fbpx

Titolo

Autem vel eum iriure dolor in hendrerit in vulputate velit esse molestie consequat, vel illum dolore eu feugiat nulla facilisis at vero eros et dolore feugait

Privacy-GDPR

Telecamere nascoste, lavoratore beccato e licenziato! La Corte dà ragione all’azienda: prevale la tutela del patrimonio sulla privacy

La Corte di Appello di L’Aquila conferma la legittimità del licenziamento per giusta causa basato su videoriprese di soggetti terzi, ritenendo prevalente la tutela del patrimonio aziendale rispetto alle eccezioni in materia di privacy

Con la sentenza n. 79 del 6 maggio 2025, la Corte di Appello di L’Aquila, Sezione Lavoro, ha confermato la legittimità di un licenziamento per giusta causa basato su prove audiovisive raccolte da una società investigativa privata incaricata da un appaltatore. Il lavoratore, presidiante presso un centro di selezione rifiuti, è stato ritenuto responsabile di un comportamento omissivo e favoreggiante rispetto a irregolarità nella pesatura dei rifiuti e all’inserimento di dati alterati nel sistema informatico.

La Corte ha ritenuto ammissibili le videoriprese acquisite da soggetti terzi, in quanto strumenti di tutela del patrimonio aziendale e non riconducibili ai controlli a distanza vietati dall’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori. La decisione si fonda sul principio dei “controlli difensivi”, in presenza di fondati sospetti di illeciti, richiamando la giurisprudenza della Cassazione (sentt. n. 25732/2021 e n. 27732/2021).

Il comportamento omissivo del lavoratore è stato valutato come grave violazione degli obblighi di fedeltà e correttezza, tale da ledere irreparabilmente il vincolo fiduciario con il datore di lavoro. L’eccezione sulla presunta violazione della privacy è stata respinta per tardività. Nel bilanciamento degli interessi, è stata ritenuta prevalente la tutela del patrimonio aziendale. La sentenza conferma la possibilità di utilizzare in giudizio riprese effettuate da soggetti terzi in presenza di concreti indizi di comportamenti illeciti.

La Sentenza n. 79 del 6 maggio 2025

CORTE D’APPELLO DI L’AQUILA 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DI APPELLO DI L’AQUILA
– Sezione Lavoro e Previdenza –

La Corte di Appello di L’Aquila, Sezione Lavoro e Previdenza, composta dai seguenti
magistrati:
dr. Fabrizio Riga Presidente
dr. Anna Maria Tracanna Consigliere relatore
dr. Emanuela Vitello Consigliere
all’esito dell’udienza del 6 marzo 2025 ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa in grado di appello TRA (…) assistito e difeso dall’Avv. (…) APPELLANTE E (…), assistito e difeso dall’Avv. (…) APPELLATO avente ad

oggetto: appello avverso la sentenza n. 610/2023 in data 27 maggio 2023 del Tribunale di Teramo in funzione di Giudice del lavoro

Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale di Teramo in funzione di giudice del lavoro in parziale accoglimento della domanda di (…) ha così statuito “dichiara estinto il rapporto di lavoro subordinato intercorso tra il ricorrente e la resistente alla data del licenziamento impugnato e condanna la parte resistente a corrispondere al ricorrente un importo pari a n.8 mensilità dell’ultima retribuzione utile per il calcolo del trattamento di fine rapporto, oltre interessi legali e risarcimento del maggior danno da svalutazione monetaria secondo indici FOI dalla data del licenziamento al saldo” compensando per metà le spese di lite e condannando la datrice di lavoro alla rifusione della residua quota.

In particolare (…), dipendente del (…) dall’01.07.2018, con qualifica di impiegato amministrativo, inquadrato nel III livello CCNL Metalmeccanica Industria presso l’unità produttiva di Castellalto (TE) negli stabilimenti della ditta (…) ivi addetto con mansioni di presidiante, aveva agito in giudizio per sentir annullare il licenziamento disciplinare intimatogli in data 16 giugno 2020, per essere stato presente alle operazioni di analisi in/out di rifiuti, svolte dai colleghi, nel periodo 07.01.2020 – 07.02.2020, nell’ambito delle quali questi ultimi ne avevano alterato il risultato, in particolare il peso – lamentando la nullità e/o illegittimità del recesso datoriale per violazione delle norme imperative e dei diritti costituzionali riconosciuti in capo al lavoratore. A sostegno della domanda il ricorrente aveva eccepito la nullità/illegittimità del licenziamento, in quanto irrogato in ragione di video-riprese ottenute in violazione dell’articolo 4 della Legge n. 300/1970, con conseguente compromissione del diritto di difesa e comunque la sua illegittimità nel merito, in quanto le analisi oggetto di contestazione non erano a lui riferibili, poiché non rientranti tra le attività e le mansioni attribuitegli.

Gli era stato infatti originariamente contestato nella lettera a.r. del 25 maggio 2020 il seguente addebito: “…dalla documentazione trasmessaci dal nostro committente (…) si rilevano gravi e ripetute violazioni nello svolgimento delle analisi IN/OUT effettuate nel periodo 07-01-2020/07-02-2020.”. In particolare: “… precisiamo che (…) ha agito all’esito delle verifiche effettuate da (…) anche per il tramite di un investigatore privato chiamato ad accertare la sussistenza di possibili condotte penalmente rilevanti, di cui si allega la relazione del servizio, da considerarsi parte integrante della presente. Nello specifico, come risulta dall’attività di verifica di cui sopra, era presente nel momento in cui i colleghi preposti materialmente all’esecuzione dell’analisi ponevano in essere, in modo palese e tutt’altro che occulto, azioni volte ad alterare il procedimento di analisi, i cui risultati vengono sottoposti alla sua valutazione (a titolo esemplificativo, quando è stato in più occasioni alterato il peso dei rifiuti da sottoporre ad analisi) …”.

Avverso la suindicata sentenza ha proposto appello il (…), chiedendo la riforma della sentenza impugnata ed in particolare precisando le seguenti conclusioni “accertata e dichiarata l’infondatezza della pretesa avversaria, rigettare tutte le domande formulate dal sig. (…) perché infondate e non veritiere; per l’effetto della riforma della sentenza appellata e dell’accoglimento delle domande formulate da (…) (…), condannare il sig. (…) alla restituzione in favore di (…) (…) delle somme versate in suo favore in mera esecuzione della sentenza impugnata nella misura di euro 21.313,19 ovvero della diversa somma ritenuta di giustizia, oltre agli interessi legali dall’intervenuto pagamento dell’indebito all’effettiva restituzione. In via subordinata, nella denegata ipotesi di conferma della sproporzionalità tra condotta addebitata e sanzione inflitta, in parziale riforma dell’appellata sentenza, chiede che la Corte voglia applicare la sanzione minima di n. 6 mensilità, con condanna del lavoratore alla restituzione in favore di (…) delle somme in eccesso versate in suo favore in mera esecuzione della sentenza impugnata nella misura di n. 2 mensilità, oltre agli interessi legali dall’intervenuto pagamento dell’indebito all’effettiva restituzione. In ogni caso, con vittoria di spese e compensi di lite, oltre oneri e accessori di legge, del doppio grado di giudizio”.

Nel costituirsi in giudizio, (…) ha contestato ogni motivo di impugnazione e formulato appello incidentale, così concludendo “A) dichiarare la nullità del licenziamento intimato in data 16/6/2020, per tutti i motivi in fatto ed in diritto espressi nella narrativa che precede ed in particolare perché avvenuto in violazione dei principi costituzionali ovvero in odio alla normativa di settore configurandosi un illecito civile e penale, ovvero, comunque per l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, ai sensi dell’art. 3 del D.Lgs. n. 23/2015 e, per l’effetto, condannare il datore di lavoro alla reintegra sul posto di lavoro, nonché al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali ed al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, che va dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione, nella misura massima consentita, oltre agli interessi legali maturati e maturandi, nonché al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal recesso fino alla reintegrazione; B) in mero subordine, confermare la sentenza impugnata; C) condannare parte resistente all’integrale refusione delle spese e compensi legali di lite di entrambi i gradi di giudizio”.

All’odierna udienza la causa è stata discussa e decisa nei termini indicati in dispositivo.

Con il primo motivo dell’impugnazione incidentale, che motivi di ordine logico inducono a trattare per primo, l’appellante ha lamentato la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 4 della legge n. 300/1970 (c.d. “statuto dei lavoratori”), nonché la violazione della disciplina sul trattamento dei dati personali ex D.Lgs. 196/2003 e regolamento (UE) 2016/679. Secondo l’appellante erroneamente il primo giudice ha ritenuto che il controllo operato nei confronti del lavoratore era da ricondursi alla categoria dei controlli difensivi, in quanto indirizzato a verificare non puramente e semplice(mente) il corretto adempimento dell’obbligazione lavorativa, ovvero eventuali effetti lesivi di interessi aziendali che siano pur sempre diretta conseguenza della violazione del contratto di lavoro, bensì la commissione dei fatti illeciti, aventi anche rilevanza penale, del tutto eccezionali e straordinari rispetto alla esecuzione ordinaria della prestazione lavorativa. A suo avviso non avrebbero dovute essere utilizzate le video-riprese effettuate, dal 7/1/2020 al 7/2/2020, da una società di investigazione privata, incaricata da (…) all’interno del Centro di Selezione Rifiuti di Castellalto, ove il (…) (…) operava, quale soggetto incaricato da (…) (…) ed (…) degli Imballaggi in (…)) dell’attività di presidio e di svolgimento delle analisi. L’installazione degli strumenti di controllo a distanza, dai quali possa derivare anche il controllo sull’attività lavorativa, è legittima e giustificata, oltre che per esigenze organizzative e produttive e relative alla sicurezza del lavoro, solo da esigenze di tutela del patrimonio aziendale. In particolare, dovendo il controllo difensivo essere attuato solo a seguito del comportamento illecito di uno o più lavoratori del cui avvenuto compimento il datore abbia avuto il fondato sospetto, nel caso di specie, secondo la prospettazione dell’appellante, non risultava in alcun modo fornita tale prova dalla società datoriale, la quale si era limitata ad eccepire che il controllo era stato effettuato, non da essa datrice ma da (…) non era, perciò, soggetto all’applicazione dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori e che era comunque legittimo, anche nella vigenza del novellato art. 4, poiché diretto ad accertare comportamenti del lavoratore illeciti e lesivi del patrimonio e dell’immagine aziendale.

L’appellante dunque ha evidenziato che il controllo effettuato a mezzo delle telecamere sarebbe avvenuto in assenza di una situazione di sospetto da parte del datore di lavoro circa la commissione di illeciti da parte del lavoratore, al di fuori quindi dell’area del controllo legittimo, con conseguente inutilizzabilità delle risultanze delle video riprese ai fini della contestazione e del conseguente recesso.

Inoltre le immagini acquisite mediante le descritte modalità violerebbero anche la disciplina in materia di trattamento dei dati personali. Il motivo non è fondato e va rigettato.

Ai fini di una puntuale ricostruzione delle vicende oggetto di causa, è utile evidenziare che, dall’istruttoria svolta nel corso del primo grado e dalla documentazione acquisita, è emerso che:

– il (…) appellato era incaricato della selezione e dell’analisi dei rifiuti di imballaggi in plastica, in forza di contratto di presidio e analisi merceologiche in essere con (…)                                                                                    – in data 22-04-2020, la società (…) comunicava al (…) l’immediata risoluzione del contratto, in seguito ad accertati, ripetuti e gravi inadempimenti contrattuali – con riferimento alle prestazioni da svolgersi presso il centro di selezione (…) -individuati nella totale o parziale mancata effettuazione delle analisi e/o nell’alterazione dei relativi esiti,
– a fronte di richieste di chiarimenti, da parte del (…) stesso, in data 06-05-2020 (…) comunicava a quest’ultimo l’esistenza di un rapporto redatto da una società di investigazione privata, incaricata da (…) nel quale erano documentati i fatti contestati. A seguito di solleciti, la documentazione in questione era inviata in data 21-052020, da (…) al (…), trattandosi in particolare di una relazione di servizio a firma di (…) titolare della “(…)”, su incarico di (…)
– il (…), sulla base delle risultanze di detta investigazione, procedeva alla contestazione degli addebiti nei confronti dei propri dipendenti addetti all’impianto di Castellalto, tra cui (…), e al successivo licenziamento.
In materia di controlli difensivi è un punto fermo la statuizione della Suprema Corte (Cass. n. 25732/2021), riportata anche nella sentenza di primo grado, per cui, anche dopo la nuova formulazione dell’art. 4 L. n. 300/1970, “sono consentiti i controlli anche tecnologici posti in essere dal datore di lavoro finalizzati alla tutela di beni estranei al rapporto di lavoro o ad evitare comportamenti illeciti, in presenza di un fondato sospetto circa la commissione di un illecito, purché sia assicurato un corretto bilanciamento tra le esigenze di protezione di interessi e beni aziendali, correlate alla libertà di iniziativa economica, rispetto alle imprescindibili tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore, sempre che il controllo riguardi dati acquisiti successivamente all’insorgere del sospetto. Non ricorrendo le condizioni suddette la verifica della utilizzabilità a fini disciplinari dei dati raccolti dal datore di lavoro andrà condotta alla stregua dell’art. 4 L. n. 300/1970, in particolare dei suoi commi 2 e 3.”

Occorre però rimarcare, nel caso in esame, che le riprese audiovisive, realizzate dagli investigatori, sono avvenute in locali non di diretta pertinenza della datrice di lavoro ma di una diversa società, presso la quale veniva svolto, anche dal ricorrente, un servizio di cernita e di analisi del materiale plastico.

Come precisato nella sentenza di primo grado, il Centro di selezione Rifiuti Imballi Plastici di Castellato – all’interno del quale il (…), dipendente del (…) svolgeva la sua attività lavorativa – era di proprietà della (…), che aveva appaltato a (…) la selezione dei rifiuti di imballaggi in plastica, poi attuata concretamente dal (…), in forza di contratto di presidio e analisi merceologiche.

Le riprese audiovisive di cui trattasi sono state attivate da parte di un soggetto ((…)l (…) non datore di lavoro dell’attuale ricorrente e del tutto estraneo al personale dipendente della società appellata, per finalità essenzialmente “difensive” del proprio patrimonio, in ragione di un ingiustificato aumento dei costi addebitati da (…) a (…), tale da giustificare la risoluzione del contratto per inadempimento.

In particolare, (…) titolare dell’agenzia di investigazioni incaricata dalla (…), ha attestato che il servizio era stato commissionato da detta società, perché avevano dubbi sull’operato di alcuni collaboratori ed è risultato che in più occasioni era stata volontariamente e scientemente alterata la pesatura del materiale sottoposto ad analisi, mediante l’aggiunta di oggetti estranei (barre di ferro, palla da bowling e ceste). Tornando ora a considerare il soggetto che ha fatto installare l’impianto di ripresa e le finalità di tale installazione, non può dirsi che si tratti di un controllo a distanza da parte del datore di lavoro sui propri dipendenti e, quindi, che vi sia violazione dell’art. 4 della L. n. 300 del 1970.

In particolare, la datrice di lavoro è rimasta del tutto estranea alla predisposizione del controllo, che anzi, come emerso dall’istruttoria, è stato svolto all’insaputa della medesima, la quale si è vista anche risolvere il contratto dalla (…) per grave inadempimento. Non è stato dimostrato, anzi neppure allegato, alcun coinvolgimento in tale iniziativa del (…), che, al contrario, ha dovuto più volte sollecitare la consegna delle risultanze investigative per verificare quanto accaduto.

Le registrazioni audiovisive commissionate dalla (…) hanno costituito nei confronti del (…) appellato la prova dell’inadempimento di quest’ultimo rispetto alle obbligazioni assunte con il contratto stipulato con la (…) e sono state acquisite dal (…) medesimo come risultanze documentali e documentate, provenienti da un soggetto terzo, delle modalità di esecuzione delle prestazioni di lavoro rese dai propri dipendenti, che avevano dato luogo a tale inadempimento.

Non è pertanto configurabile e neppure ipotizzabile, da parte del (…) stesso nella qualità di  datore di lavoro, una violazione della norma di cui all’art. 4 citato, proprio in ragione del fatto che le registrazioni audiovisive sono state ricevute da un terzo estraneo, ed integrano o sono comunque equiparabili ad una prova documentale, pienamente utilizzabile ed idonea a comprovare il grave inadempimento del lavoratore nei confronti della datrice di lavoro, tale da non consentire anche in via provvisoria la prosecuzione del rapporto di lavoro.

Nè d’altra parte si perverrebbe a conclusioni diverse, seguendo il ragionamento del primo giudice, ritenendo che il rispetto del disposto normativo di cui all’art. 4 citato debba essere garantito a prescindere dal soggetto che abbia materialmente installato le videocamere, se il datore di lavoro ha interesse ad utilizzare le videoriprese nei confronti del lavoratore. Sul punto, il Tribunale ha correttamente richiamato la pronuncia della Suprema Corte (Cass. n. 27732/2021) che, nell’affrontare la questione relativa alla sopravvivenza dei controlli difensivi dopo la modifica dell’art. 4 ad opera del D.lvo n. 151/2015, ha ritenuto i controlli difensivi in senso stretto – quelli cioè diretti ad accertare specificamente condotte ascrivibili, in base a concreti indizi, a singoli dipendenti – da porsi all’esterno del perimetro delineato dall’art. 4, perché si tratterebbe di eventi straordinari ed eccezionali costituiti dalla necessità di sanzionare gravi illeciti di singoli lavoratori. Ha poi fatto applicazione di detti principi, rilevando come la (…) aveva commissionato il servizio di investigazione, limitatamente all’area riservata alle Analisi di qualità degli imballaggi plastici in ingresso all’impianto e sui prodotti e sottoprodotti ottenuti dalla selezione degli stessi, circoscritto temporalmente in 30 giorni, dal 7 gennaio 2020 al 7 febbraio 2020, così scongiurando qualsiasi ipotesi di controllo indifferenziato a distanza su tutti i lavoratori. Ha inoltre evidenziato come l’attività di investigazione era stata commissionata per verificare il corretto svolgimento delle pesate del materiale plastico lavorato, perché avevano dubbi sull’operato di alcuni collaboratori, così rispondendo ad un legittimo sospetto circa il corretto adempimento della prestazione resa dal (…), per mano dei propri dipendenti, i quali – come poi è risultato – in più occasioni, nel corso dell’esecuzione della propria prestazione di lavoro, hanno alterato la pesatura del materiale, commettendo anche un atto illecito doloso e fraudolento.

Non è condivisibile al riguardo la prospettazione dell’appellante incidentale per cui sarebbe assente una situazione di sospetto in capo al datore di lavoro, atteso che il sospetto cui fare riferimento è quello preesistente alla acquisizione dei dati attraverso il controllo difensivo a distanza, pertanto non può che riguardare la condizione del soggetto che, avendo il sospetto di comportamenti illeciti, predisponga poi tale controllo.

Nel caso in esame, il sospetto della (…) per come riferito dall’investigatore, ha riguardato, come detto, proprio l’operato di alcuni collaboratori, dipendenti del (…) (…) – quelli appunto addetti all’area di lavoro in cui sono state messe in funzione le telecamere, tra cui il ricorrente odierno appellante – ed era pienamente giustificato dall’improvviso ed abnorme incremento dei costi del servizio. Le riprese visive operate non sono altro che la conseguenza della legittima reazione ad un pregresso comportamento dei lavoratori stessi, divenuti destinatari delle predette riprese. L’installazione di telecamere è stata infatti funzionale ad accertare specificamente condotte illecite ascrivibili, in base a concreti indizi, al singolo dipendente, senza che possa rilevare che tale indagine ha riguardato lo svolgimento della prestazione lavorativa, visto che la condotta illecita si è perpetrata proprio nel corso di esecuzione della stessa.

Quanto alla presunta violazione della disciplina sul trattamento dei dati personali, trattasi di eccezione nuova, mai sollevata in primo grado e pertanto inammissibile in appello, fermo restando che nel bilanciamento di interessi, per i motivi già illustrati, prevale quello del datore di lavoro a tutela del patrimonio aziendale.

Del tutto irrilevante è poi la circostanza che il dipendente non abbia mai ricevuto alcuna contestazione in relazione al lavoro svolto, così come nulla aggiungono sotto un profilo probatorio le testimonianze degli ispettori incaricati da (…) di verificare la correttezza del procedimento di analisi, i quali si sono limitati a riferire in ordine alla attività di analisi dei rifiuti, mentre nulla hanno precisato sui controlli da loro effettuati nel periodo dal 7 gennaio al 7 febbraio 2020 e sulle relative risultanze.

Con il secondo motivo dell’impugnazione incidentale, l’appellante ha contestato l’idoneità delle immagini videoriprese, allegate alla relazione dell’agenzia investigativa, a dimostrare il coinvolgimento del medesimo nell’illecita attività, segnalando di essere stato ripreso in un’unica occasione e di sfuggita e di svolgere attività di natura impiegatizia e non manuale, consistente nella verifica del materiale in ingresso e nel riversamento nel computer di dati estrapolati dai documenti (report di analisi) consegnatigli dagli analisti. Ha precisato che tale attività è svolta in parte in un box adiacente all’area destinata alla campionatura ed alla pesatura dei rifiuti plastici, in parte nell’area di accesso dei mezzi che conferiscono i rifiuti all’impianto, cioè in zone diverse dall’area controllata con le telecamere, dinanzi alle quali transitava solo per raggiungere la propria postazione. Il motivo non è fondato e va rigettato.

Dalla documentazione versata in atti (doc. fascicolo I gr. ricorrente), in particolare dal contratto in data 8 giugno 2018 risulta che (…) è stato assunto alle dipendenze del (…) a tempo indeterminato a decorrere dal 1 luglio 2018, con mansioni di Presidiante/Ispettore qualità nonché altre attività ad esse collegate e complementari, con inquadramento nel 3° livello CCNL Metalmeccanico – Industria.

In particolare l’art. 141 del suddetto CCNL prevede che al 3° livello appartengono, per quanto di interesse, “i lavoratori che guidano e controllano con apporto di adeguata competenza tecnico-pratica un gruppo di altri lavoratori, esercitando un certo potere di iniziativa per la condotta ed i risultati delle lavorazioni, i lavoratori che, con specifica collaborazione, svolgono attività amministrative o tecniche caratterizzate da adeguata autonomia operativa nei limiti dei princìpi, norme e procedure valevoli per il campo di attività in cui operano, e che richiedono un diploma di scuole medie superiori o corrispondente conoscenza ed esperienza”.

Si legge poi nel “Contratto di presidio, analisi merceologiche su rifiuti imballaggi in plastica e servizi ulteriori” stipulato tra (…) e (doc.1 res.) che costituiscono oggetto del contratto le attività descritte nei punti 1.2.1, 1.2.2., 1.2.3, 1.2.4 e cioè a)il controllo della qualità, tramite analisi merceologiche, di rifiuti provenienti da raccolta differenziata urbana mono e da raccolta differenziata Multi conferiti dai Convenzionati (sub 1.2.1), b) il controllo della qualità tramite analisi merceologiche di Prodotti e Plasmix descritti in dettaglio nell’allegato 1 derivanti dalle operazioni di cernita effettuate da CSS (sub 1.2.2), c) su richiesta di (…) l’attività di monitoraggio e controllo svolte a carattere non continuativo presso centri di selezione e altri impianti che includono: campionamento di materiale anche in orario notturno, controlli documentali, inventari, verifica del rispetto degli obblighi contrattuali (sub 1.2.3), infine d) presidio continuativo con presenza giornaliera di otto ore lavorative, finalizzato al campionamento e al controllo dei flussi in ingresso e in uscita dai CSS di cui all’Allegato Elenco Centri, nonché al controllo del rispetto degli obblighi contrattuali da parte dei suddetti CSS e all’effettuazione delle attività inventariali in collaborazione con i CSS (sub 1.2.4). Le modalità di svolgimento delle suddette attività sono indicate in dettaglio negli allegati A e B e nei relativi suballegati.

In particolare è specificato nell’Allegato A (cfr doc. 2 fascicolo I gr. ricorrente) che le attività di presidio includono il monitoraggio dei carichi conferiti in ingresso (verifica conformità del materiale, della rispondenza tra le transazioni inserite nel sistema operativo e i formulari e le pesature effettuate) nonché della qualità del materiale in uscita (prodotti e sottoprodotti), includono inoltre la responsabilità di individuare i carichi in ingresso da campionare durante l’orario concordato per ottemperare al piano di monitoraggio. Fra le attività oggetto di presidio sono previsti a titolo esemplificativo il monitoraggio della produzione del CSS, la supervisione della attività inventariale e la verifica del corretto rispetto degli obblighi contrattuali del CSS.

Dunque è vero che presso i centri di raccolta dei rifiuti provenienti da raccolta differenziata e non, operano sia i presidianti, tra cui il ricorrente, sia gli addetti alle analisi merceologiche, addetti al campionamento ed alla pesatura del materiale in ingresso, ma tanto l’attività di analisi che quella di presidio integrano attività complementari, dirette, la prima a selezionare e pesare i rifiuti conferiti al CSS dagli enti pubblici ed imprese convenzionati con il (…) l’altra, espletata anche dal ricorrente, a riversare i dati emersi dalla cernita nel sistema informatico in dotazione. Ciò non comporta di per sé separatezza di mansioni tal da far ritenere, come peraltro già correttamente evidenziato dal primo giudice, che le mansioni di caricamento di dati svolte dal presidiante erano espletate anche in luogo differente e che l’unico motivo della compresenza del presidiante con gli analisti nell’impianto era legato al fatto di essere addetto alla ricezione dei carichi di rifiuti, da identificare tramite i relativi documenti (FIR).

A tale riguardo, i testi escussi nel corso dell’istruttoria di primo grado hanno confermato che (…)faceva il presidiante del materiale che arrivava, provvedeva a regimentare 10 balle di plastica pressate, farle stoccare ed accantonare in un’area apposita, numerarle con sigilli di colore giallo, quindi decideva con l’azienda il giorno e l’orario per procedere all’analisi. Non effettuava le analisi, a meno che non era espressamente richiesto dal (…) (…) Stava il 50% del tempo nel piazzale per presidiare i mezzi in arrivo e provvedere allo stoccaggio, il restante 50% in ufficio per occuparsi della cernita del materiale e decidere l’orario delle analisi.

Se ne deduce una evidente connessione tra l’attività lavorativa di (…) e quella cui erano addetti i colleghi, tanto più che negli allegati al contratto per lo svolgimento del servizio è previsto che lo stesso presidiante svolga in casi di urgenza, in assenza momentanea di analisti, anche le operazioni di individuazione delle frazioni componenti i campioni da sottoporre a verifica e quelle di pesatura, con conseguente redazione del report di analisi. Inoltre, nell’allegato A al contratto tra e (…) è previsto che “1. Gli addetti al presidio individuati dalla Società per l’esplicazione dei compiti di seguito descritti dovranno essere adeguatamente formati anche mediante la partecipazione a riunioni informative tenute da personale di (…) 2. Eventuali anomalie rilevate da parte degli addetti al presidio nel corso della loro attività dovranno essere tempestivamente comunicate ai referenti (…) delle funzioni Selezione, Commerciale e Raccolta secondo le indicazioni che sono fornite di seguito (…)”. Infine, nel medesimo contratto, è richiesta la presenza degli addetti al presidio per l’intera giornata di lavoro e l’obbligo di assicurare la continuità dello svolgimento della mansione di controllo dei materiali in ingresso, con la previsione della possibilità che il presidiante sia distolto da tale compito in caso in cui debba effettuare analisi in ingresso indifferibili (a causa dell’assenza improvvisa del personale addetto alle analisi).

Correttamente il giudice di primo grado ha rilevato che, in ragione della complementarità delle mansioni svolte dal presidiante e dagli addetti alle analisi, in detto contesto dovrà valutarsi la condotta posta in essere dal (…)con riguardo all’episodio di alterazione del peso dei rifiuti sottoposti ad analisi, così come verificatosi alla presenza del lavoratore.

Al riguardo, deve darsi atto che, presa visione delle riprese audiovisive riversate su supporto hard disk, prodotte in primo grado ed acquisite dal collegio al fascicolo d’ufficio, esaminati altresì i fotogrammi in cui compare (…) – così come riportati nella relazione di servizio predisposta dagli addetti della (…) incaricata dalla (…), mediante installazione di due telecamere incrociate nell’Area riservata alle Analisi, in cui opera il CNQ su incarico di (…) – resta confermato quanto rilevato dal primo giudice, in quanto il lavoratore è ripreso in occasione dell’esecuzione di una delle operazioni di pesatura dei rifiuti contestate, rilevandosi l’utilizzazione di una palla da bowling per alterare il peso del materiale. L’oggetto risulta apposto sulla bilancia in una cesta di colore giallo diversa dalla cesta che conteneva i rifiuti di imballi plastici campionati nell’area dedicata alla raccolta, materiale, quest’ultimo, che gli analisti dovevano fotografare per attestarne l’identità con quello che avevano sottoposto all’operazione di pesatura, della quale la bilancia all’uopo predisposta rilasciava uno scontrino con ora e data di esecuzione. Non vi sono dubbi che si tratta di una evidente indotta alterazione del peso: si vede il lavoratore che assiste all’operazione, con lo sguardo rivolto verso la bilancia, alle ore 10.25 del 30 gennaio 2020 allorché viene posizionata una cesta nera con del materiale e aggiunta alla bilancia una cesta gialla con all’interno una palla nera, ben visibile, individuata dagli investigatori in una palla da bowling. Allo stesso modo e con le medesime modalità alle ore 11.46 del 5 febbraio 2020, più precisamente nella cesta gialla erano aggiunti un pezzo di ferro e una trancia per ferro, ben visibili, al posto della palla da bowling. Pertanto, in definitiva il (…) era pienamente consapevole di assistere ad un’operazione irregolare, dei risultati della quale sarebbe stato chiamato ad effettuare il riversamento nel computer, come da lui stesso dedotto, attenendosi al report di analisi, indicante il peso di ciascuna tipologia di frazione del materiale pesato, quale registrata dalla macchina.

Risulta pertanto pienamente provata la sussistenza della materialità del fatto contestato e il chiaro coinvolgimento di (…)in una pratica illecita adottata dai colleghi addetti alle analisi e consistente nella alterazione della pesatura dei rifiuti. Ribadita pertanto la piena utilizzabilità delle video-riprese effettuate, dal 7/1/2020 al 7/2/2020, dalla società di investigazione privata, incaricata da (…) all’interno del Centro di Selezione Rifiuti di Castellalto, ove il (…) operava, quale soggetto incaricato da (…) (…) i motivi di appello
incidentale non possono che essere rigettati.

Con il primo motivo dell’appello principale, il (…) ha, a sua volta, lamentato la violazione e falsa applicazione degli artt. 2119 e 2106 c.c. in relazione agli artt. 2104 e 2105 c.c. perché, all’esito delle risultanze dell’istruttoria, il Giudice di primo grado ha erroneamente ritenuto sproporzionata la sanzione espulsiva irrogata al lavoratore e ha applicato il regime di tutela di cui all’art. 3, comma 1, D.Lgs. n. 23/2015. In particolare è risultato provato che (…), in diverse occasioni e non in una sola, si è reso colpevole della condotta contestata, per aver assistito ad una irregolare procedura di pesata del materiale da parte dei colleghi, omettendo di intervenire e di segnalare la circostanza al datore di lavoro, più precisamente in data 30 gennaio 2020, alle ore 10,25 e alle ore 12,06 nonché in data 5 febbraio 2020 alle ore 11,46. Nè l’assenza di precedenti disciplinari, da sola, avrebbe potuto costituire l’unico fattore sul quale fondare una valutazione favorevole al lavoratore.

Diversamente da quanto ritenuto dal primo giudice, secondo l’appellante, la gravità del fatto addebitato non avrebbe potuto trovare alcun soddisfacimento sanzionatorio nei provvedimenti conservativi previsti dal CCNL metalmeccanica-industria (artt. 9 e 10), non consentendo la lesione dell’elemento fiduciario la prosecuzione del rapporto di collaborazione e rientrando pienamente il fatto contestato al lavoratore nei casi previsti nell’art. 10 “Licenziamento per mancanze”, in presenza di una condotta “che provochi all’azienda grave nocumento morale o materiale “. Il motivo è fondato e merita accoglimento.

In disparte il rilievo per cui, nell’arco di un periodo circoscritto a 30 giorni di riprese audiovisive, in ben due/tre occasioni il lavoratore è stato immortalato mentre assisteva a pesature irregolari del materiale da parte di colleghi addetti alle analisi dei rifiuti, mediante dolosa alterazione dei risultati, aggiungendo sulla bilancia oggetti estranei (palla da bowling e pezzi di ferro) per far figurare un peso maggiore, tenuto conto del limitato numero di lavoratori della CNQ addetti all’appalto, costituito sempre dai medesimi soggetti – cinque compreso (…) – emerge la estrema gravità della condotta del medesimo che, in qualità di presidiante, ometteva di segnalare l’irregolare svolgimento del servizio. Anche ove ci si riferisse ad un singolo ed unico episodio in cui sono eseguite, davanti ai suoi occhi, operazioni di analisi e pesatura, con mezzi fraudolenti, così da alterarne i risultati, il giudizio non cambierebbe, per il fatto che tale condotta in primo luogo incide di per sé irreversibilmente sul rapporto di fiducia con il datore di lavoro, per giunta funge da incentivo alla commissione di ulteriori analoghe condotte da parte dei colleghi, o comunque rafforza il proposito illecito degli stessi, sapendo i medesimi di poter contare, per garantirsi l’impunità, nella omertà del presidiante, prestandosi lui stesso a riversare nel sistema informatico dati non veritieri, attenendosi al report di analisi indicante un peso diverso da quello reale.

Trattasi in definitiva di condotta di compartecipazione o quanto meno di connivenza inserita in un contesto ambientale di piena adesione da parte di tutti i dipendenti, compreso il ricorrente, all’adozione di comportamenti in palese violazione dell’obbligo di fedeltà, oltre che dei principi di correttezza e buona fede, in evidente contrasto con i doveri connessi all’inserimento del lavoratore nella struttura e nell’organizzazione dell’impresa, configurandosi nella specie una situazione di aperto conflitto con gli interessi e le finalità aziendali, tale da minare la fiducia riposta dal datore di lavoro. Le prove acquisite, pur non potendo suffragare una piena, preordinata e stabile compartecipazione del (…) alle attività illecite perpetrate dai colleghi, dimostrano quanto meno la sua connivenza, con assoluta indifferenza rispetto agli effetti pregiudizievoli di tali condotte, rispetto all’esatto adempimento sia delle proprie prestazioni nell’ambito del rapporto di lavoro, sia in generale con riferimento all’esecuzione del contratto di appalto, nell’ambito del quale era stato chiamato ad operare, delineandosi una prognosi negativa sul futuro adempimento ai propri obblighi.

Diversamente da quanto ritenuto dal giudice di primo grado, l’unicità dell’episodio e l’assenza di altri precedenti disciplinari, specie se valutate in relazione al limitato periodo temporale (30 giorni) in cui si sono svolte le videoriprese e alla durata complessiva del rapporto di lavoro protrattosi per soli 18 mesi, non possono costituire un fattore su cui fondare una valutazione favorevole all’adozione di sanzioni conservative, avendo la condotta del lavoratore contribuito al perpetrarsi di quella serie di inadempienze che hanno poi comportato la risoluzione del contratto di appalto con la , così rientrando pienamente nella fattispecie di cui all’art. 10 CCNL (Licenziamento per mancanze) trattandosi di comportamento “che provoca all’azienda grave nocumento morale e materiale”. Nella specie, oltre al pregiudizio economico derivante dal mancato introito del corrispettivo pattuito nel contratto di appalto, si è aggiunto anche il danno conseguente alla perdita di affidabilità e di competitività sul mercato.

In riforma della sentenza impugnata pertanto va affermata la legittimità del licenziamento irrogato al lavoratore con conseguente rigetto delle domande azionate in primo grado da (…)che dovrà essere condannato alla restituzione delle somme versate in suo favore da in esecuzione della sentenza di primo grado, pari a Euro 21.313,19, come risulta dalla documentazione allegata.

Le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, unitamente al raddoppio del contributo, conseguente al rigetto dell’appello incidentale.

P.Q.M.

In riforma della sentenza impugnata,

Rigetta la domanda proposta in primo grado da (…);

Condanna (…)alla restituzione in favore di (…) (…) delle somme ricevute in esecuzione della sentenza di primo grado, pari a Euro 21.313,19, oltre interessi dalla data del pagamento fino al soddisfo;

Condanna (…) alla rifusione delle spese del doppio grado di giudizio, che liquida per il primo grado in Euro 3.689 e per il secondo grado in Euro 3.473, oltre, per ciascun grado, spese generali, i.v.a. qualora dovuta e c.p.a. come per legge

Dà atto che sussistono i presupposti oggettivi nei confronti dell’appellante incidentale, per il raddoppio del contributo unificato dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater DPR n.115/2002 introdotto dall’art.1 comma 17 L.n. 228/2012.

 

Condividi l'articolo su:
Studio Legale Calvello