte, 6

-resistente-

Avverso il decreto della Corte di Appello di Roma n.1272/2022 del 28.4.2022, emessa nel procedimento r.g. n. 50751/2020, comunicato l’11. 5.2022

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 29 novembre 2023 dal Consigliere Daniela Valentino

Svolgimento del processo

Con ricorso, depositato il 23 aprile 2020, B.B. ha proposto reclamo avverso il decreto con il quale il Tribunale di Velletri, in accoglimento del ricorso proposto da A.A. per la modifica delle condizioni della sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio fra le parti, ha revocato l’obbligo del ricorrente di contribuire al mantenimento della moglie.

L’adita Corte di Appello di Roma accoglieva il reclamo e statuiva che:

a) ai fini della revoca o della riduzione dell’assegno di divorzio è necessaria la duplice condizione della sussistenza di una modificazione delle condizioni economiche degli ex coniugi e della idoneità di tale modificazione ad immutare il pregresso assetto realizzato dal precedente provvedimento sull’assegno. A tal fine, il giudice deve valutare comparativamente se siano sopraggiunte circostanze di tale portata da rendere giustificato l’adeguamento richiesto;

b) la somma mensile di € 1.270,00 percepita dal A.A. a titolo di pensione, come si rileva dai relativi statini, prodotti anche dallo stesso reclamato, era da considerarsi già al netto del suddetto assegno divorzile, posto che la B.B., a causa dell’inadempimento dell’obbligato, aveva richiesto ed ottenuto che l’assegno a lei dovuto fosse erogato direttamente dall’INPS, sicché nel 2017 il reddito medio effettivo del reclamato doveva essere calcolato in € 1.420,00 circa, e non nella minore somma indicata nel decreto impugnato;

c) il primo giudice ha anche erroneamente proceduto ad un’analisi comparativa dei redditi annuali del ricorrente al netto, e di quelli della resistente al lordo (€ 1.500,00 mensili, in luogo di € 1.125,00 effettive), in tal modo ravvisando una sostanziale equiparazione, di fatto però insussistente, essendo i redditi delle parti rimasti pressoché invariati, con un reddito mensile medio del A.A. più alto di quello della B.B., rispetto all’epoca di emissione della sentenza di divorzio;

d) ai fini della comparazione tra la situazione economica esistente all’epoca del divorzio e quella attuale non può essere, inoltre, trascurato il fatto che il A.A. continua a godere, come all’epoca del divorzio, dell’abitazione coniugale, di proprietà al 50% della moglie, laddove, invece, quest’ultima ha acquistato un nuovo immobile, nel quale vive, versando la rata mensile di mutuo di € 787,77;

e) non era stata fornita alcuna allegazione adeguata sulla circostanza che la ex moglie convivesse con altro uomo stabilmente.

Contro il decreto A.A. ha presentato ricorso con

tre motivi ed anche memoria.

B.B.ha presentato controricorso.

Motivi della decisione

Il ricorrente deduce:

1. Con il primo motivo: Violazione dell’art.132, n. 4, c.p.c. La motivazione del provvedimento impugnato è sostanzialmente apparente. Detto rilievo nasce dalla semplice e diretta lettura del provvedimento impugnato. La Corte di Appello, dopo aver rilevato un errore nel decreto di primo grado, ha corretto l’errore rilevato, senza confrontarsi con la sentenza di divorzio, né con il decreto di primo grado, né con le allegazioni documentali da cui si rileva, invece, l’inconciliabilità numerica dei dati reddituali accertati con quelli indicati nel decreto.

2. Con il secondo motivo: Omesso esame di un fatto decisivo del giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti art. 360, n. 5 c.p.c. La decisione di primo grado era fondata per quanto concerne i redditi della B.B. sul CUD 2019. Questo dato (pari a € 18.009,37) è incontestato tra le parti ed è stato assunto a base della decisione di I grado. Diversamente la Corte d’Appello indica come reddito la somma di € 15.000 dato relativo al 2016.

2.1 I primi due motivi sono connessi e possono essere trattati unitariamente. Sono inammissibili, poiché meritali, avendo la Corte territoriale motivatamente provveduto all’esame delle risultanze istruttorie, non sindacabile in questa sede.

È inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici o delle risultanze istruttorie operata dal giudice di merito (Cass., n. 29404/2017; Cass., n. 19547/2017; Cass., 8758/2017; Cass., n. 16056/2016; Cass., Sez. U., n. 34476/2019; Cass., n. 5987/2021).

3. Violazione dell’articolo 9 l. n. 898/1970. Il decreto di riforma della Corte ha ignorato due elementi addotti a modifica delle condizioni, in particolare sia la nuova convivenza della sig.ra B.B., sia l’assunzione da parte del A.A. del debito della figlia maggiorenne che era tornata a vivere con il padre.

3.1 La censura è infondata. L’assegno dovuto al coniuge separato o divorziato, per il mantenimento dei figli ad esso affidati, non può subire riduzioni o detrazioni in relazione ad altre elargizioni del coniuge obbligato in favore dei figli medesimi, ove queste risultino effettuate per spirito di liberalità per soddisfare esigenze ulteriori rispetto a quelle poste a base del predetto assegno, sicché restino ricollegabili ad un titolo diverso (Cass., n. 12212/1990). Nella specie, la Corte ha correttamente accertato che si trattava di un mutuo contratto a favore della figlia a scopo di liberalità, vivendo la medesima con il padre.

Inoltre, in assenza di un nuovo matrimonio, il diritto all’assegno di divorzio, in linea di principio, di per sè permane, nella misura stabilita dalla sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, anche se il suo titolare instauri una convivenza “more uxorio” con altra persona, salvo che sussistano i presupposti per la revisione dell’assegno, secondo il principio generale posto dall’art. 9, comma 1, l. 1° dicembre 1970, n. 898, come sostituito dall’art. 13 l. 6 marzo 1987, n. 74: e cioè che sia data la prova, da parte dell’ex coniuge onerato, che tale convivenza ha determinato un mutamento “in melius” – pur se non assistito da garanzie giuridiche di stabilità, ma di fatto adeguatamente consolidato e protraendesi nel tempo – delle condizioni economiche dell’avente diritto, a seguito di un contributo al suo mantenimento da parte del convivente, o quanto meno di risparmi di spesa derivatigli dalla convivenza. La relativa prova, pertanto, non può essere limitata a quella della mera instaurazione e del permanere di una convivenza “mora uxorio” dell’avente diritto con altra persona, essendo detta convivenza di per sè neutra ai fini del miglioramento delle condizioni economiche del titolare, potendo essere instaurata con persona priva di redditi e patrimonio, e dovendo l’incidenza economica di detta convivenza essere valutata in relazione al complesso delle circostanze che la caratterizzano (Cass., n. 1557/2004; Cass., n. 21080/2004; cfr., da ultimo, Cass. S.U. 32198/2021).

4. Per quanto esposto il ricorso va rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità a favore della controricorrente, che liquida in € 5.000 per compensi e € 200 per esborsi oltre spese generali, nella misura del 15% dei compensi, ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30.5.2002, n.115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri elementi identificativi a norma dell’art.52, comma 2, D.lgs. 196/2003.

Conclusione

Cosi deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Prima sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 29 novembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 7 marzo 2024.

 

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