Titolo

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domanda di risarcimento ominicomprensiva

Giurisprudenza Patavina-Giudice di Pace Lite temeraria

Condannata la Compagnia per lite temeraria

Giudice di Pace di Padova – Avv. Antonio Bordin – Sentenza del 16.06.2015

Sent. N. 1025/15

R.G. 2820/14

Rep. N. 1466/15

Cron. N. 7080/15

REPUBBLICA ITALIANA

UFFICIO DEL GIUDICE DI PACE DI PADOVA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 Il Giudice di Pace di Padova Avv. Antonio BORDIN ha pronunziato la seguente

 SENTENZA

nella controversia iscritta al n. 2820 del Reg. Gen. dell’ anno 2014 e promossa con atto di citazione depositato il 30 aprile 2014

da: ********, con gli avv.ti Donato Bruno e Mara Bonaldo

– Attore –

Contro: ******* in persona del legale rappresentante pro tempore, con l’avv. ********

     – Convenuto –

Oggetto: Risarcimento danni da incidente stradale.

Conclusioni per l’attore:

Come in note conclusive.

Conclusioni per la convenuta:

Come in comparsa di risposta.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con atto di citazione ritualmente notificato, ******* conveniva in giudizio ******, per sentirla condannare al risarcimento dei danni subiti nel sinistro avvenuto il 21 dicembre 2012.

Si costituiva la compagnia convenuta, contestando il solo quantum della pretesa attorea.

In assenza di contestazione in ordine alla dinamica del sinistro, che quindi deve ritenersi pacifica in causa con addebito dell’integrale responsabilità dell’occorso alla parte convenuta, si procede quindi alla determinazione del quantum del diritto al risarcimento.

Parte attrice chiede in primis il risarcimento del danno fisico. Al riguardo, tale voce di danno è stata accertata mediante Ctu medico legale sulla persona dell’attrice, da parte della dott.ssa Alessandra Rossi.

Secondo la valutazione medico legale del Ctu, la ***** ha riportato nel sinistro de quo un danno da invalidità permanente nella misura del 3 percentile.

Parte convenuta pretende di negare la risarcibilità di tale voce di danno in forza dell’applicazione della novella dell’art. 139 del codice delle assicurazioni alla luce dei commi 3 ter e 3 quater della legge 24 marzo 2012 n. 27.

La tesi è sprovvista di pregio giuridico.

Vanno chiariti l’ambito ed il significato applicativo della normativa invocata dalla convenuta.

La disposizione dell’art. 3 ter prevede che “In ogni caso le lesioni di lieve entità che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo non potranno dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente”.

Si pone il problema dell’interpretazione di tale disposizione, specie nel caso in cui, com’è quello in esame, il Ctu abbia effettivamente accertato l’esistenza di un danno biologico da invalidità permanente ed abbia riconosciuto il rispetto dei criteri posti da detta normativa.

In primis, non può che rilevarsi come lo stesso tenore letterale della norma non consenta tout court di negare la risarcibilità di tale posta di danno in assenza di accertamento strumentale. La disposizione, infatti, non parla di necessità che le lesioni siano “effettivamente accertate” mediante accertamento strumentale, ma solo di “suscettibilità” di tale accertamento: ove tale condizione non sia esclusa, e la lesione sia quindi potenzialmente rilevabile mediante accertamento strumentale, la norma non è applicabile.

In ogni caso, in presenza di lesioni caratterizzate da danno biologico da invalidità permanente effettivamente accertate in sede di visita medico legale, non può farsi luogo all’applicazione della norma, anche volendone forzare il tenore letterale.

Così operando ed argomentando, infatti, si giungerebbe ad escluder la risarcibilità di danni alla salute effettivamente provati, solo ed esclusivamente in considerazione della metodologia tecnica del loro accertamento, privilegiando in modo del tutto inammissibile un criterio scientifico rispetto ad un altro, e discriminando quindi fra metodi parimenti accreditati sul piano scientifico.

Tale esclusione sarebbe del tutto inaccettabile, realizzando una evidente violazione di plurimi diritti garantiti a livello costituzionale. Escludere la risarcibilità del danno da invalidità permanente accertato in sede di visita medico legale significa infatti a) violare l’art. 3 Cost., giacché in tal caso si realizza un ingiustificato trattamento fra lesioni accertate con metodologie diverse ugualmente attendibili; b) violare l’art. 32 Cost., perché in tal modo non si assicura adeguato risarcimento e tutela ad un danno alla salute scientificamente accertato; c) violare l’art. 24 Cost., giacché si viene ad imporre al danneggiato un onere (addirittura retroattivo) di procurarsi una certificazione strumentale di un danno comunque esistente.

Soccorre in tale ipotesi invece il disposto dl comma 3 quater.

Tale norma prevede il danno biologico venga accertato in via strumentale ovvero, in via alternativa, “visivamente”, intendendosi con tale inciso accertamento effettuato in sede di visita medico legale.

Pertanto, ove il danno biologico da invalidità permanente risulti effettivamente e scientificamente accertato in sede di visita medico legale, tale posta di danno dovrà essere risarcita, prescindere dall’esistenza o meno di una certificazione derivante da esame a carattere strumentale.

In definitiva, vanno riepilogati i seguenti principi:

  • La disposizione del comma 3 ter citata non esclude il risarcimento del danno biologico da invalidità permanente quando questo non sia stato accertato mediante accertamento strumentale, ma solo ed esclusivamente quando esso non sia suscettibile, anche in linea astratta di tale accertamento;
  • In ipotesi in cui il danno biologico da invalidità permanente sia stato accertato in sede di visita medico legale, e quindi “visivamente”, sussistono le condizioni per l’applicazione dell’art. 3 quater e la conseguente risarcibilità di tale voce di danno;
  • In ogni caso, anche volendo forzare il dato letterale della disposizione dell’art. 3 ter, non potrà mai giungersi ad un’interpretazione della stessa norma che escluda la risarcibilità del danno stesso quando esso sia stato effettivamente accertato in sede di visita medico legale: così facendo, infatti, si giungerebbe ad un’ applicazione della normativa palesemente contraria a plurimi principi costituzionali, tuttora vigenti con buona pace di talune correnti “riformatrici”, che il giudicante non può in alcun modo avvallare.

Deve quindi concludersi che il danno da invalidità permanente, qualora accertato in sede di visita medico legale, debba essere integralmente risarcito, anche in assenza di alcun particolare esame strumentale di riscontro (peraltro presente nel caso di specie).

Applicando i valori risarcitori riconosciuti dalla legge n. 57/2001, aggiornati dal decreto del Ministero delle attività produttive, tale voce di danno va quantificata in € 2.105,98.

Per quanto attiene al danno biologico da invalidità temporanea, la Ctu ha individuato i valori – ritenuti condivisibili da questo Giudice – dei periodi di giorni 15 al 75%, 20 al 50% e 20 al 25%.

Applicando l’importo aggiornato per ciascun giorno di inabilità assoluta si quantifica tale posta di danno in € 1.218,90.

L’attore chiede inoltre la rifusione del danno non patrimoniale da sofferenza morale.

La domanda risarcitoria sul punto va accolta.

L’interpretazione prospettata da parte convenuta dei principi enunciati dalle sentenze dell’11 novembre 2008 delle Sezioni Unite della Suprema Corte, tendente a negare la risarcibilità del pregiudizio da sofferenza morale, appare infondata e non condivisibile. Il pregiudizio non patrimoniale da sofferenza morale, infatti, ha carattere e natura distinte rispetto, al mero danno biologico, come riconosciuto dalla stessa Suprema Corte anche in recente decisione (Cassazione civile, sez III, 12/09/2011, n. 18641).

Inoltre, va ricordato il principio chiaramente enunciato nelle note sentenze delle Sezioni Unite dell’ 11 novembre 2008, in forza del quale “il risarcimento del danno deve essere integrale”.

E’ evidente che, in ogni caso, la quantificazione tabellare ex art. 139 del cod. ass. non risulti comprensiva della liquidazione del pregiudizio in questione, che andrà quindi liquidato in via separata, anche mediante utilizzo del criterio di applicazione di un valore percentuale all’ammontare complessivo del danno biologico, e ciò in conformità al principio enunciato dalla Suprema Corte, che ha riconosciuto la possibilità di procedere alla quantificazione del danno morale in misura pari ad una frazione di quanto dovuto dal danneggiante a titolo di danno biologico (si veda Cass. civ. , 15 luglio 2009, n. 16448).

Detta voce va pertanto riconosciuta in ragione dell’entità modesta della lesione, e liquidata in via equitativa nella misura del 20% dell’importo complessivo del danno biologico, giusta l’indirizzo espresso dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 235/2014, per una liquidazione pari a € 664,98.

Le spese mediche sono state ritenute congrue e documentate dal Ctu in € 1.574,39, e non sussistono elementi per revocare in dubbio tale valutazione tecnica del Consulente. Parte convenuta, con tesi invero originale, chiede che tale importo debba patire una deduzione del 19%, in quanto parte attrice “ha, o comunque avrebbe potuto, dedurre in sede di dichiarazione dei redditi” le spese relative.

L’eccezione è infondata. Non risulta infatti dimostrato che parte attrice abbia in qualche modo dedotto dette spese dalla propria base imponibile fiscale; in ogni caso, ove anche ciò fosse avvenuto, la circostanza avrebbe rilevanza sul piano della correttezza degli adempimenti fiscali e non inciderebbe in alcun modo sul diritto alla rifusione della spesa.

In ordine al danno patrimoniale, parte attrice non ha allegato prova alcuna della perdita economica asseritamene subita a seguito del sinistro; conseguentemente, nulla spetta all’attrice in relazione a tale posta di danno.

Parte attrice deduce inoltre un danno materiale al veicolo. In relazione a tale posta di danno, in assenza di diversa prova, va valorizzata la perizia allegata da parte convenuta, che ha riconosciuto l’antieconomicità del danno ed un pregiudizio pari ad € 1.000,00. Nei limiti di tale riconoscimento va liquidata la posta di danno in questione.

Va parimenti rifuso l’esborso per recupero e soccorso del mezzo incidentato, documentato per € 121,00.

Nulla va invece riconosciuto a titolo di c.d. “danno da fermo tecnico”, alla luce della più recente sentenza della Suprema Corte che ne nega la risarcibilità in ipotesi di perdita definitiva del mezzo: “il cosiddetto “danno da fermo tecnico” del veicolo danneggiato da un sinistro stradale non sussiste quando il mezzo, a seguito dell’incidente, sia divenuto inservibile, determinandosi in tal caso una perdita definitiva nel patrimonio del danneggiato con diritto al risarcimento sia del denaro da perdita dell’autoveicolo, sia di quello relativo alle spese di gestione dell’auto nel periodo in cui essa non è sta utilizzata” (Cass. civ. n. 2070/2014).

Né trovano infine rifusione a) il costo di immatricolazione della nuova auto in quanto non conseguenza immediata e diretta del sinistro, b) le spese di radiazione dell’auto, in quanto spesa normalmente connessa all’utilizzo di una vettura, c) il bollo non goduto, trattandosi di onere fiscale comunque dovuto dal proprietario del mezzo.

Il danno subito dalla ***** ammonta pertanto ad € 6.685,25, importo da ridursi in misura corrispondente agli acconti ricevuti, pari ad € 2.148,00, per un residuo credito pari quindi a € 4.537,25.

I danni sin qui determinati sono espressi in moneta attuale.

Vanno riconosciuti inoltre gli interessi compensativi al tasso di legge ordinario dal fatto al saldo, da computarsi sull’importo dapprima devalutato al momento del sinistro e quindi rivalutato di anno in anno sino alla presente sentenza.

Vanno infine rifuse all’attrice le spese di Ctu e Ctp documentate, rispettivamente pari ad € 610,00 ed € 732,00.

Vanno spese deduzioni sul comportamento processuale della convenuta.

La compagnia, financo in sede di comparsa conclusionale, ha reiterato e ribadito la propria tesi negatoria del diritto al risarcimento del danno biologico permanente patito dall’attore alla luce di una pretesa applicazione dal novellato art. 139 del cod. ass..

Tale posizione negatoria, addirittura invocante a proprio fondamento in modo strumentale la recente decisione della Consulta n. 235/2014 (peraltro impropriamente quale pronuncia della Corte di Cassazione), resa su tutt’altra questione e priva del minimo rilievo sul punto, si è spinta per conseguenza a negare la stessa risarcibilità delle spese mediche documentate e stimate congrue dal Ctu e del pregiudizio da sofferenza morale, anche nella veste di personalizzazione del danno biologico.

Tale posizione è stata mantenuta – come si è detto – anche in sede di conclusioni, nonostante che 1) il Ctu avesse accertato la sussistenza del danno biologico permanente 2) il Ctu avesse verificato il rispetto in tale accertamento dei parametri fissati dalla novella dell’art. 139 del cod. ass. 3) le conclusioni del Ctu non fossero state contestate in alcun punto dallo stesso Ctp della convenuta 4) via sia agli atti accertamento strumentale della lesione effettuato nell’immediatezza del sinistro.

Tale condotta processuale di ingiustificata resistenza processuale, priva di supporto giuridico e fattuale ed accompagnata da citazione giurisprudenziale inappropriata, è risultata immotivatamente gravatoria dell’attività difensiva della parte attrice e dello stesso ufficio giudiziario, e merita quindi di trovare sanzione processuale d’ufficio per responsabilità aggravata ex art. 96 comma terzo c.p.c..

La convenuta va quindi condannata alla rifusione delle spese di lite in favore dell’attore, liquidate come da dispositivo, senza compensazione, vista l’accertata sussistenza di un credito risarcitorio, nonché al pagamento di sanzione ex art. 96 terzo comma c.p.c., liquidata in via equitativa in € 1.000,00.

P.Q.M.

Il Giudice di Pace, definitivamente decidendo, ogni altra domanda, deduzione ed eccezione disattesa

  • Condanna **********, in persona del suo legale rappresentante pro tepore, al pagamento in favore di ******* della somma di € 4.537,25, in moneta attuale, da devalutarsi alla data del sinistro, oltre agli interessi compensativi al tasso di legge ordinario dal fatto al saldo, da computarsi sull’importo rivalutato di anno in anno sino alla presente sentenza;
  • Condanna la convenuta alla rifusione in favore dell’attrice delle spese di Ctu e Ctp, quantificate rispettivamente in € 610,00 ed € 732,00;
  • Condanna la convenuta alla rifusone delle spese di lite in favore dell’attrice, liquidate definitivamente in complessive € 2.041,00, di cui € 1.800,00 per compensi, ed il residuo per spese, oltre a rimborso forfetario, ad Iva e C.PA. come per legge;
  • Condanna la convenuta al pagamento in favore dell’attrice della somma di € 1.000,00 a titolo di sanzione ex art. 96 terzo comma c.p.c..

Sentenza provvisoriamente esecutiva ex lege.

Così deciso in Padova il 16 giugno 2015.

Il Giudice di Pace

Avv. Antonio Bordin

Depositato in cancelleria

Il 17 giugno 2015

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Studio Legale Calvello