La Cassazione conferma: revisione e clausola “visto e piaciuto” non escludono la responsabilità del venditore che occulta i difetti del veicolo
IL FATTO
Un uomo acquista un autocarro usato. Prima della vendita il mezzo era stato regolarmente revisionato e l’acquirente aveva accettato la clausola “visto e piaciuto”. Pagato il prezzo, parte alla guida del veicolo, ma già durante il primo tragitto nota anomalie nel funzionamento e, giunto a destinazione, le segnala subito al venditore.
Successivi accertamenti rivelano la presenza di gravi danni alla struttura portante del camion, nascosti da una verniciatura che ne aveva mascherato l’esistenza. L’acquirente, ritenendo che il venditore avesse agito in malafede, promuove azione giudiziaria chiedendo la risoluzione del contratto per inadempimento.
Il Tribunale respinge la domanda, ma la Corte d’Appello ribalta la decisione: dichiara risolto il contratto e condanna il venditore a restituire quasi 13.000 euro, comprensivi di prezzo, costi del passaggio di proprietà e premio assicurativo.
Il venditore ricorre in Cassazione, sostenendo che il veicolo era stato revisionato e che l’acquirente aveva accettato la clausola “visto e piaciuto”. La Suprema Corte respinge le sue doglianze.
Da un lato, afferma che il superamento della revisione non prova l’assenza di difetti, specie se smentito da ulteriori evidenze: il controllo era servito solo a dare una parvenza di idoneità. Il certificato di revisione attesta la rispondenza del veicolo ai requisiti tecnici di legge, ma non garantisce che il mezzo sia privo di vizi occulti.
Dall’altro lato, chiarisce che la clausola “visto e piaciuto” non esonera il venditore dalla garanzia, se i difetti sono stati taciuti in malafede. Decisivo, in questo caso, il fatto che la riverniciatura sia stata utilizzata per occultare i danni strutturali.
IL PRINCIPIO DI DIRITTO ENUCLEATO DALLA CORTE
La clausola “visto e piaciuto” non esclude la garanzia per vizi quando tali difetti siano stati occultati in mala fede dal venditore. Il superamento della revisione non prova l’assenza di vizi occulti, ma solo la conformità del veicolo ai requisiti tecnici minimi.
L’ORDINANZA
Cassazione civile, sez. II, ordinanza del 21 ottobre 2025, n. 27968
(omissis)
Fatti di causa
M.S.L. acquistava il (OMISSIS) dalla società (OMISSIS) un autocarro usato, con la clausola ‘visto e piaciuto’. Durante il viaggio di ritorno, egli si accorgeva di difetti di marcia e ne dava immediata comunicazione alla venditrice. Successive ispezioni rivelavano che il veicolo presentava nella sua struttura portante dei danni, che non erano visibili a causa di una riverniciatura.
Il compratore conveniva la venditrice dinanzi al Tribunale di Brescia in risoluzione del contratto per inadempimento. Rigettata in primo grado, la domanda è stata accolta in appello con la sentenza in epigrafe. La Corte territoriale ha risolto il contratto di vendita e condannato la società venditrice a restituire il prezzo, oltre alle spese sostenute per il passaggio di proprietà e per il premio assicurativo, per un importo complessivo di € 12.882,76, oltre agli interessi legali.
Ricorre in cassazione la venditrice con due motivi, illustrati da memoria. Resiste il compratore con controricorso e memoria. Il Consigliere delegato ha proposto la definizione per inammissibilità o manifesta infondatezza. La ricorrente ne ha chiesto la decisione.
Ragioni della decisione
1. – Con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2699 e 2700 c.c., sostenendosi che la Corte di appello abbia errato nel disattendere l’efficacia probatoria di atto pubblico del verbale di revisione del veicolo. Si assume che la Corte territoriale abbia illegittimamente conferito prevalenza alle testimonianze e alle altre prove rispetto alle risultanze di tale atto pubblico.
Il primo motivo è rigettato.
Nel passo della sentenza censurato dal primo motivo, la Corte di appello sostiene l’irrilevanza della circostanza che il veicolo avesse superato la revisione il giorno prima della vendita, poiché l’esito positivo è smentito da tutte le altre prove assunte. Ad avviso di quella Corte, ciò conferma che il venditore ha effettuato il controllo per conferire al mezzo una parvenza di idoneità al suo utilizzo.
Tale motivazione richiede di essere corretta ex art. 384 co. 4 c.p.c. Non è che l’esito positivo della revisione, in quanto prova legale, possa essere smentito da altre prove (libere) assunte. Corretto è invece il ritenere che, se è vero che il certificato di revisione fa piena prova, fino a querela di falso, di quanto direttamente verificato sul veicolo (cfr. Cass. 3426/2024), è altrettanto vero che l’oggetto di tale prova è diverso dall’oggetto delle prove libere, all’esito delle quali la Corte territoriale ha maturato il proprio convincimento sulla sussistenza di vizi del veicolo. Il certificato di revisione attesta la conformità del veicolo alle prescrizioni tecniche e alle caratteristiche costruttive e funzionali previste dalla legge, ma non ha la virtù di accertare in modo assoluto il difetto di qualsivoglia vizio, che poi in effetti nel caso attuale risulta essere emerso dopo la consegna del veicolo e sono stato accertato in giudizio.
Entro questi termini va ricondotta a piena conformità alla legge e alla logica la motivazione adottata dalla Corte di appello.
2. – Con il secondo motivo si denuncia la violazione dell’art. 1490 co. 2 c.c., assumendosi che la Corte di appello abbia erroneamente disapplicato la clausola ‘visto e piaciuto’, che esonera il venditore dalla garanzia per i vizi della cosa, salvo il caso di mala fede nell’occultamento degli stessi.
Si sostiene che i vizi, se esistenti, erano riconoscibili e che non vi era prova della mala fede della venditrice. La censura colpisce la statuizione sulla non applicabilità della clausola ‘visto e piaciuto’, fondata sul volontario occultamento dei vizi da parte della venditrice, accertato sulla base di un’opera di riverniciatura della carrozzeria.
Il secondo motivo è rigettato.
La clausola ‘visto e piaciuto’ non esonera dalla garanzia per i vizi, ove questi siano stati taciuti in mala fede dal venditore e scoperti dopo l’uso della cosa. Tale è l’orientamento di questa Corte (cfr. Cass. 19061/2024 e 21204/2016) che la Corte territoriale ha correttamente applicato nel caso di specie, all’esito di un apprezzamento di merito (relativo alla riverniciatura quale strumento di occultamento) che non si espone a censure in sede di legittimità. Infatti, esso è plausibile e rispondente allo standard di prova del più probabile che non.
3. – La Corte rigetta il ricorso. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo, anche ai sensi dell’art. 93 co. 3 e 4 c.p.c., avendo trovato conferma la proposta di definizione anticipata.
Inoltre, ai sensi dell’art. 13 co. 1-quater d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente a rimborsare alla parte controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida in € 3.300, oltre a € 200 per esborsi, alle spese generali, pari al 15% sui compensi, e agli accessori di legge. Inoltre, condanna la parte ricorrente al pagamento ex art. 96 co. 3 c.p.c. di € 2.000 in favore della parte controricorrente, nonché al pagamento ex art. 96 co. 4 c.p.c. di € 2.000 in favore della cassa delle ammende.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato, se dovuto.


